Las Vegas, i primi passi verso la verità: le analisi del team Tesla e la ricostruzione della «mente complessa» di Livesberger

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di
Guido Olimpio

Il pick up Tesla esploso davanti alla Trump Tower di Las Vegas ha «parlato». Gli inquirenti, con l’aiuto della compagnia di Elon Musk, hanno ottenuto dati utili all’inchiesta

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Il pick up Tesla esploso davanti alla Trump Tower di Las Vegas ha «parlato». Gli inquirenti, con l’aiuto della compagnia di Elon Musk, hanno ottenuto dati utili all’inchiesta e, infatti lo Sceriffo ha ringraziato pubblicamente la società per la collaborazione.

Il veicolo, guidato dal sergente delle forze speciali Matthew Livesberger, è deflagrato all’ingresso dell’hotel. Nella parte posteriore c’erano fuochi d’artificio e sostanze infiammabili che sono detonate innescando le fiamme. I pompieri, però, sono riusciti comunque a recuperare reperti utili mentre in città è arrivato un team tecnico della Tesla che ha dato la sua assistenza per ottenere ogni informazione possibile.




















































Le telecamere di bordo e elementi ricavati dal «istema» hanno permesso di ricostruire il viaggio compiuto dal militare, partito da Denver (Colorado) e poi arrivato in città dopo almeno otto tappe per ricaricare il veicolo. I video non hanno rivelato la presenza di altre persone mentre lo stesso Musk si è affrettato a sottolineare che in base ai parametri a disposizione il pick up non aveva presentato anomalie. Una precisazione in risposta all’ipotesi che il veicolo si fosse incendiato per un’avaria. Una delle tante supposizioni emerse all’indomani dell’attacco: c’è chi ha messo in discussione la versione ufficiale, ha avanzato dubbi sulle cause, persino sospettato manovre per far ricadere la colpa sul sergente, un veterano pluridecorato.

Un secondo fronte è stato aperto dal ruolo della società e il suo database. Da un lato c’è il riconoscimento per il contributo a far chiarezza, dall’altro il timore che va oltre l’episodio specifico di una violazione della privacy dei cittadini, tracciati da GPS, computer, sincronizzazione dei telefonini con la «memoria» di bordo. Un problema che, secondo un’associazione, sarebbe elevato in caso di noleggio di auto sempre più «elettroniche» e che è già stato al centro di iniziative legali.

Tornando all’attacco nei pressi dell’albergo l’attenzione è concentrata sul passato del protagonista. Nella ricostruzione degli investigatori Livesberger si è tolto la vita usando una delle due pistole acquistate durante il viaggio. E il movente del suo gesto sarebbe da collegare ad una situazione mentale complessa: depressione, trauma psicologico dopo anni di missioni, forse anche danni celebrali non rivelati. Una condizione peggiorata a causa di difficoltà familiari e professionali. Una sua ex fidanzata ha raccontato dell’insonnia prolungata, di un malessere profondo e di altre conseguenze. Inoltre, il sergente aveva cercato di superare un corso piuttosto complesso – Advanced Special Operations Techniques, di 14 settimane – ma lo aveva fallito e ciò aveva aumentato il suo stress. Poi, alla viglia di Natale, la rottura con la moglie a causa di problemi di infedeltà.

In una serie di e-mail e messaggi Livesberger ha raccontato i suoi tormenti, le turbe, la paura di «essere sotto controllo», l’esigenza di «liberare la sua mente per tanti fratelli persi», il desiderio di svegliare «l’America debole e sull’orlo del precipizio» ma anche parlato delle incursioni dei droni cinesi, di crimini di guerra e del timore di essere fermato in modo violento. Sostenitore di Donald Trump, non è però chiaro perché abbia scelto proprio la «torre» che porta il nome del presidente come teatro del suo atto estremo.

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5 gennaio 2025

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