L’avvocato che usa ChatGPT può essere sanzionato?

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È legale scrivere con l’intelligenza artificiale? Il difensore che redige gli atti mediante chatbot commette un illecito disciplinare?

L’intelligenza artificiale può rivelarsi molto utile nel fornire supporto in diversi settori, anche in quello professionale. Grazie a questi speciali software, è possibile elaborare contenuti a volta anche molto precisi e tecnici, in grado (quasi) di sostituire il lavoro di una persona. In questo contesto si pone il seguente quesito: l’avvocato che usa ChatGPT può essere sanzionato?

Un legale potrebbe infatti avvalersi dell’intelligenza artificiale per redigere memorie difensive, diffide e altri atti, senza che nessuno possa notare una sostanziale differenza con quelli “originali”, cioè scritti personalmente dal professionista. Se però qualcuno dovesse accorgersi dell’impiego di ChatGPT (o altri “chatbot”), in quali rischi si finirebbe per incorrere? L’avvocato che usa l’intelligenza artificiale commette un illecito disciplinare? Approfondiamo l’argomento.

È legale scrivere con l’intelligenza artificiale?

In linea di massima, è legale scrivere atti e documenti con l’intelligenza artificiale; un’attività di questo tipo, infatti, non integra alcun plagio in quanto non esiste una norma che attribuisca legalmente la paternità di un’opera a una macchina.

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Da tanto deriva che l’opera dell’ingegno creata per mezzo dell’intelligenza artificiale deve attribuirsi in ogni caso alla persona che, per mezzo del dispositivo, ha ottenuto il risultato finale.

Insomma: l’IA è solo uno strumento di cui è possibile avvalersi.

A tal proposito, si legga l’articolo dal titolo Intelligenza artificiale: di chi è il diritto d’autore?

Fanno eccezione le ipotesi in cui la legge vieta espressamente di produrre un elaborato che non sia il frutto originale della propria attività intellettuale.

Ad esempio, non è legale scrivere una tesi con l’intelligenza artificiale in quanto la legge (artt. 1 e 2, l. n. 475/1925), in questo specifico settore, tutela l’originalità delle opere dell’ingegno e, al contempo, la corretta valutazione del lavoro del laureando, il quale deve essere giudicato, durante la seduta, per ciò che ha scritto.

Il difensore che usa ChatGPT può essere sanzionato?

Un avvocato può affidare la redazione dei propri atti all’intelligenza artificiale, consapevole però del fatto che risponderà personalmente di ciò che in essi v’è scritto.

Come ricordato, infatti, ChatGPT – così come gli altri “chatbot” – sono solo strumenti nelle mani delle persone che decidono di utilizzarli.

Pertanto, se l’intelligenza artificiale dovesse commettere errori, a risponderne sarà ovviamente il soggetto che si è avvalso del software: nel caso di specie, l’avvocato.

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Insomma: l’intelligenza artificiale è responsabile tanto quanto la penna – o la tastiera – con cui gli atti vengono scritti.

Detto ciò, non sembra possibile che un avvocato possa essere sanzionato per il solo fatto di essersi affidato all’intelligenza artificiale, soprattutto se gli atti sono stati ben preparati.

Nel caso contrario, egli risponderà del suo operato nei confronti del proprio cliente, il quale potrà agire per far falere la responsabilità professionale del difensore.

L’avvocato che usa ChatGPT deve essere pagato?

L’utilizzo dell’intelligenza artificiale non pregiudica il diritto dell’avvocato a essere retribuito per l’attività svolta.

Come più volte ricordato, l’IA è solo uno strumento, di cui il professionista deve sapersi avvalere per agevolare il proprio lavoro.

Rifiutarsi di retribuire l’avvocato solo perché ha utilizzato ChatGPT è come non voler pagare un professionista solo perché ha utilizzato un computer.

Quanto detto sinora è confermato dalla Corte di Cassazione (ord. n. 14283/2023) secondo la quale l’avvocato va pagato anche se gli atti processuali sono redatti dal cliente e il legale si è limitato esclusivamente a sottoscriverli.

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Insomma: il diritto all’onorario sorge per il solo fatto della paternità degli atti che, come detto, anche se redatti dall’intelligenza artificiale, vanno sempre formalmente attribuiti a colui che se ne avvale e che li fa propri.

D’altronde, ciò è in linea con la responsabilità professionale che, come detto, resta in capo all’avvocato anche se a sbagliare è stata l’intelligenza artificiale della quale si è avvalso.



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