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C’è un tesoro, non ci stancheremo mai di ripeterlo, che vale miliardi e che il nostro paese deve ancora capire come sfruttare al meglio. E’ il turismo nautico, in ogni sua declinazione.
Turismo nautico 2025, cosa fare
Nel 2024, nonostante siano stati fatti degli indubbi passi avanti (patentino nautico, ecoincentivi…) il mondo delle barche (e di tutti coloro che delle barche fruiscono, ad ogni livello) è ancora appesantito, soprattutto, da vizi endemici. A partire da una burocrazia lenta e complessa, da leggi bizantine, obblighi asfissianti, oneri eccessivi, approdi insufficienti, cari ed elitari, controlli in mare continui, scarsi servizi.
Vediamo allora di proporre qualche idea, dei suggerimenti (in alcuni casi, consigli) per migliorare il settore rendendo la nautica (e il turismo nautico) più efficiente e accessibile a un pubblico sempre più ampio. In più puntate, tema dopo tema sviscereremo problemi e proposte per risolverli per il 2025 che inizia.
Dopo esserci occupati del titolo di skipper professionista ancora fermo, registro telematico delle barche, fine vita imbarcazioni, di portualità turistica e aree marine protette e avervi parlato delle immatricolazioni con bandiera estera e di cosa può essere ancora fatto per migliorare la patente nautica italiana, oggi ci occupiamo di leggi regionali, dotazioni e dell’annoso problema dei natanti all’estero.
Regioni: risorsa per il diporto
Non è detto che servano leggi nazionali per aiutare lo sviluppo della nautica da diporto. Esempi virtuosi possono arrivare anche dalle Regioni. Come ha fatto il Friuli Venezia Giulia che lo scorso 21 novembre ha approvato una “sua” legge per il rilancio del settore, stanziando 2,4 milioni di euro per il biennio 2025-2026. Si va dagli incentivi per il refitting delle imbarcazioni, al bonus demolizioni, dai finanziamenti per la transizione ai motori elettrici al sostengo al charter e poi risorse per i porti, per l’innovazione tecnologica, e anche per eventi e manifestazioni dedicate allo sviluppo della nautica. Ben fatto!
Proposte – Quella del Friuli Venezia Giulia è un’iniziativa che dovrebbe essere presa ad esempio dalle altre Regioni. Dimostra infatti che se c’è volontà e iniziativa si può incidere in modo significativo sullo sviluppo della nautica anche a livello locale.
Dotazioni di bordo, razionalizzare!
Nonostante le premesse siano sempre di “semplificare la materia”, ogni volta che si mette mano alle norme nautiche si finisce sempre per aggiungere nuovi obblighi. Con la recente revisione del Regolamento di attuazione del Codice del Diporto, per esempio, la lista delle dotazioni di bordo di sicurezza si è di nuovo allungata. Le new entry sono: luce di attivazione automatica per i giubbotti di salvataggio, scandaglio a mano, tabella dei segnali visivi diurni e notturni, imbragatura di sicurezza con safety line ombelicale (per unità a vela). In più c’è la novità delle dotazioni di bordo “raccomandate”, che non si capisce bene cosa voglia dire.
Proposte – Fermare la crescita continua delle dotazioni di bordo, razionalizzando se è il caso quelle attuali (vedi “Kit Pronto Soccorso); evitare che quelle “raccomandate” diventino obbligatorie.
Kit Pronto Soccorso troppo costoso
Le barche italiane hanno tra le dotazioni di bordo obbligatorie una cassetta di pronto soccorso tra le più imponenti (e costose) del mondo. Una sorta di presidio medico navigante da fare invidia a un’ambulanza. Un kit composto da 23 voci con accessori improbabili come 5 “plussossimetri” (strumenti che servono a misurare la saturazione dell’emoglobina), ai quali si aggiungono un fonendoscopio, uno sfigmomanometro e persino una maschera di rianimazione (Ambu), che a detta di molti medici dovrebbe essere usata solo da persone specificamente addestrate. Il tutto obbligatorio a partire da una navigazione di oltre 12 miglia dalla costa. Questo kit di pronto soccorso nautico è uno degli esempi più eclatanti di una burocrazia opprimente.
Proposte – Adeguare la cassetta di pronto soccorso alle reali esigenze (e capacità) del diportista. Si guardi a un qualsiasi kit in uso all’estero e ci si regoli di conseguenza.
Natanti all’estero
Il problema della navigazione dei natanti italiani all’estero sta nel fatto che è richiesto, in genere, un documento che certifichi la nazionalità della barca e su questo aspetto si sono irrigidite in particolare nazioni a noi confinanti come Slovenia, Croazia e Grecia.
Il “nostro” natante, non essendo un’unità obbligatoriamente immatricolata, non ha però questa documentazione. Con una modifica al Codice del Diporto si è pensato di risolvere la questione introducendo un nuovo documento, l’“Attestazione per natanti da diporto italiani”, che però non sembra avere risolto il problema. Finora non è stato infatti riconosciuto valido dalle nazioni in questione.
Il nuovo attestato, in effetti, non fa che unire la già esistente Dichiarazione di Costruzione e Importazione (DCI), un documento tecnico rilasciato da un’associazione di imprese (Confindustria Nautica), con un’autocertificazione, il tutto autenticato da uno Sportello Telematico del Diportista (Sted). Non ha quindi la stessa valenza di un’iscrizione nei registri marittimi (ora Atcn) nazionali. La situazione è in stallo.
Proposta – La sensazione è che forzando la mano sull’identificazione del natante si possano fare danni: si rischia di toglierli cioè quella “libertà” amministrativa che lo rende così economico da gestire ed esente da obblighi burocratici. La strada per consentire navigazioni libere nelle nazioni vicine può essere allora quella degli accordi bilaterali, come già accaduto con la Francia, utilizzando magari anche il nuovo attestato. Altrimenti, chi vuole navigare “senza confini” può sempre decidere di immatricolare la barca.
Fabrizio Coccia
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