«Il modello Albania è già fallito. Ma a sinistra troppa ideologia»

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Mario Morcone ha un curricum incredibile. Che non è un curriculum, è la sua storia: nato a Caserta, diventa il prefetto più giovane d’Italia, poi caposegreteria al Viminale con Mancino, in Kosovo per l’Onu, commissario di Roma, direttore dell’Agenzia per i beni confiscati alla criminalità, candidato sindaco a Napoli, capo del Dipartimento per l’Immigrazione al Viminale, capo di gabinetto del ministro Riccardi, e poi al Viminale con Marco Minniti.

Lì, prima e dopo di lui c’erano Luciana Lamorgese e Matteo Piantedosi, diventati entrambi ministri degli Interni. Lui invece è diventato direttore del Consiglio per i Rifugiati. Oggi è assessore nella Campania di Vincenzo De Luca. Naturalmente con deleghe a immigrazione, sicurezza e legalità, «cose che in Campania danno un certo da fare», dice con ironia.

Filosofo pragmatico da sempre, dice che il dialogo con il governo Meloni tutto sommato non è malaccio: parla bene dei sottosegretari Wanda Ferro e Alfredo Mantovano. Spiega che in Campania lui fa «quello che devo fare, senza fare troppo rumore».

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Perché “senza fare rumore”? L’immigrazione è un tema spinoso a sinistra?

A sinistra ci sono due posizioni: una ideologica, forte nel Pd, come quella dell’Arci, lo dico senza cattiveria, che mantiene la purezza senza sporcarsi le mani. E un’altra che ha sempre tenuto conto della necessità di rassicurare le persone di un aspetto legalità e sicurezza. Guardi, io con il Pd parlo, sono amico di Pierfrancesco Majorino, conosco Schlein da quando si occupava di immigrazione. Ma bisogna dare delle risposte, ai cittadini e agli altri paesi dell’Ue.

In attesa della sentenza della Corte di Giustizia europea, qual è il suo giudizio sulle politiche migratorie del governo Meloni?

Pessimo. Si è costruito un cinico e tragico palcoscenico sugli sbarchi, tenendo dietro le quinte invece un tema fondamentale per la prospettiva futura del nostro paese, quello dell’accoglienza sul territorio delle persone immigrate. La destra ha negato quello che si era costruito nel passato, un’accoglienza fatta di piccoli centri, piccoli numeri, sostenibili nei comuni e utili alla coesione sociale grazie a un accordo con l’Anci, l’associazione dei sindaci. La destra da sempre vuole i grandi centri che costruiscono isolamento e frustrazione: il migrante non riesce a fare il corso di lingue, né formazione professionale, quindi finisce per essere sempre più frustrato, e dalla frustrazione ai comportamenti illegali il passo è breve. Così un ministro dell’istruzione può dire che gli immigrati sono la principale causa dei reati del nostro paese. Non è vero.

La destra non capisce che l’Italia ha bisogno dei migranti?

Sì, intanto l’integrazione e l’accoglienza sono valori costituzionali, ce lo ha ricordato il presidente Mattarella. Abbiamo bisogno di loro, purché siano regolari. Lo dicevamo dai tempi del governo Amato, lo dice la Banca d’Italia, il Sole 24Ore.

Il “modello Albania” è utile?

No, è pessimo. La destra insegue le sue ossessioni: il blocco navale, stupido e impossibile. Ora il modello Albania. Su cui raccontano storie incredibili: persino che tutti in Europa si congratulano con Meloni.

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Non è vero?

Starmer, nel Regno Unito, ha stracciato l’accordo con il Ruanda. Scholz chiede che smettiamo di fare i furbi mandando in Germania la gente proveniente dagli sbarchi del nostro Sud, e rifiutandoci di riprenderla indietro, come prevede l’accordo di Dublino. La questione albanese è sotto gli occhi di tutti. Lasciamo perdere chi dichiara che un paese è sicuro o no, hanno ragione i magistrati: il magistrato è chiamato a verificare se vengono rispettati i diritti individuali. Scommetto mille euro che nessuno in Europa replicherà il modello Albania.

Quale sarebbe un modello che può seguire l’Europa?

Sono secoli che la gente emigra, una sola soluzione non c’è, ma ci sono politiche possibili che mitigano gli effetti delle migrazioni e le rendono sopportabili ai paesi d’approdo. Serve parlare con i paesi del Nord Africa. E qui c’è la mia differenza con quella sinistra che pensa che non dobbiamo parlare con la Libia, con l’Egitto, con la Tunisia. Invece dobbiamo costruire rapporti e lavorare sugli ingressi regolari per lavoro. Meloni ha cominciato a farlo: ma poi quando queste persone arrivano su territorio italiano, dobbiamo offrire servizi adeguati. Qui in Campania lo facciamo, ma sempre a bassa voce, senza clamore.

