Quando il centro commerciale era lungo il Crati, memorie e cimeli dall’ultima bancarella di Cosenza

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difficile da pignorare

 


COSENZA «Cosa ricordo? Il centro storico pieno di vita, di gente. Gli abiti eleganti della domenica dopo la messa, il fotografo che immortalava le coppie in piazza Crispi e i bambini che giocavano a scivolare sui leoni. Era un altro mondo, che a guardarci intorno adesso, si fa fatica a credere che sia realmente esistito».  L’ultima bancarella di Lungo Crati custodisce cimeli e ricordi di questa storia in bianco e nero: vecchie foto, cartoline, stendardi e scatole di latta. A due passi dalla fontana del Balilla, Salvatore Palma – classe 1945 – è il custode della memoria nella sua baracchina in cui si vendono e si affilano coltelli dal secolo scorso, incastrata tra due alberi che ormai quasi la stritolano.

«Qui c’è il Busento – dice – ma la mia è l’ultima bancarella sopravvissuta ad un’era in cui eravamo un’unica grande realtà del commercio cosentino. Prima di me l’hanno gestita i miei genitori. Eravamo tantissimi un tempo, poi quando Lungo Crati è stato smantellato siamo rimasti in pochi: il musichiere, Nardi giocattoli, qui vicino. Poi anche loro hanno chiuso e adesso è il deserto. Io rimango ancora qualche anno – chiarisce –  ma solo per passare il tempo, per rimanere in un luogo a cui sono affezionato».
Intorno a lui coltellini e coltelli da macello di tutte le misure che un tempo erano merce ambita, mentre oggi la vetrina è diventata una teca. «Quando ogni famiglia ammazzava il maiale avevamo clienti in ogni paese della provincia – afferma –. Arrivavano a Cosenza per comprarli, all’epoca non c’erano tanti negozi e il centro storico di Cosenza con le sue bancarelle era un vero centro commerciale». 

Un lungo “apprendistato” e la gestione familiare

Ma partiamo dall’inizio, riavvolgiamo il nastro: «Mio padre Battista Palma aveva un negozio di generi alimentari in via Romualdo Montagna, manteneva così la sua famiglia. C’era un signore arrivato dal Trentino, ex finanziere, che aveva questo baracchino e vendeva e affilava coltelli. Io ero un bambino – ricorda – andavo alla scuola media. Mi disse: vuoi aiutarmi? Ti guadagni qualche lira. E così ho cominciato a lavorare qui per lui, facendo le consegne a corso Umberto». Il piccolo Salvatore a 12 anni fa il ragazzo di bottega, osserva come si affilano i coltelli, impara a riconoscere le lame e le misure. «Quando le figlie del titolare diventate ormai dottoresse vengono assunte nell’ospedale di un’altra provincia calabrese – continua a raccontare Palma – lui mi chiama in disparte e mi dice: chiedi ai tuoi genitori se vogliono comprare questa baracchina, io devo andare». La storia della coltelleria, nel 1967, continua grazie ai genitori di Vincenzo che accettano quella proposta.

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«Mio padre era un commerciante stimato e ben voluto da tutti» dice mostrando una foto in cui lo si vede sorridere accanto a sua moglie. «Quando morì fu mia madre a prendere le redini dell’attività e nonostante al tempo non fosse usuale che una donna sapesse gestire articoli come i coltelli, appannaggio totalmente maschile, è riuscita a portare avanti questa bancarella con passione e professionalità fin quando poi, nel 2004, ha lasciato a me il testimone». I ricordi s’incastrano come tessere di un puzzle, lo sguardo è ora malinconico ora acceso dalle sensazioni che rivive attraverso i ricordi.

Il quartiere dei commerci, dei giochi e delle “donnine”

«Quant’era bella questa piazza quando ero bambino! Mi ricordo che con i miei amici ci arrampicavamo sui leoni e scivolavamo sul muschio umido. Ci divertivamo come pazzi, ma alla fine eravamo tutti bagnati e dovevamo correre a casa ad asciugarci rischiando di prenderle dai nostri genitori». Sembra che tutto sia rimasto intatto, con la schiena delle sculture di marmo inverdita e il fiume che gorgoglia lento, le strisce di ferro a raggera che proteggono la baracca e quelle lame inviolate in vendita da oltre sessant’anni. «Era un viavai di gente. Di amici, di clienti, di curiosi. Qui sotto – dice indicando il marciapiede opposto –, c’era il diurno comunale con i bagni e le docce a pagamento. I bar sempre affollati, la fiera di San Giuseppe, davvero un altro mondo: ora non viene più nessuno» riflette con amarezza.

A lungo, nell’immaginario cosentino, l’area delle Poste vecchie davanti a piazza Crispi, è stato anche il luogo della perdizione, delle prostitute. Delle «donnine», precisa Palma. «Qui la sera accendevano i fuochi, si mostravano agli automobilisti che rallentavano per ammirarle. Me lo ricordo bene ed erano tutte italiane, anzi tutte cosentine. Quando il centro storico si è svuotato, lentamente sono svanite anche loro. Per qualche anno è rimasta qualche superstite che aspettava i clienti in macchina, poi – conclude – più nulla». (redazione@corrierecal.it)

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