«Sul voto di scambio il nostro lavoro non è ancora finito». Il procuratore Rossi: «Chi governa la cosa pubblica è insofferente ai controlli»

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«L’insofferenza della politica al controllo» ha generato una serie di riforme che rischiano di «limitare il potere investigativo», con ricadute sulla percezione della sicurezza ma anche sulla sicurezza stessa, in un distretto, quello della Corte di Appello di Bari, dove la mafia ha dimostrato di sapersi infiltrare nell’economia e nella vita amministrativa, attirando come «un mito» sempre più giovani e giovanissimi e dove non mancano fenomeni corruttivi nei settori dove girano più soldi. Il bilancio del procuratore di Bari Roberto Rossi sull’attività degli uffici inquirenti nel 2024 fotografa il contesto in cui la Procura si trova a operare, tra sottovalutazione del fenomeno sociale legato all’abuso di droghe e l’analisi dei flussi di denaro dove più facilmente si nascondono i proventi delle attività illecite.

Una indagine di questa Procura ha rivelato le infiltrazioni della mafia nelle elezioni amministrative di qualche anno fa e ora al vaglio del Consiglio dei Ministri c’è la relazione ispettiva della Prefettura sulla ipotesi di scioglimento del Comune. Una vicenda sulla quale anche voi avete avuto un ruolo, non soltanto con l’inchiesta che ha dato avvio alle verifiche, ma anche intervenendo in Commissione.

«Quello del voto di scambio mafioso è un problema serissimo. Oltre all’ottimo lavoro già fatto, continuiamo a lavorare, ogni elezione è da noi attenzionata, perché come ha detto il prefetto il voto di scambio è un pericolo per la democrazia. In questa fase, però, la parola spetta al ministro. Nel rapporto con Prefettura e Ministero si è lavorato in un clima istituzionale tranquillo e sereno, al di là delle polemiche politiche. Noi abbiamo anche portato elementi che poi sono stati resi pubblici. Entro marzo avremo la decisione del ministro e come ogni decisione sarà rispettata».

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Quando una vicenda arriva alla vostra attenzione il danno però è già fatto.

«Non c’è dubbio. Non si deve pensare che la magistratura sia sostitutiva dell’attività politica, sociale, dei mass media. Senza tante campagne di stampa tanti problemi a Bari non sarebbero stati risolti, penso all’inquinamento, alla vicenda Fibronit. Quello giudiziario è solo uno degli interventi. Ma la prevenzione dipende dai vari soggetti della società: politica, informazione, società civile, chiesa».

Da questo punto di vista avvertite solitudine?
«A Bari, ma anche a Foggia, abbiamo fatto un grande lavoro istituzionale, per esempio con le Prefetture. La società civile, più nel territorio barese ma anche nel Foggiano, ha risposto, pensiamo alle associazioni antiracket. Il lavoro di rete è quello vincente. Non sentiamo la solitudine, sentiamo la difficoltà della insofferenza del mondo politico rispetto al controllo. Tutti siamo insofferenti al controllo, chiariamoci, qualsiasi potere lo è, anche la magistratura».
Il presidente della Regione Michele Emiliano ha presentato un esposto sulla legge di bilancio. Ci state lavorando?
«Abbiamo aperto un fascicolo modello 45. Verificheremo. Allo stato emerge un’interpretazione divergente sulle norme. Una questione tecnico-giuridica di interpretazione normativa da capire».

È preoccupato per le ultime riforme che riguardano la libertà di stampa?
«Io ritengo che la libertà di stampa debba essere massima e ampia, qualsiasi limitazione alla libertà di stampa è negativa. Alcuni provvedimenti sono inaccettabili, come l’impossibilità, non ancora normativa, di pubblicare le ordinanze, mi sembra una vera contraddizione, o il passaggio necessario attraverso il procuratore delle decisioni sulle notizie da diffondere dopo aver valutato l’interesse pubblico, che non è competenza di un procuratore. Non è un potere positivo, ogni concentrazione di potere è sempre negativa. Queste cose messe insieme sono molto pericolose, perché si vuole limitare il controllo e invece il controllo in uno stato democratico è necessario, anche quello dei mass media nei confronti della magistratura, che rischia di essere ridotto dando tutto il potere al procuratore».

Quali effetti potrebbero avere le riforme della giustizia sul vostro lavoro?
«Il potere politico ha il diritto di fare le sue scelte, però deve essere trasparente in quello che dice. Tutte le ultime riforme limitano il potere investigativo. Non si può pensare di intervenire, per esempio sui furti d’auto, senza intercettazioni. Con un limite di 15 giorni per le intercettazioni non si possono fare indagini sulle associazioni per delinquere legate a furti. Il cittadino lo deve sapere. E non è una questione di tutela di chi viene ascoltato. Certo a volte ci sono degli eccessi, ma le patologie non si risolvono con le norme, ma colpendo chi sbaglia».

