Per salvare il Servizio sanitario nazionale è indispensabile una seria lotta all’evasione fiscale

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Le soluzioni che si prospettano per mantenere davvero universalistico ed efficiente il Ssn rischiano di rimanere inattuabili senza l’impegno a recuperare un tax gap stimato, nel 2021, in circa 80 miliardi di euro

«Fino a qualche tempo fa io ero, per così dire, pessimista con l’intelligenza e ottimista con la volontà. Cioè, sebbene vedessi lucidamente tutte le condizioni sfavorevoli e fortemente sfavorevoli a ogni miglioramento nella mia situazione […] tuttavia pensavo che con uno sforzo razionalmente condotto, condotto con pazienza e accortezza, senza trascurare nulla nell’organizzare i pochi elementi favorevoli e nel cercare di immunizzare i moltissimi elementi sfavorevoli, fosse stato possibile di ottenere un qualche risultato apprezzabile […] Oggi non penso più così.»
Queste parole di Antonio Gramsci, riferite alla sua condizione personale, hanno dato origine a un concetto socialista straordinariamente potente: il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà.

Leggendo l’articolo di Giuseppe Remuzzi, pubblicato il 3 gennaio scorso sul Corriere della Sera, non ho potuto fare a meno di considerarlo un encomiabile, volenteroso e civile esempio di ottimismo della volontà. Tuttavia, questa visione sembra entrare in conflitto con una lettura pessimistica ma più lucida del futuro del Servizio Sanitario Nazionale (Ssn). A Remuzzi, infatti, mancava un elemento cruciale: un articolo pubblicato recentemente su The Lancet, in cui si celebra il «de profundis» del nostro Ssn.

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L’editoriale, basato su dati del GIMBE, evidenzia fragilità ben note. Tuttavia, né l’editoriale né l’articolo di Remuzzi colgono il vero nodo della questione: in Italia, a differenza del Regno Unito, manca la volontà politica di affrontare il problema sanitario.

I punti sollevati sono tutti corretti: il combinato disposto del Titolo V della Costituzione, che non si riesce a riformare razionalmente a causa della litigiosità politica, e dell’autonomia differenziata rischia di dare il colpo di grazia al sistema, ampliando il già gravoso divario Nord-Sud; il fascicolo sanitario elettronico, gestito in modo farraginoso, che risulta inutilizzabile sia per i cittadini che per gli operatori sanitari e non è in grado di guidare l’allocazione delle risorse attraverso puntuali dati epidemiologici, come richiesto dall’European Health Data Space; I comitati etici che non funzionano e rendono la nostra ricerca scientifica non solo sottofinanziata, ma addirittura ostacolata; infine il concetto di privacy declinato in Italia in modo perverso, da renderlo un intralcio invece che una protezione.

Perché, allora, affermo che manca la volontà politica? Nell’articolo, Remuzzi ripropone una strategia indiscutibilmente efficace: potenziare le realtà distrettuali con una presenza forte e capillare sul territorio, dove i medici di medicina generale, gli infermieri e altre figure professionali sanitarie assumano un ruolo proattivo, superando la logica del «gatekeeping» adottata erroneamente in passato. Nulla da eccepire. Si tratta di un modello che richiederebbe lavoro, ma fattibile. Allo stesso modo, sarebbe possibile incentivare e rivalutare il ruolo dei medici del territorio, rendendolo più attrattivo per le giovani generazioni di laureati in medicina, che oggi disertano queste posizioni.

Tuttavia, ciò che rende velleitaria la visione di Remuzzi è la mancanza di risorse. Non possiamo illuderci ancora che sia il Pnrr la soluzione. Abbiamo bisogno di una fiscalità generale più equa, che si impegni a recuperare un tax gap stimato, nel 2021, in circa 80 miliardi di euro: l’equivalente di quasi tre finanziarie.

Fino a quando la politica non deciderà di affrontare con serietà la lotta all’evasione fiscale, le buone intenzioni degli ottimisti della volontà resteranno un’utopia.

*Ordinario di Oftalmologia, Università degli Studi di Milano




















































5 gennaio 2025

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