Dall’America una provocazione per aziende più inclusive
La storia di Shaun Arora offre uno spunto di riflessione interessante per tutte le realtà aziendali, anche italiane, che si trovano ad affrontare le problematiche di collaboratori affetti da forme di neurodiversità. Arora, dopo aver scoperto in età adulta di essere autistico, ha deciso di trasformare la sua esperienza personale in un progetto di cambiamento per i luoghi di lavoro. Questa provocazione positiva ci invita a ripensare i processi di selezione, le modalità di lavoro e l’ambiente aziendale, non solo per includere i lavoratori neurodiversi, ma per creare spazi in cui tutti possano esprimere al meglio il proprio potenziale.
Neurodiversità: da limite a risorsa preziosa
Come riportato di recente dalla rivista americana Entrepreneur, Shaun Arora ha lavorato per vent’anni come antropologo culturale, imprenditore e venture capitalist, ma solo nel 2021 ha ricevuto una diagnosi di autismo che gli ha permesso di comprendere meglio alcune difficoltà che aveva incontrato durante il suo percorso lavorativo. “Mi capitava di non cogliere battute che tutti trovavano divertenti, o di prendere le cose troppo alla lettera,” racconta. La sua condizione, che per lungo tempo era rimasta sconosciuta anche a lui stesso, potrebbe aver limitato le sue opportunità di carriera e, in alcuni casi, aver contribuito a interazioni problematiche con colleghi e superiori.
Come Arora, si stima che tra il 15% e il 20% degli adulti presenti forme di neurodivergenza, una condizione che include disturbi dello sviluppo come autismo, dislessia, ADHD e difficoltà di elaborazione sensoriale. In un contesto lavorativo sempre più complesso e competitivo, questa fascia di popolazione rappresenta una risorsa potenzialmente straordinaria per le aziende, a patto che vengano creati ambienti di lavoro inclusivi e adatti alle loro esigenze.
Inclusione: un’opportunità per le aziende
Con il perdurare delle difficoltà nel reperire e trattenere talenti, molte imprese stanno sviluppando politiche specifiche per attrarre lavoratori neurodiversi. Grandi aziende come Microsoft e Goldman Sachs hanno già avviato programmi dedicati all’assunzione di neurodivergenti, mentre un numero crescente di esperti e consulenti offre supporto alle piccole e medie imprese per seguire questa strada.
Dan Schawbel, managing partner della società di ricerca Workplace Intelligence di Boston, spiega che l’attenzione verso la neurodiversità ha subito un’accelerazione negli ultimi anni: “Cinque anni fa, nessuno ne parlava. Oggi è un tema centrale.”
Ripensare il processo di selezione
Uno degli ostacoli principali per i lavoratori neurodivergenti è rappresentato dal colloquio di lavoro, spesso tarato su criteri che penalizzano chi ha difficoltà nelle interazioni sociali. Per superare questo problema, Melissa Danielsen, cofondatrice di Joshin, una piattaforma di supporto per lavoratori neurodiversi, suggerisce di adottare modalità alternative al classico colloquio faccia a faccia. Un esempio efficace è proporre ai candidati una simulazione di un problema reale o un test pratico, permettendo loro di mostrare le proprie competenze in un contesto meno stressante.
Amber Broadway, direttrice operativa di Comprehensive Billing Consultants, ha modificato il proprio approccio ai colloqui dopo aver ricevuto una formazione specifica. In passato avrebbe escluso candidati che non mantenevano il contatto visivo o che non mostravano un atteggiamento particolarmente coinvolgente. Oggi, invece, è più attenta a valutare le competenze reali, riuscendo così a individuare talenti che altrimenti sarebbero stati scartati. “Ho assunto una candidata che in passato avrei escluso e oggi è una delle nostre migliori dipendenti,” afferma.
Ritenzione del personale e benessere: la chiave del successo
Il supporto non si esaurisce al momento dell’assunzione: trattenere i talenti neurodiversi richiede uno sforzo costante. La mancanza di supporto può infatti portare rapidamente a burnout e insoddisfazione, con un conseguente aumento del turnover. Gil Gershoni, imprenditore e fondatore di Gershoni Creative, ha scoperto che la sua dislessia, inizialmente percepita come un limite, si è rivelata un punto di forza. “La mia capacità di vedere schemi e connessioni è dovuta proprio al mio modo di pensare dislessico,” spiega. Oggi, il suo team applica il metodo Dyslexic Design Thinking, sfruttando la diversità di prospettive per sviluppare soluzioni creative e innovative.
Per offrire supporto concreto ai lavoratori neurodiversi, la piattaforma Joshin permette ai dipendenti di accedere in modo anonimo a risorse, coaching e strumenti di organizzazione personale. Anche i manager possono ricevere formazione e consulenza su come creare un ambiente di lavoro inclusivo. Alcuni grandi nomi come BestBuy e Hearst utilizzano già questa piattaforma per migliorare il benessere dei propri dipendenti.
Creare un ambiente di lavoro inclusivo
Gli esperti consigliano alle aziende di istituire gruppi di supporto interni per i lavoratori neurodiversi e di adottare strumenti tecnologici che facilitino il lavoro quotidiano. Soluzioni semplici come cuffie antirumore, sottotitoli automatici durante le riunioni virtuali, app per la gestione delle attività e calendari interattivi possono fare la differenza.
Anche piccole modifiche nel modo di comunicare possono migliorare significativamente l’esperienza lavorativa. Shaun Arora suggerisce, ad esempio, di cambiare l’oggetto delle email quando il tema della conversazione cambia, o di utilizzare elenchi puntati invece di lunghi blocchi di testo.
Infine, offrire maggiore flessibilità in termini di orari e spazi di lavoro può aiutare i lavoratori neurodiversi a esprimere al meglio il proprio potenziale, rispettando i loro ritmi naturali di energia e creatività. Greg Gallimore, di Gensler, sottolinea l’importanza di avere ambienti differenziati: spazi luminosi per il lavoro collaborativo e aree più tranquille per la concentrazione individuale.
Verso un nuovo modello di inclusione
Dopo la diagnosi di suo figlio, Shaun Arora ha fondato Brain Types, una società di consulenza che mira a cambiare il modo in cui le aziende percepiscono la neurodiversità. Arora immagina un futuro in cui non sarà più necessario un certificato medico per ottenere accomodamenti. “La normalità non esiste,” afferma. “Se smettessimo di usare termini come ‘disturbo’ o ‘neurotipico’, potremmo sviluppare maggiore empatia e valorizzare davvero l’intelligenza collettiva del mondo.”
Questa provocazione proveniente dagli Stati Uniti è un invito concreto a tutte le aziende, italiane e non, a passare dalle parole ai fatti, creando ambienti di lavoro in cui ogni persona, indipendentemente dalle sue caratteristiche, possa sentirsi accolta e valorizzata.
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