Dunque va bene il piano Mattei?

Il nome è roboante, ma la strada è quella: tessere dei rapporti con i paesi di provenienza. Costruire percorsi di legalità, chiedendo in cambio un atteggiamento più duro contro i trafficanti di esseri umani. Che non sono quelli che portano la barca nel canale di Sicilia. Le racconto una storia: ai tempi di Gheddafi, accompagnai il ministro Maroni in Libia a incontrare il responsabile della sicurezza interna, che non poteva uscire dal paese perché aveva un mandato di cattura internazionale. Eravamo in salotto sfarzosissimo, con un grande divano, le teste di leone. Disse al ministro: ti faccio un regalo. E gli consegnò un elenco di numeri telefonici italiani, i contatti con la Libia per il traffico di esseri umani.

E non erano Ong.

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Ma no, erano delinquenti che si arricchivano sulla pelle di questi poveretti. Come la vicenda che Meloni ha denunciato sul decreto flussi: i migranti sono le vittime, i carnefici quelli che offrono contratti che non saranno mai firmati solo per farli entrare in Italia.

Chiedere ai paesi di partenza di essere più duri con i trafficanti significa chiudere gli occhi sui lager?

E non chiederlo significa agevolare l’attività dei trafficanti. Le garanzie le devi ottenere dal paese di partenza, in cambio di aiuti su progetti sanitari, sull’ambiente, sull’istruzione. Così puoi pretendere che le autorità vigilino perché non si creino situazioni di disprezzo dei diritti delle persone.

Ma è possibile dove i diritti non ci sono, ci sono dittature e tagliagole?

Il problema non è se è possibile o no, il problema è che lo devi fare. Dire di no è ideologico, e ridicolo.

Questo è «il modello Minniti», sconfessato da Schlein e dal nuovo Pd.

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Per una posizione puramente ideologica. Il governo degli sbarchi è indispensabile, e all’Europa dobbiamo dare garanzie. Ora Graziano Delrio dice di avere preparato un disegno di legge per quando andranno al governo, sostiene di legare l’arrivo al lavoro, condivido pienamente. Ma va fatto con garanzie per tutti: per il migrante e per gli italiani.

La sinistra sostiene modelli agli antipodi di quello di Minniti: Pietro Bartolo, Mimmo Lucano.

Li conosco entrambi bene, c’è differenza fra i due. Bartolo faceva il medico a Lampedusa. Di Lucano sono stato sinceramente amico, ma io sono un prefetto, le regole vanno rispettate, eventualmente cambiate, ma intanto rispettate.

Crede nella strada dei rimpatri?

Un’altra grande falsità. I rimpatri sono di due tipi: quelli forzati e quelli volontari assistiti. Quelli forzati, checché né dicano Salvini e Piantedosi, non li riesce a fare nessuno, neanche Francia e Germania: i paesi che devono riaccogliere non vogliono, servono soldi e poliziotti. Si possono fare i rimpatri volontari assistiti. Ma ci vuole coraggio a dirlo; a chi è venuto in Italia pensando di trovare l’America e non l’ha trovata, puoi offrire di tornare a casa: accompagnarlo, pagare il biglietto e incentivi per il reinsediamento, si può comprare anche un baracchino per vendere la verdura. E allora lì puoi fare numeri alti. Chi dice che ci vogliono troppi soldi mente: ci sono fondi europei destinati a questo.

Le regioni cosa possono fare?

Inclusione e integrazione. La Campania ha usato tutti i soldi che l’Europa ci dà e un po’ del bilancio regionale per il contrasto al caporalato. Quello che non possiamo fare è sostituirci alle competenze dello Stato. Possiamo fare i tavoli con la polizia per avere i permessi di soggiorno in un mese anziché in un anno, ma qui dovrebbe arrivare Piantedosi.

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Ci fosse una nuova giunta De Luca lei sarebbe ancora assessore?

In ogni caso io non sarò assessore. Ho 72 anni, non ho più le energie di quando facevo il leone al Viminale, con i colleghi e con qualche ministro. E per essere rieletto De Luca ha bisogno di relazioni politiche. Che io non gli posso assicurare. Alla fine sono e rimango un tecnico, ho una sensibilità politica, ma rimango un prefetto.

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