Oltre ai business classici, droga, usura, estorsioni, quel è il livello di maturità della criminalità organizzata rispetto all’economia reale?
«Bisogna distinguere. La criminalità foggiana nelle sue varie articolazioni è imprenditrice, è nata così, radicandosi nel territorio in settori come turismo, pesca, soprattutto agricoltura. In altri territori, come a Bari, stiamo lavorando sul riciclaggio. Stiamo verificando questi flussi di denaro che per lo più derivano dal traffico di stupefacenti. Una situazione molto diversa da vent’anni fa ma bisogna stare sempre attenti, avere tutti i capi clan in carcere non basta. L’esistenza di una cosiddetta “zona grigia”, che a Bari le indagini hanno dimostrato che c’è, è legata proprio ai flussi di denaro da reimpiegare. Nella evasione fiscale e nelle false fatturazioni: è lì che si mescolano facilmente i flussi di denaro che inevitabilmente vengono dalla criminalità organizzata. Bisogna essere molto attenti alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel mondo delle imprese e dei professionisti perché c’è una presenza di denaro non spiegabile altrimenti. Per esempio, il gioco legale: i dati non sono spiegabili solo con la ludopatia, sono volumi davvero incredibili, legati da un lato all’evasione fiscale ma dall’altro certamente alla criminalità organizzata».

C’è un problema di carenza di uomini e mezzi negli apparati investigativi?
«Per lungo periodo abbiamo avuto un deficit di organico notevole in Procura, del 20-25% mentre la media nazionale è del 10%. Poi il Csm dandoci quattro pm lo ha ridotto e ora siamo nella media nazionale. Il problema grosso è quello del personale amministrativo, che più che un problema di copertura di organici, sta diventando un problema di non appetibilità del lavoro all’interno della pubblica amministrazione e in particolare della Giustizia, perché si viene pagati meno degli altri Ministeri e si lavora tanto. Abbiamo proposto tante volte di creare fondi per incentivi economici con il recupero dei patrimoni confiscati, ma tutto quello che viene confiscato va al Fug, cioè al Ministero delle Finanze».

Questa carenza di organico del personale amministrativo che conseguenze ha?
«Abbiamo moltissimi procedimenti già pronti che non riusciamo a portare avanti, parliamo di diverse migliaia di fascicoli. Poi l’informatica funziona malissimo e quindi rallenta il lavoro anziché accelerarlo. Anche per le forze dell’ordine il rapporto tra popolazione e numero reati e l’organico delle forze di polizia nel nostro distretto è inferiore. Devo dire che per il territorio di Foggia abbiamo avuto una notevole attenzione per riempire organici e qualificarli, ma non è sufficiente».

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La mafia foggiana è ancora il problema più serio del distretto?
«Sì, continua ad esserlo, nonostante importanti risultati e i nuovi collaboratori di giustizia, però quando un fenomeno criminale è radicato, estirparlo è più difficile. Su Bari c’è una situazione molto diversa, ma anche qui se si abbassa l’attenzione, la criminalità torna a radicarsi nel tessuto sociale».

Sempre più spesso assistiamo a fatti di cronaca che hanno per protagonisti giovanissimi. Che significa?
«Come ogni fenomeno, anche questo ha più motivi: sicuramente uno è che i capi clan sono tutti in carcere e c’è anche un problema culturale anche all’interno dei clan: prima per arrivare a comandare si faceva la “gavetta”, oggi chi è più violento va avanti. Poi c’è un fenomeno culturale, più grave, di attrazione da parte dei giovani e giovanissimi del modello criminale: l’immagine positiva del criminale, di sfida vincente allo Stato, che i social amplificano molto. È il più problematico, perché l’imitazione, l’identificazione che avviene attraverso una certa cultura criminale spinge alla violenza. Bisogna smontare questo mito identificativo, una vera iconografia pericolosa. Un fenomeno multifattoriale, quindi, su cui anche la società può fare molto».

La droga resta il business principale della criminalità ed evidentemente c’è un problema di consumo. Dal vostro osservatorio il fenomeno che dimensioni ha?
«Non si può pensare di poter reprimere l’offerta quando la domanda è così elevata. Il problema è che non si parla più di tossicodipendenze o, comunque, di consumo di stupefacenti. Sono stati smantellati i servizi per le dipendenze. Eppure, è un problema sociale notevole e trasversale: i ragazzi consumano tanta marijuana e hashish, gli adulti cocaina, che è ritenuta accettabile, quella dei fine settimana. Non è possibile pensare che su questo funzioni solo l’attività repressiva, il tema è porre il problema sociale».

