Follia green, nuovo ricorso contro il Ponte di Messina

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Il progetto del Ponte di Messina ha ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie per passare alla fase esecutiva, comprese quelle della commissione VIA  sull’impatto ambientale. Ma Legambiente, Lipu e Wwf Italia non ci stanno e fanno ricorso al Tar.

Un’ostinazione che sfiora la cocciutaggine, che i ricorrenti motivano evidenziando “l’illogicità del parere rilasciato dalla Commissione VIA”. Il documento, presenterebbe insomma, “importanti carenze di analisi”. In sostanza, le tre associazione ambientaliste sono convinte di saperne molto di più e di saper fare decisamente meglio le analisi dei tecnici del ministero dell’Ambiente.

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Il ricorso elenca infatti un’interminabile sequela di contestazioni su una infrastruttura che ha un “impatto ambientale gravissimo e irreversibile” –  scrivono sempre Legambiente, LIPU e WWF – portando come prova le 62 prescrizioni correttive chieste dalla Commissione. Che però sono appunto dei “correttivi” chiesti e necessari, non certo delle clausole ostative al progetto del Ponte.

Si va dalle regole per il maxi-cantiere a quelle per la tutela della costa calabra e siciliana, dall’approvvigionamento idrico in particolare di Messina alla tutela delle acque, fino al piatto forte della migrazione degli uccelli e dell’impatto sul mare. Le associazioni, nel loro comunicato, esprimono una viva preoccupazione sia per i vertebrati sia per gli invertebrati.

In poche parole, secondo questi alfieri dell’ambiente, il Ponte sullo Stretto che si candida a diventare una delle maggiori opere di ingegneria del mondo calpesterebbe in primo luogo sia i diritti di volo delle cicogne e degli altri pennuti sia quelli delle tartarughe di deporre le uova in quel tratto di costa interessato dai piloni di sostegno.

In attesa di conoscere il verdetto dell’Enav per le rotte dei simpatici volatili e essere ammessi al cospetto di Re Tritone, l’augusto padre della sirenetta Ariel, per quanto concerne le tartarughine, noi ci limitiamo a notare una certa avversione di certi ambientalisti per tutte le grandi opere.

Il Ponte insomma, è solo l’ultima battaglia del mondo verde dopo quella contro la Tav e la Gronda di Genova, contro le trivelle nell’Adriatico per sfruttare il gas nazionale e ancora contro il nucleare di nuova generazione basato sui mini reattori a fissione. Un altro grande progetto tecnologico del governo che vedrà presto la sua legge quadro.

Viene allora da domandarsi: che tipo di Italia hanno in mente i signori di Legambiente, della Lipu e del Wwf? Pensano a realizzare un Paese moderno, dove le imprese sono in grado di competere a livello globale e dove la logistica delle persone e delle merci funziona o invece si accontentano di uno Stato sempre più prigioniero di se stesso?

Un Paese dove l’elettricità costa come nei Paesi, quali la vicina Francia, che non hanno mai smesso di sfruttare l’atomo, o invece uno Stato che resta aggrappato solamente ad eolico e fotovoltaico malgrado si sappia in partenza che le rinnovabili non possono essere sufficienti per fare fronte al fabbisogno nazionale.

Senza contare che occorrono anni per impiantare pale e pannelli solari complice anche la sempre viva sindrome “non nel mio cortile”. Vogliamo davvero ripetere nelle infrastrutture e nell’energia un disastro simile a quello che ha combinato l’Unione Europea con il diktat dell’auto elettrica? Un’ottusità che ha portato a immatricolazioni al palo e ha già distrutto migliaia di posti di lavoro tra gli operai. Il tutto mentre la Cina scalza l’industria dell’auto Ue, un tempo fiore all’occhiello del Vecchio continente.

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leggi anche: Il Ponte sullo Stretto in attivo per 1,8 miliardi, smentiti gli ambientalisti.

Dopo decenni di discussioni e di denaro speso, il Ponte sullo Stretto dovrebbe vedere la posa della prima pietra entro pochi mesi. I soldi per realizzarlo sono stanziati nella legge di Bilancio, il suo impatto sul Pil nazionale è evidente, cerchiamo quindi di fare pace con il cervello e di deciderci una volta per tutte. Magari ascoltando chi se ne intende davvero e analizzando quello che accade all’estero, dove i ponti come quello di Messina esistono da tempo. E spesso sono stati realizzati dalle industrie italiane.

 

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