Il delitto Mattarella, killer di mafia contro le carte in regola

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A lungo inquadrato in un patto inconfessabile che – era la convinzione di Giovanni Falcone – avrebbe potuto riscrivere, «rifare la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani», per l’omicidio di Piersanti Mattarella, fratello di Sergio, potrebbe definitivamente tramontare la tesi della convergenza di interessi, dello scambio di favori tra «neri» e Cosa nostra.

Riemerge infatti, 45 anni dopo, la pista degli esecutori mafiosi. In un’inchiesta riaperta anni fa, ma di cui si riparla prevalentemente nell’imminenza di ogni anniversario, c’è stata un’accelerazione che porterebbe a escludere definitivamente che gli assassini siano i terroristi neofascisti ritenuti alleati dei boss, Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, peraltro già processati per il fatto specifico e «coperti» da un giudicato assolutorio, ostacolo processuale tecnicamente insormontabile.

Un’auto sospetta, fotografata per caso sul luogo del delitto, in via Libertà: ci sarebbe questo, alla base della nuova ipotesi investigativa che ha portato a una decisa accelerazione. Un’auto la cui immagine sarebbe stata pubblicata, 45 anni fa, dal Giornale di Sicilia. Un riscontro possibile per circoscrivere il novero dei sospetti.

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In cima alla lista Nino Madonia, da anni e anni indicato tra coloro che ebbero un ruolo di primissimo piano nel delitto: il figlio del patriarca di Resuttana, Ciccio Madonia, non è mai stato giudicato per l’omicidio del fratello dell’attuale Capo dello Stato, che fu tra i primissimi a soccorrere l’agonizzante presidente della «Regione dalle carte in regola». Proprio Madonia sarebbe uno dei due nuovi indagati.

L’altro sarebbe un killer doc dei gruppi di fuoco che allora eseguivano sentenze di morte a ripetizione: Giuseppe Lucchese, Lucchiseddu, sepolto da una montagna di ergastoli come del resto lo stesso Antonino, «Nino». Madonia è il secondo di quattro fratelli (Giuseppe, Salvino, Aldo): una famiglia in cui solo Aldo non è al carcere a vita.

Anche il padre, Francesco «Ciccio» Madonia, è morto durante la detenzione. E lui era stato condannato come mandante dell’omicidio, nel processo sui delitti politici (Mattarella, Reina, La Torre, Dalla Chiesa) in cui erano stati imputati come esecutori solo Fioravanti e Cavallini, poi assolti su richiesta della stessa Procura.

La sentenza è stata confermata fino in Cassazione. Madonia e Fioravanti, da giovani, come dimostrano le loro foto d’epoca, si somigliavano molto: non proprio due gocce d’acqua ma scambiarli non sarebbe stato impossibile. Per questo la testimonianza della vedova del presidente, Irma Chiazzese, che in aula si disse sicura che a sparare fosse stato Fioravanti, potrebbe essere un involontario e ulteriore riscontro della possibile colpevolezza di Nino Madonia.

Nei mesi scorsi un anonimo era stato recapitato ai familiari: lì si indicava il killer (secondo l’anonimo), con tanto di identikit e foto del possibile colpevole. E poi gli investigatori della Dia, su delega della Procura, erano andati nelle redazioni di quotidiani, televisioni e agenzie di stampa, alla ricerca di foto, articoli, materiale di ogni genere. Erano stati anche nella sede del Giornale di Sicilia e, chiedendo una riservatezza che avevano ottenuto in maniera incondizionata, avevano riprodotto tantissimo materiale, anche fogli di vecchi giornali dell’epoca. Proprio lì, sulla vecchia e preziosa carta, si sarebbero imbattuti nella foto di un’auto non rubata, riconducibile a soggetti determinati o determinabili e legati a Cosa nostra.

Delitto di mafia con killer mafiosi, dunque: il 6 gennaio 1980 (domani saranno 45 anni) un killer dagli occhi di ghiaccio, con estrema freddezza, sparò una prima volta quattro colpi con una calibro 38 Special e, dopo che la pistola si era inceppata, andò a cambiarla, facendosi passare una Smith&Wesson dal complice che lo aspettava su una 127 rubata. Camminando con andatura ballonzolante si riavvicinò alla Fiat 132 su cui c’erano il presidente siciliano, fratello dell’attuale Capo dello Stato, la moglie, Irma Chiazzese, che cercò inutilmente di fargli scudo col corpo, rimanendo ferita, la madre di lei e i figli della coppia: Maria, recentemente scomparsa, e Bernardo, ex deputato regionale del Pd. Sergio Mattarella, che abitava di fronte (e ha ancora casa lì) fu tra i primi a intervenire in soccorso dei familiari e venne immortalato mentre cercava di tirare fuori dalla 132 il fratello morente, in una storica foto di Letizia Battaglia, che passava di là per caso e scattò senza nemmeno sapere chi fosse la vittima.

«Fonti, prove e verifiche – dice il presidente del Centro Pio La Torre, Emilio Miceli – ci dicono che fu un delitto politico maturato dentro un quadro generale di attacco agli equilibri politico-istituzionali del paese. Come Matteotti, come Moro, come la strage di Portella della Ginestra, come Falcone e Borsellino. Come La Torre e Reina, secondo quanto disse Giovanni Falcone alla Commissione antimafia». E ancora non è finita.

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