di Paola Valentino
Con Parigi e Berlino assenti il premier Tusk ha ridato centralità al Paese. Due le urgenze indicate: sicurezza ed Europa
Pochi momenti riescono a fissare in una sola immagine il confronto in corso in Europa tra il populismo nazionalista di destra e l’internazionalismo liberale, come il passaggio della presidenza di turno dell’Ue dall’Ungheria alla Polonia, avvenuto il 1° gennaio. E pochi gesti possono marcare il cambio di stagione come il rifiuto del governo polacco di invitare l’ambasciatore ungherese al gala di inaugurazione del semestre europeo, svoltosi venerdì al Gran Teatro di Varsavia. Anche se ufficialmente l’esclusione è dovuta alla disputa diplomatica, sorta dopo che Budapest ha dato asilo politico a un ex viceministro polacco accusato di corruzione e sul quale pende un mandato di arresto europeo, il mancato invito è l’ultimo colpo inferto ai rapporti tra i due Paesi, diventati tossici da un anno, dopo la sconfitta del partito ultranazionalista Diritto e Giustizia (Pis) a opera della Piattaforma Civica di Donald Tusk, che ha messo fine alla luna di miele con Viktor Orbán.Â
Chiusa l’improbabile parentesi magiara, il premier polacco non ha tuttavia un compito facile. La prima metà del 2025 si preannuncia dura e disseminata di svolte brusche per l’Europa, sballottata da ogni sorta di minacce economiche, diplomatiche e politiche. L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca lascia planare lo spettro di una guerra commerciale, che potrebbe lacerare l’Ue. L’industria europea è in grave affanno. La guerra di aggressione russa in Ucraina si avvicina alla fase cruciale, con Putin teso a consolidare il vantaggio militare prima che il nuovo presidente Usa provi a forzare una tregua o una pace a condizioni che rischiano di essere penalizzanti sia per Kiev che per noi europei.
Eppure, assenti Francia e Germania per le reciproche crisi interne, Tusk è probabilmente la cosa migliore che potesse accadere all’Ue in questa fase. Lo dicono le sue credenziali politiche: ha sconfitto un governo illiberale e bigotto che aveva gravemente danneggiato lo Stato di diritto in Polonia; ha guidato con equilibrio e saggezza il Consiglio europeo dal 2014 al 2019; è il solo leader di un grande Paese appartenente al Partito popolare, cioè la famiglia politica egemone sia nel Parlamento europeo che nella Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, con cui il premier polacco ha rapporti privilegiati.Â
Lo dice la nuova centralità che egli ha ridato alla Polonia, dopo anni di emarginazione: Tusk ha infatti rivitalizzato il triangolo di Weimar, la cooperazione regolare con Germania e Francia. Ed ha portato Varsavia nell’Alleanza dei Paesi Nordici e baltici, mentre ne ha accentuato la funzione di leadership fra i cosiddetti Nove di Bucarest, i Paesi dell’Europa centro-orientale membri della Nato.
Ma lo dicono soprattutto le urgenze che Donald Tusk ha indicato per la sua presidenza e che sono in totale sintonia con lo Zeitgeist. «Sicurezza, Europa!», è infatti lo slogan scelto per il semestre in cui Varsavia avrà la guida. «Sfondamenti in guerra e in pace potrebbero attenderci sul nostro fronte orientale. È ora che l’Europa si svegli», ha detto, spiegando che «l’Ue deve dimostrare di poter non solo sopravvivere ma anche passare all’offensiva politica». «Siamo determinati — così Tusk — a garantire che l’Europa inizi a pensare in modo più polacco in molti settori».
È la sua Storia drammatica a dare alla Polonia, sparita e risorta più volte come Stato indipendente e sovrano nel corso di un oltre un millennio, piena percezione del pericolo che viene dalle ambizioni neo-imperiali della Russia e la determinazione a convincere il resto degli europei a investire di più nella difesa e nella sicurezza economica, anche a costo di infrangere il tabù del debito comune. Tusk ne ha piena coscienza, quando dice che «l’era delle esternalizzazioni geopolitiche è finita».
Ma c’è un’altra ragione per cui la presidenza polacca dell’Ue giunge al momento giusto: Donald Tusk ha una bella storia da raccontare al suo omonimo americano, ossessionato dagli alleati morosi e scrocconi, che «non pagano i conti» della difesa, fin qui assicurata dagli americani. La Polonia, infatti ha le carte più che in regola: già al primo posto in Europa nella percentuale del Pil dedicata alla difesa, quest’anno Varsavia ha deciso di stanziare il 4,7% del suo prodotto lordo per le spese militari. «È un modo per dimostrare a Trump che l’Europa può rispettare e perfino superare gli impegni presi nella Nato», dice Anna Wojcik, della Kozminski University di Varsavia. A condizione che l’esempio venga seguito dagli altri governi europei, Tusk può indirizzare sul giusto binario i rapporti con la futura amministrazione.Â
Le attese sono molte, anche negli altri schieramenti politici: «Noi confidiamo molto nella presidenza polacca per avviare il nuovo piano e la strategia per la difesa e Tusk ci sembra molto determinato: è essenziale aumentare le risorse e superare l’unanimità », dice Sandro Gozi, eurodeputato del gruppo liberale Renew.
Certo, su Tusk potrebbe pesare la situazione politica interna, che lo vedrà impegnato a maggio in una decisiva elezione presidenziale, dove la vittoria del suo candidato, il sindaco di Varsavia Michal Wawrykiewicz, è indispensabile per superare il boicottaggio di fatto delle sue riforme da parte dell’attuale presidente, Andrzej Duda. Ma paradossalmente, fino a quel momento, Duda potrebbe tornargli utile nel rapporto con Trump, del quale si definisce «grande amico».
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