Il vento gelido di gennaio che attraversa Ivrea, accarezza i volti e punge le mani dei partecipanti al 150° presidio per la pace, non riesce a spegnere la loro determinazione.
Centocinquanta presidi consecutivi, un record che non ha eguali nel mondo, una testimonianza di impegno civile che non conosce pause né rassegnazione. Solo a Ivrea può succedere tutto questo. Qui dove ancora ribolle l’insegnamento di Adriano Olivetti. Qui dove ogni pietra che si calpesta racconta un “sogno”, un’ideale, una liberazione.
Ed è qui, in piedi, stretti uno a fianco dell’altro, arricciati dento aigiubbotti, sotto un cielo grigio, che donne e uomini si ritrovano per ribadire ancora una volta quello che dovrebbe essere ovvio e che invece il mondo sembra ignorare: basta guerre.
Sono trascorsi quasi tre anni da quel 26 febbraio 2022, quando un gruppo di cittadini si riunì per la prima volta, sconvolto dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Oggi, quel messaggio risuona con la stessa forza, anche se carico di amarezza per ciò che, nel frattempo, non è cambiato.
Pierangelo Monti, la voce di questo movimento instancabile, parla con passione, dolore e determinazione.
“Questo è il primo presidio del 2025, e il 150° dal nostro inizi – dice, anzi no urla – Continuiamo a gridare cessate il fuoco, fermate la distruzione, basta con i missili e le bombe. Ma loro, i potenti, continuano. Continuano a bombardare ospedali, scuole, case, uccidendo migliaia di civili, persino bambini. È tutto così assurdo. Un immane spreco di vite, risorse, lavoro. E noi siamo qui, nonostante tutto, perché non possiamo arrenderci.”
Le sue parole pesano come macigni, trovando terreno fertile nei cuori di chi ascolta.
“Restiamo umani, come scriveva Vittorio Arrigoni” scandisce bene guardando negli occhi il piccolo gruppo di presenti.
Qusi una preghiera “Non possiamo cedere al fatalismo, all’idea che la guerra sia inevitabile. Continuare a manifestare significa tenere viva la nostra coscienza e ricordare a tutti che un mondo diverso è possibile.”
Il discorso si snoda attraverso il dolore del mondo, un viaggio che attraversa terre martoriate e nomi di conflitti che raramente trovano spazio nei telegiornali. Il Sudan, devastato da una guerra civile che dal 15 aprile 2023 ha provocato oltre 15.000 morti e milioni di sfollati. Haiti, dove bande armate controllano l’85% della capitale, lasciando la popolazione nel caos. E poi Gaza, dove le bombe non risparmiano nessuno e un’intera società è stata annientata.
“Gaza non esiste più,” legge Monti, riportando le parole di un articolo de Il manifesto. “È stata distrutta come collettività, cancellata dalla fame, dalle bombe, dal freddo. La guerra non è mai una soluzione, è solo un suicidio collettivo.”
Il tono si fa ancora più grave quando Monti cita Amos Goldberg, professore di Storia dell’Olocausto.
“Quello che Israele sta facendo a Gaza è un genocidio. Non semplicemente uccidere molte persone, ma distruggere intenzionalmente un’intera società.”
Parole dure. Veri e propri macigni. Difficili da ascoltare, ma necessarie. Monti non teme di affrontare le verità più scomode: “Siamo complici. Non abbiamo fatto abbastanza per prevenire tutto questo. Ma non possiamo arrenderci. Dobbiamo continuare a gridare la nostra opposizione, anche se siamo pochi.”
Al presidio anche Livio Obert, reduce dalla 57° Marcia Nazionale della Pace a Pesaro. Racconta con fervore l’esperienza vissuta.
“Il popolo della pace esiste anche se i media lo ignorano – sottolinea -. Dobbiamo organizzare la speranza, perché senza speranza non c’è futuro. E non dobbiamo mai smettere di lottare per un mondo più giusto.”
Rosanna Barzan riporta i ricordi di un viaggio a Beit Ummar con cui Ivrea è gemellata. La città, un tempo prospera, oggi è devastata dalla guerra. Il suo racconto si sofferma su un’immagine tanto commovente quanto dolorosa: “I bambini si muovevano nella terra come se stessero nuotando. Quando chiesi il perché, mi risposero che gli israeliani avevano ridotto l’acqua a disposizione, ma i bambini volevano continuare a nuotare, anche nella polvere. Perché puoi togliere tutto, ma non la voglia di sognare.”
In chiusura Rachele Chillemi legge un comunicato dell’ANPI.
“La guerra non è mai una soluzione. Non possiamo permettere che l’orrore diventi un’abitudine. Dobbiamo mobilitarci, ora, per fermare questa follia distruttiva.”
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