L’umanità continua a non vedere il problema del clima

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Telmo Pievani (Persino le balene ci diranno: terrestri avete un problema, “La Lettura”, 29 dicembre 2024) conclude la sua lunga rassegna di eccezionali eventi che hanno caratterizzato il primo quarto di questo secolo ricavandone un insegnamento: l’esperienza “ci insegna ciò che sappiamo di non sapere”. Per esempio sappiamo di non sapere quante specie biologiche vivono sulla Terra; né sappiamo sul “tasso di estinzione della biodiversità causata dalle attività umane”. Cioè non sappiamo quante specie esistono e a quale velocità le stiamo sterminando. Per cui “la somma di queste due ignoranze dà come triste risultato che sicuramente stiamo estinguendo ciò che ancora non conosciamo”

Le estinzioni oramai sono diventate una “preoccupazione” ricorrente da quando se ne parla come possibile coinvolgimento dell’umanità nella prossima estinzione di massa – che sarebbe la sesta dopo quella che 65 milioni di anni fa provocò l’estinzione di dinosauri.

Tutti questi eventi catastrofici hanno segnato momenti importantissimi nella storia della Terra e dei suoi 4,5miliardi di anni, provocandone l’evoluzione che la caratterizza come oggi la conosciamo. Nei formidabili sconvolgimenti che hanno provocato tutto ciò non c’è stata mai mano umana. L’umanità era nella mente di Dio o della natura, come si preferisce, che le stavano preparando un ambiente più accogliente e vivibile anche se, comunque, con discreti margini di pericolosità.

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Le due rivoluzioni

Perciò le attività umane alle quali si riferisce Pievani come causa di progressiva estinzione della biodiversità sono recenti. Molto recenti. E, poiché la stragrande maggioranza di noi esseri umani (come me, per esempio) è abituata a ragionare di tempi in termini di anni e tutt’al più di secoli, per rendersi conto di che cosa significhi “recenti” viene utile riferirsi a quello che si chiama “calendario cosmico”. Cioè alla trasposizione in 365 giorni dei 4,5 miliardi di anni che, come ricordavo. sono l’età della Terra.

Bene. Ferma restando l’utilità di guardarselo questo calendario che si trova facilmente, partiamo dal primo gennaio come data di nascita e di modifica in modifica, di estinzione in estinzione, di evoluzione in evoluzione, arriviamo ad oggi.

Cioè a quel “recenti” che costituisce la presumibile data di inizio delle responsabilità umane. Le quali, peraltro, andrebbero anche qualificate con un aggettivo che permetta di valutarne la più o meno grave responsabilità. Distinguendo, cioè, tra ignoranza e consapevolezza di quello che si stava facendo. E, quindi, tra ignoranza e conoscenza dell’impatto delle azioni sull’ambiente e su noi che vi viviamo.

L’elenco potrebbe essere vario e lungo. Ma mi fermo alle due rivoluzioni che hanno segnato le più profonde modifiche alla evoluzione umana: l’agricola e l’industriale. Senza la prima staremmo ancora nutrendoci di erbe e frutti spontanei insieme con i prodotti della caccia e mai vi sarebbe stata l’industria. E quanto ne è conseguito.

Ma da quando tutto questo? Da quando abbiamo cominciato a vivere più o meno come oggi?

Innanzitutto possiamo dire che le condizioni si sono presentate quando, circa diecimila anni fa, è finita l’ultima glaciazione, è stata inventata l’agricoltura e si è cominciato ad allevare animali. Quando? alle 23, 58 minuti e 45 secondi del 31 dicembre. Vale a dire che l’umanità, questa umanità, è sulla Terra da meno di un paio di minuti; sufficienti, tuttavia, ad apportare al suo ambiente le eccezionali modifiche delle quali siamo in molti a lamentarci e a lamentarci perché quelle azioni sono state attuate pur nella crescente consapevolezza dell’impatto negativo che avrebbero avuto sulla qualità della vita dell’umanità intera

Fra l’altro ce lo lo disse oltre cinquant’anni fa il club di Roma rendendo noti i risultati del primo rapporto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) sui rischi delle modalità della crescita che sino a qual momento l’umanità aveva realizzato (dove l’aveva realizzata). Ma nel 1970: l’opinione pubblica cominciava appena appena ad interessarsi dei problemi dell’ambiente e quasi nessuno pensava che il clima potesse cambiare in peggio.

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Non ci resta che sperare

Molto cose non le sappiamo e sappiamo di non saperle. Molto era imprevedibile a priori, scrive Pievani. Ma “una sola previsione è davvero sicura: quella climatica”. Non l’abbiamo presa sul serio e con l’anno appena finito sappiamo – questo sì – che l’obiettivo di dover cautelare le sorti del pianeta contenendo in un grado e mezzo l’incremento delle temperature medie è già fallito perché quel limite è stato superato. E, al momento, nulla lascia intendere o sperare che immettendo sempre meno gas serra in atmosfera le cose possano mutare e migliorare. Perché, se i combustibili fossili continueranno a bruciare ai ritmi attuali, andremo verso un collasso apocalittico della civiltà (Sally Rooney, Il coraggio di fermare la crisi climatica, “Internazionale”, 29 novembre 2024).

Al momento così stanno le cose.

Al momento. E non c’è scienziato che immagina come si possa cambiare e su chi e su cosa si possa sperare.

Sperare. La speranza è pur sempre l’ultima a morire. E se scienza e ricerca riusciranno a trovare un vaccino in tempi ragionevolmente rapidi come è stato per il Covid, può darsi che anche questa pandemia venga fermata.



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