Superbonus e Pnrr: cosa rivelano le vostre indagini su questi mondi attorno ai quali girano tanti soldi?
«Sul “superbonus” e soprattutto sul “bonus facciata”, dove il controllo è stato zero, abbiamo lavorato moltissimo e ci stiamo ancora lavorando, abbiamo fatto sequestri rilevantissimi. Tutte le operazioni oltre i 500mila euro sono state controllate, portando a diversi milioni di euro di sequestri e qualche misure cautelari. Sugli appalti del Pnrr, che è competenza della Procura europea, allo stato attuale non abbiamo ancora evidenze».

La sanità è uno dei settori dove si annidano spesso comportamenti illeciti da parte dei pubblici amministratori.

«Dove ci sono i soldi. Gli appalti più grossi sono sulla sanità ed è più facile che diventi un luogo dove si creino le condizioni per la corruzione, favorite da due fattori: a un lato la progressiva riduzione dell’area dove fare le gare e questo secondo me è un pericolo, e poi la fase della esecuzione, con varianti e frodi sulle forniture, con il costo della corruzione che in questo modo viene pagato dallo Stato».

Poi ci sono i reati apparentemente più lievi ma molto sentiti dalle persone, come i furti d’auto. Cosa si può fare?
«I furti delle auto sono collegati alla diminuzione della forza della criminalità organizzata, perché chi delinque può trovare un vantaggio nel fare il furto di un’auto dal momento che non richiede una grande specializzazione. Per debellare il fenomeno occorrerebbero squadre specializzate e poi lavorare sul circuito della ricettazione dei pezzi. Invece i ladri delle auto di grossa cilindrata sono bande, soprattutto cerignolane, con una specializzazione tecnologica di alto livello, come per gli assalti a portavalori e bancomat, dove è un problema di criminalità organizzata in senso ampio, di gruppi organizzatissimi quasi militari, su cui ci sono investigazioni serie che porteranno sicuramente a qualche risultato».

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C’è costante allarme per le carceri. Nel distretto che situazione c’è?
«Complicata, c’è sovraffollamento con il rischio di situazioni esplosive. Il problema è che non si è lavorato sulla differenziazione dei circuiti. Molta popolazione carceraria è composta da tossicodipendenti per reati legati agli stupefacenti, poi ci sono i detenuti psichiatrici, che è un problema serissimo. Dovrebbero andare nelle Rems che sono carenti, e restano nelle carceri dove non sono gestibili, provocano violenza da parte degli altri reclusi e, senza che questo giustifichi nessuno, violenza anche da parte del personale penitenziario. Tutto ciò che immette violenza diventa esplosivo e le carceri sono moltiplicatori di violenza. La Corte costituzionale è intervenuta sulla questione delle Rems ma tuttora le risposte sono in ritardo. In Puglia qualcosa si è mosso a seguito di una pressione da parte dei prefetti. Anche qui, però, il problema è multifattoriale: serve più personale, bisognerebbe aprire le Rems, ristrutturare le carceri rendendole più dignitose, ridurre la popolazione carceraria e creare circuiti di detenzione alternativi».

E c’è il problema di quello che entra in carcere ogni giorno: droga e telefoni.

«È un dato che risulta da molte indagini. Servirebbe un controllo sui droni ma una parte entra anche attraverso gli operatori che, mi risulta, non sempre passano dal metal detector, una follia. Bisognerebbe fare un controllo come negli aeroporti».

Altro tema sociale di grande attualità è quello della violenza di genere. Il codice rosso funziona?
«Anche qui: non si possono risolvere i problemi sociali solo con l’attività repressiva. Il problema c’è e va sicuramente represso, anche se con qualche violazione della tutela dei diritti sulla limitazione della libertà personale, ma il meccanismo funziona. Ma in questi reati la recidiva è fortissima, quindi bisogna lavorare su un duplice problema: da una parte il controllo della rabbia da parte degli uomini, l’idea del possesso della donna, la “cultura patriarcale” e violenta, l’illusione di poter dominare le donne; dall’altro il problema psicologico del senso di dipendenza da parte delle donne».

Per chiudere: il Parco della Giustizia. questo dovrebbe essere finalmente l’anno del cantiere.

«La situazione di Procura e Tribunale è notevolmente migliorata, ma certo occorre un vero Palazzo di Giustizia. Per quel che mi risulti i tempi sono più o meno rispettati, si è in attesa della aggiudicazione della gara e quindi entro la fine del 2026 potremmo avere il nuovo Palazzo di Giustizia».

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