Natura eccezionale della disciplina in tema di cram down

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Il Tribunale può sostituirsi ai soggetti pubblici per approvare l’omologazione del concordato preventivo. Lo ha stabilito la Cassazione ricordando la natura eccezionale del Cram down

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 24527/2024, ha ribadito la natura eccezionale della disciplina in tema di cram down, in particolare affermando che la previsione dell’ultima parte del 4 co. dell’art. 180 L. Fall.” (ora l’art. 180, comma 4, LF non è più in vigore – o meglio non si applica alle pratiche in corso dopo l’entrata in vigore del CCII – ma, anche dopo il correttivo da ultimo approvato, la previsione è comunque contenuta nell’art. 88, comma 3 – concordato liquidatorio – e comma 4 – concordato in continuità) “ha sicuramente natura di norma eccezionale, nella misura in cui consente al Tribunale, ai fini dell’omologazione del concordato preventivo, di surrogarsi all’Amministrazione finanziaria ovvero agli Enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie in caso di loro mancata adesione – determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze – alla proposta concordataria”.

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La norma cioè, rileva la Cassazione, in quanto evidentemente “eccezione alla regola generale della libera determinazione dei soggetti – capaci – dell’ordinamento, siano essi privati o pubblici, libera determinazione non surrogabile dall’autorità statuale pur in veste di autorità giudiziaria, non si applica ai sensi dell’art. 14 delle preleggi oltre i casi e i tempi in essa considerati”.

I principi fondamentali che definiscono la natura eccezionale del cram down

Da qui si possono quindi ricavare alcuni principi fondamentali, tra cui, in particolare:

  • il cram down non può essere esteso in via interpretativa oltre i casi e i limiti normativamente stabiliti. E dunque, per esempio, senz’altro, essendo previsto solo “ai fini dell’omologazione del concordato preventivo”, non si può applicare in caso di concordato fallimentare;
  • la norma è insuscettibile di applicazione al di là dello spettro delle ragioni di credito propriamente di stretta spettanza dell’Amministrazione finanziaria, ovvero degli Enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie, compresi quelli vantati a titolo di aggio da Ader, che, afferma la Corte, dell’Amministrazione finanziaria non fa parte. Chiarisce infatti a tal proposito la Cassazione che il credito concernente gli oneri di riscossione, ossia il credito all’“aggio”, dell’Agenzia delle Entrate/Riscossione non è qualificabile come credito dell’Amministrazione finanziaria;
  • del resto, sottolinea la Corte, nell’attuale contesto persiste la distinzione tra il rapporto intercorrente tra l’ente impositore e il contribuente, da un lato ed il rapporto intercorrente tra l’ente impositore e l’ente strumentale, dall’altro. E per tale motivo la Cassazione disattende le deduzioni della ricorrente ancorate alla prospettazione per cui l’Agenzia delle Entrate/Riscossione è parte integrante dell’Amministrazione finanziaria (il che allora dovrebbe valere, ad esempio, anche ai fini delle eccezioni a volte sollevate su questioni di notifica, nella procedura, degli atti all’uno o all’altro ente, laddove la notifica ad Ader non può “sanare” eventuali mancate notifiche ad Ade).

La pronuncia della Suprema Corte è dunque molto rilevante, in un contesto in cui spesso le corti di merito vanno in ordine “sparso”.

Natura eccezionale della disciplina in tema di cram down: il caso esaminato dalla Cassazione

Vedendo più nel dettaglio il caso di specie che aveva generato il giudizio, il Pubblico Ministero aveva chiesto dichiararsi il fallimento di una Srl, che, con ricorso, aveva quindi domandato l’ammissione “con riserva” al concordato preventivo.

Il Tribunale assegnava alla società termine di sessanta giorni ai fini della presentazione della proposta e del piano; termine poi prorogato di ulteriori sessanta giorni.

La società depositava infine proposta e piano di concordato liquidatorio, con formazione di classi e transazione fiscale, nonché la documentazione richiesta e la relazione del professionista incaricato.

Il Tribunale dichiarava quindi aperta la procedura di concordato preventivo e, all’esito dell’adunanza dei creditori, il giudice delegato dichiarava non approvata la proposta di concordato.

La società, fissata l’udienza camerale, insisteva per l’omologa del concordato ai sensi dell’art. 180, 4 co., L.Fall., ma il Tribunale, all’esito dell’udienza, dichiarava inammissibile la proposta di concordato e dichiarava poi con sentenza il fallimento della stessa società, la quale, per quanto di interesse, proponeva reclamo adducendo che il Tribunale non aveva fatto luogo alla corretta applicazione del cram down con riferimento al credito dell’Agenzia delle Entrate/Riscossione, inserito nella classe III, ab origine chirografario, concernente gli oneri di riscossione (l’aggio), laddove la corretta applicazione della norma avrebbe comportato il riscontro del raggiungimento della maggioranza, per effetto appunto del cram down, nel maggior numero di classi.

