Un pilastro del cantautorato italiano capace, con i suoi testi, di incantare ed emozionare. Roberto Vecchioni, 81 anni, è un artista vecchio stampo, un cantautore che ha conquistato generazioni diverse. I suoi brani sono intensi, poetici e raccontano i trascorsi di vita, che per molti aspetti può definirsi assolutamente tormentata. In una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, Vecchioni si è lasciato andare e con trasparenza ha parlato della sua storia. Dal significato di alcuni testi, qualche aneddoto passato, l’amore per sua moglie e il dolore incolmabile causato dalla morte di suo figlio Arrigo.
Vecchioni con naturalezza e la sua solita saggezza si è raccontato senza filtri.
Il figlio Arrigo
Arrigo Vecchioni ha perso la vita a 36 anni nell’aprile del 2023, era il terzo dei quattro figli del cantante, il primo nato dall’unione con Daria Colombo, la seconda moglie di Vecchioni. Come suo padre era un autore e scrittore. Soffriva di una malattia mentale che lo ha portato via. «Un ragazzo che non apparteneva a questo mondo: per discrezione, generosità, senso dell’umorismo. Era fantastico con i bambini. Vale per lui quello che ho scritto in una canzone per Van Gogh: “Questo mondo non si meritava un uomo bello come te”. Arrigo era un grande scrittore, ha composto poesie straordinarie. Ed era un grande interista» ha detto Vecchioni.
Il cantante, ovviamente, lo porta con sé tutti i giorni della sua vita. Dolore immenso e rimpianti, l’artista ha anche spiegato quale siano state le sue colpe: «Durante il giorno mi faccio forza, anche per mia moglie. Inoltre lavoro moltissimo ma qualche notte, quando Daria dorme mi ritrovo a piangere, lei non si dà pace e così è da oltre un anno. Non avevamo mai pensato al suicidio. La malattia mentale viene ancora affrontata come una vergogna; invece se ne deve parlare. Forse io e Daria scriveremo un libro. Un tempo io bevevo soprattutto superalcolici, lui soffriva nel vedere il suo papà, una persona importante, che si distruggeva così, di certo anche io ho le mie colpe».
Vecchioni ha messo da parte il problema con l’alcol, è uscito dal tunnel, una dipendenza che lo ha distratto dai suoi figli: «Non bevo più da dieci anni, proprio perché l’alcol mi distraeva dai figli. Ma ad Arrigo non è bastato. Non siamo riusciti a capirlo. Le forme bipolari sono aumentate con il Covid, lo stravolgimento dei rapporti umani ha fatto il resto, e l’assistenza sanitaria è gravemente insufficiente.
Troppe famiglie vengono lasciate sole. È una battaglia che io e mia moglie vorremmo combattere».
La moglie Daria Colombo
Roberto Vecchioni e Daria Colombo si sono sposati nel lontano 1983, per il cantautore è stato il secondo matrimonio dopo quello con Irene Bozzi. Oltre 40 anni di amore, Daria è la sua perfetta metà: «Quando la vidi pensai: ma davvero esiste una creatura così? Non avevo mai visto una donna tanto bella in vita mia. La chiamai, le chiesi di uscire. Il mattino dopo la richiamai: “Vuoi uscire anche stasera?”. È stato un corteggiamento lungo. Una battaglia. Ma sapevo che era la mia compagna. Infatti mi ha salvato la vita, tante volte».
Un punto di riferimento, una spalla su cui poggiarsi nei momenti complicati. Daria è sempre stata al suo fianco: Prima di ogni operazione, al polmone, al rene, alla prostata, al cuore, lei mi ha sempre fatto coraggio, “cosa vuoi che sia?”. Sono sempre entrato in sala operatoria ridendo”. Ma alludo soprattutto ad altro. Agli errori che mi ha evitato, alla vicinanza nei momenti bui, a come mi ha sostituito quando non c’ero…».
Sanremo
Roberto Vecchioni vanta, nella sua gloriosa carriera, anche la vittoria del Festival di Sanremo. L’indimenticabile brano Chiamami ancora amore, portato sul palco dell’Ariston nel 2011 ha conquistato tutti. Ecco come il cantautore ricorda questa esperienza: ««Sono sempre stato amico di Gianni Morandi. Andavamo anche in vacanza insieme, a Gallipoli e pure in Libia, quando c’era ancora Gheddafi… Nel 2010 Morandi comincia a rompermi le scatole: l’anno prossimo il festival lo faccio io, e tu devi portare una tua canzone. Il problema è che la canzone non l’avevo».
Poi, come accede ai grandissimi, è arrivata improvvisamente l’ispirazione: «Ero in hotel a Roma. Angosciato per quanto accadeva nel mio Paese. Era arrivata la grande crisi finanziaria dall’America, molti operai perdevano il lavoro, il governo Berlusconi non era all’altezza. Il portiere napoletano mi disse: “Adda passà ‘a nuttata”. In ascensore ho tradotto: “Questa maledetta notte dovrà pur finire…”. In camera l’ho scritta. Alle 4 del mattino ho chiamato il mio arrangiatore per cantargliela. Poi ho telefonato a Morandi: “Gianni, ho la canzone per Sanremo”. Cominciai a sognare di vincerlo. Immaginavo di ricevere un’ovazione a Sanremo e di vincerlo clamorosamente. Arrivai al festival, provai la canzone, poi andai al ristorante, mezzo vuoto. Ma dopo la prima serata in cui avevo cantato “Chiamami ancora amore”, con addosso una paura terribile, perché non si ha idea della paura che ti mette Sanremo, fuori dallo stesso ristorante c’erano duemila persone ad aspettarmi. Capii che il sogno si stava avverando».
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