Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, si è presentato a Napoli, accompagnato da figlia e figlio, e come un privato cittadino si è riappropriato del gusto di godere dei tesori culturali di questa città. Sempre come privato cittadino è stato riconosciuto tra gli applausi come il loro Presidente dai napoletani.
Villa Rosebery è la seconda residenza ufficiale del Presidente della Repubblica e la passeggiata di Mattarella tra alcune bellezze della storia di Napoli è, a sua volta, il riconoscimento a un patrimonio culturale di grande rilevanza che appartiene a Napoli ancora, forse, sottovalutato e, in passato, addirittura svilito da un folclore decadente.
La storia di Napoli di questi anni è quella della rinascita di una capitale europea che guida una stagione nuova di tutto il Sud che fa i conti con le disparità strutturali ricevute in eredità, ma è stabilmente impegnato a costruire il suo domani di modernità. Il Mezzogiorno è oggi un cantiere aperto che nessuno può chiudere.
Nei primi giorni del nuovo anno la struttura di missione della zona economica speciale (Zes) ha rilasciato circa 20 autorizzazioni uniche per nuovi investimenti. In pochi mesi sono 436. Periodo medio di istruzione della singola pratica 30/45 giorni. Nel solo agglomerato industriale di Caivano, che vuol dire ad esempio marchi tipo Caffè Borbone, aceti De Nigris, Unilever, ma di cui pochi conoscono perfino l’esistenza, sono state rilasciate altre trenta autorizzazioni uniche per l’ampliamento di opifici esistenti o per nuovi insediamenti produttivi. Questo si chiama lavoro. Questo si chiama futuro.
Sergio Mattarella a Napoli, la visita privata del centro storico e il museo san Martino
È l’unico racconto di verità possibile sul nuovo Mezzogiorno di oggi. Perché tra Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr), Fondo di Sviluppo e Coesione, credito di imposta maggiorato, decontribuzione prorogata al 25%, fondi nazionali e europei di coesione, siamo di fronte alla più grande mobilitazione organizzata di risorse finanziarie e di investimenti produttivi pubblici e privati per una macroarea europea che si colloca strategicamente al centro del nuovo mondo che è quello dell’asse Sud-Nord.
Sono tutti soldi veri e sono state strette al massimo le maglie sulle erogazioni a pioggia. Si delinea finalmente un disegno unitario di interventi che agisce sui fattori di contesto infrastrutturale di sviluppo e di sostegno diretto all’investimento produttivo privato e pubblico che genera lavoro di qualità dentro un piano di lungo termine.
Qui, non altrove, in uno dei pochi Sud del mondo non solo non autocratico ma inserito addirittura in un Paese del G7, possono crescere i data center del futuro perché sempre qui, non altrove, è possibile realizzare il grande hub energetico che serve all’Europa e all’Italia oltre che al nostro Mezzogiorno senza i quali il consolidamento dell’autonomia energetica e la sfida dell’intelligenza artificiale si misurano con un handicap strutturale. Sono state fatte scelte politiche di rottura nella gestione delle risorse europee e nazionali e si è avuta una risposta superiore alle attese delle amministrazioni comunali meridionali come soggetti attuatori. Ci sarà, di certo, un ulteriore travaso di risorse a favore del credito di imposta perché la domanda è molto forte e si accelera parallelamente sugli interventi di struttura, treni veloci, aeroporti e digitale in primis, e contro le disparità sociali a partire da scuola e sanità.
Quello che, però, continua pericolosamente a sfuggire all’opinione pubblica, soprattutto nazionale, perché quella internazionale è più avveduta, è che Napoli, Bari, Catania, Cosenza appartengono già al mondo del futuro. Che la ripartenza della Puglia è avvenuta con gli aeroporti di Bari e Brindisi. Che il sistema aeroportuale integrato di Napoli-Salerno è di livello intercontinentale e ha sostenuto la Campania della maggiore crescita di export manifatturiero dal post covid a oggi tra i territori dei Paesi del G 7. Che, infine, i lavori in corso sugli aeroporti di Lamezia Terme, Crotone e Reggio Calabria pongono le condizioni perché anche questa regione con i suoi primati universitari e industriali cessi tra qualche anno di essere il problema del Sud.
Quello che continua pericolosamente a sfuggire ai più è che la crisi manifatturiera tedesca continuerà a mordere sulla nostra manifattura e che anche questo contesto oggettivo dovrebbe spingere l’impresa produttiva del Nord italiano a investire di più nel Mezzogiorno sfruttando la mole di vantaggi contributivi fiscali e di sostegno all’investimento partendo dalla banale constatazione che già le condizioni attuali di contesto infrastrutturale sono nettamente favorevoli rispetto a quelle di altri territori del mondo su cui si pensa di investire. Non ci salveremo, senza questo cambio di mentalità, con un Sud che continua a fare un po’ meglio e il Nord un po’ peggio. Oggi l’Italia ha l’occasione irripetibile per riunirsi finalmente nella produzione e cogliere la sua grande opportunità storica determinata dal nuovo contesto geopolitico.
Quello che continua pericolosamente a preoccupare è che l’Europa faccia ancora fatica non a riconoscere il ruolo strategico del Sud italiano, come unica piattaforma europea che si allunga nel Mediterraneo, perché questo è ormai chiaro a tutti, ma a fare del piano Mattei non predatorio proposto dall’Italia il nuovo asse strategico dominante della sua politica estera. Che faccia ancora fatica a investire su una politica energetica e industriale che riunisca le due grandi manifatture europee mettendo capitali e risorse sull’asset strategico del nostro Mezzogiorno. Il punto di fondo che non si mette bene a fuoco è che il tema non è più se il Sud può farcela, ma che l’Europa e l’Italia non possono più farcela senza il Sud.
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