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Con un secondo motivo di reclamo la società rilevava inoltre che la proposta concordataria, contemplante, subordinatamente all’omologazione del concordato, l’apporto di finanza esterna, avrebbe assicurato, unitamente all’importo ricavabile dalla prudente liquidazione del patrimonio aziendale, un significativo margine di soddisfazione ai crediti dell’Agenzia delle Entrate, dell’INPS, dell’INAIL e dell’Agenzia delle Entrate/riscossione; soddisfazione che viceversa sarebbe stata pari a zero in caso di fallimento.

La Corte d’Appello rigettava il reclamo, ritenendo che non si prospettasse l’asserita illegittima applicazione del cram down in relazione al credito dell’Agenzia delle Entrate/Riscossione, anche considerato che non si trattava in realtà “di credito erariale o previdenziale ma dell’aggio, che… non partecipa della natura dei crediti dell’agenzia delle entrate di cui costituisce mero accessorio”. Reputavano dunque i giudici che era da escludere che la maggioranza fosse stata raggiunta nel maggior numero di classi.

Reputava, altresì, la Corte che era peraltro senz’altro da disconoscere anche la maggiore convenienza della proposta concordataria, in quanto inidonea ad assicurare il pagamento della complessiva esposizione debitoria, dovendosi ritenere ragionevole l’opposizione espressa dall’Erario e dagli Enti previdenziali in relazione alla scarsa capacità della debitrice di soddisfacimento delle ragioni creditorie, anche considerato che l’Agenzia delle Entrate aveva segnalato che, “in concreto, l’attività svolta dalla società (reclamante) era stata unicamente finalizzata a porre in essere una forma illecita di somministrazione di manodopera, attraverso la sottoscrizione di contratti di rete, privi dei requisiti di legge” e che il Tribunale aveva evidenziato che era stato attuato il progressivo passaggio societario in un quadro in cui “l’ingegnoso passaggio di ricchezze ed il successivo intervento di salvataggio per l’attuazione del concordato ostavano alla positiva valutazione di convenienza postulata dal cram down”.

Avverso tale sentenza la società proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo che aveva errato la Corte d’Appello nel ritenere che il credito dell’Agenzia delle Entrate/Riscossione non fosse da ricondurre alla previsione dell’ultima parte del 4 co. dell’art. 180 L.Fall., che faceva riferimento tout court all’Amministrazione finanziaria, laddove l’Agenzia delle Entrate/Riscossione – ente pubblico strumentale dell’Agenzia delle Entrate – è dell’Amministrazione finanziaria parte integrante. Il che, come visto, avrebbe dovuto indurre, grazie all’applicazione del cram down, al riconoscimento del raggiungimento della maggioranza nel maggior numero di classi.

Secondo la ricorrente, inoltre, la Corte d’Appello aveva omesso di valutare la convenienza della proposta concordataria rispetto all’alternativa liquidatoria, non potendo la (bassa) percentuale di soddisfazione “assumere rilievo assoluto”, ed avendo comunque i commissari giudiziali opinato per la convenienza della proposta concordataria in rapporto all’alternativa fallimentare, anche alla luce della vana esperibilità delle azioni di responsabilità nei confronti dell’organo di amministrazione.

Infine la ricorrente censurava anche il fatto che la corte territoriale avesse provveduto alla formulazione di un indebito giudizio di meritevolezza sul conto della debitrice, anche considerato che né il Tribunale né la stessa Corte avevano riscontrato atti di frode ex art. 173 L.Fall.

Come sopra anticipato, la Suprema Corte riteneva le censure infondate.

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Natura eccezionale della disciplina in tema di cram down: il parere della Cassazione

Come detto, in particolare, i giudici di legittimità hanno evidenziato che la disciplina in tema di cram down ha sicuramente natura di norma eccezionale, almeno nella misura in cui consente al Tribunale, ai fini dell’omologazione del concordato preventivo, di surrogarsi all’Amministrazione finanziaria ovvero agli Enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie in caso di loro mancata adesione, determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze, alla proposta concordataria.

La norma, dunque, è insuscettibile di applicazione al di là dello spettro delle ragioni di credito propriamente di spettanza dell’Amministrazione finanziaria ovvero degli Enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie, laddove il credito concernente gli oneri di riscossione dell’Agenzia delle Entrate/Riscossione, anche nell’attuale contesto, caratterizzato dall’affidamento della riscossione a soggetto pubblico avente natura di ente strumentale, non è qualificabile come credito dell’Amministrazione finanziaria, persistendo appunto, nell’attuale contesto, la distinzione tra il rapporto intercorrente tra l’ente impositore e il contribuente, da un lato, ed il rapporto intercorrente tra l’ente impositore e l’ente strumentale, dall’altro.

Erano peraltro vane (rectius: inammissibili) anche le censura in ordine all’asserita irrituale valutazione della convenienza della proposta concordataria e in ordine all’asserita indebita formulazione di un giudizio di meritevolezza della debitrice, dato che, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una sola delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione (cfr. Cass., n. 2108/2012; Cass., n. 11493/2018).



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