deboli le prospettive per le aziende più piccole delle Marche

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ANCONA Il pessimismo è il filo rosso che lega, stretti, famiglie e imprenditori. Il denominatore comune è scritto tra le righe d’un sondaggio e ribadito negli istogrammi ordinati in un report. Nel primo caso il rilevamento targato Legacoop e Ipsos, la multinazionale di ricerche di mercato, decreta che nel 2025 due italiani su tre non si aspettano miglioramenti: sono preoccupati da inflazione, clima e tensioni geopolitiche. Nel secondo è la voce di Confindustria, attraverso 738 imprese intervistate, a indicare prospettive ancora deboli. Il muro dello scetticismo resta alto e invalicabile. Più fragile è il quadro per le aziende di minori dimensioni, va meglio per quelle che decidono di investire.

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Indagine-flash

Le nebbie non si diradano. La sintesi dell’indagine-flash, condotta dalla confederazione regionale degli industriali, segnala, per i primi sei mesi dell’anno, un ulteriore rallentamento dell’attività produttiva, frenata da una flebile domanda internazionale e da una flessione di quella interna. Il calo è messo in conto dal 30,1% degli intervistati, contro il 38,9% della precedente inchiesta. Le attese sono contenute al capitolo “vendite”: sui mercati esteri il 54,7% del campione ipotizza livelli stabili; il 30,4% scommette su un decremento. Identica è la tendenza per il mercato interno: stazionario per il 49,9%, in calo per il 34%. La dimensione d’impresa farà la differenza: maggiori saranno gli inciampi per le attività con meno di 10 addetti; per quelle con oltre 50 dipendenti la strada sarà lineare. La sfiducia si attenua alla voce “investire”: il 48% non diminuisce la spinta a farlo; il 19,4% non trattiene uno slancio positivo. Le perplessità tuttavia sono difficili da scalfire: per un imprenditore su cinque, il 21,3%, le previsioni di mercato della propria azienda sono più incerte oggi rispetto a tre mesi fa. Il destino non è uguale per tutti: migliorano alimentare, cantieristica e servizi alle imprese; restano inchiodati su terreni minati moda, gomma, computer ed elettronica.

L’urgenza

Lavorando di sintesi, la congiuntura non appassiona Roberto Cardinali. «Le nostre imprese – parte da un principio inossidabile – dimostrano capacità di adattamento e solida volontà d’investire. Ma è chiara l’urgenza di intervenire con una politica industriale, a tutti i livelli istituzionali». Per il leader di Confindustria Marche il nodo, troppo stretto, è il cambiamento strutturale. Si dovrà fare in fretta se si vuole rimanere agganciati alle regioni del nord e non scivolare nella deindustrializzazione che penalizza quelle del sud.

Le lobby

Il quesito è uno solo: Palazzo Raffaello e governo centrale puntano a sostenere i settori esistenti, in grado di fare lobby politica, o hanno il coraggio di favorire la trasformazione? Alla domanda, retorica, dà seguito la presidente di Confindustria Pesaro, Alessandra Baronciani: «Servono sostegni strutturali per la manifattura, tesi a rafforzare la competitività della Ue sul resto del mondo, e non, come avviene ora, a gestire un compromesso di aiuti differenziati fra i vari Stati, spesso mascherati da interventi green». Inevitabile è il focus. Le preoccupazioni di Diego Mingarelli, alla guida dell’associazione di Ancona, si concentrano sui settori trainanti del suo territorio: metalmeccanico, elettrodomestici e automotive. «Su quest’ultimo – si sofferma – impattano alcune scelte poco chiare della Ue. Nella nostra provincia si contano 90 aziende del comparto, prevalentemente piccole, che fatturano meno di 10 milioni, ma che complessivamente sviluppano 1,7 miliardi. Dobbiamo mettere in campo politiche in grado di modernizzare le nostre filiere». Spostando l’osservazione sulla territoriale di Macerata, Sauro Grimaldi si connette all’ultima di cronaca: «In questi giorni ci troviamo a fronteggiare nuovi rincari energetici che costituiscono per le imprese un costo molto elevato». Da Fermo, Fabrizio Luciani esprime preoccupazione per una moda sempre meno fashion&scintillante: «Auspico che diventi legge la decontribuzione del credito d’imposta, sarebbe un provvedimento di grande importanza». Da Ascoli prende corpo l’assillo di Simone Ferraioli: «Gli scenari geopolitici internazionali pesano più delle difficoltà territoriali o delle fasi di trasformazione dei comparti produttivi». La stretta del filo rosso non s’allenta.

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