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C’è anche una donna friulana nella task-force dei Medici senza frontiere a sostegno della popolazione siriana. Dopo il crollo del governo del dittatore Bashar al-Assad, la situazione è incerta tra sfollati che rientrano in cerca di notizie e di casa e altri che restano nei centri di raccolta dei profughi in attesa di condizioni migliori. Elisabetta Salvador, cinquantacinquenne di San Vito al Tagliamento, è impegnata in attività umanitarie a ridosso dei confini con la Siria.
«È dura, c’è disperazione nella gente, ma anche tanta speranza per il futuro», scrive in un momento in cui i nostri contatti internet tengono botta. Le comunicazioni non sono semplici nella zona in cui lavora, che manteniamo coperta da riserbo per evidenti motivi di sicurezza.
Elisabetta si occupa di approvvigionamenti e logistica a supporto dei centri sanitari nelle prime linee dell’impegno della ong. Da un paio di mesi è stata assegnata a questi compiti di fornitura e distribuzione di medicinali e beni di prima necessità. Questa è la sua nuova destinazione, senz’altro ancora più nel cuore delle emergenze rispetto agli anni trascorsi in Africa, tra Mali e Burkina Faso, altre realtà tormentate, con l’attività per campagne mirate alla promozione della salute tra le comunità locali.
Elisabetta Salvador, di San Vito al Tagliamento, cooperante di Medici senza frontiere
La vita di Elisabetta ha preso una nuova direzione di marcia, in modo sempre più forte e deciso, dopo un lungo periodo professionale nel settore commerciale per alcune aziende di produzione: «Mi occupavo prevalentemente di coordinamento interno nei rapporti con la clientela estera».
Erano ruoli non tanto attinenti al suo curriculum formativo, «ma bisognava pur lavorare».
Dopo il liceo classico al Leopardi di Pordenone, si è laureata in Lingue e letterature straniere all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Poi altri studi a Edimburgo e Cambridge. Elisabetta è donna solare, esile ma caparbia, con le valigie sempre pronte: attratta dai lunghi viaggi nel mondo, «molti dei quali di genere esperienziale a contatto con culture e religioni diverse». India, Giappone, Africa. Mai ferma, alla ricerca di approfondimenti interiori.
Perché mai Elisabetta avrebbe dovuto accontentarsi della sua zona di comfort? «Ho cercato un lavoro che rispondesse meglio a ciò che più mi interessa: la disponibilità all’aiuto nei confronti di chi ne ha più bisogno e il mio interesse verso la diversità». La scarsa meritocrazia e il forte maschilismo delle nostre realtà imprenditoriali hanno fatto maschilisti, ha fatto definitivamente saltare alcuni equilibri che erano ormai precari: «Può scrivere pure che quel mondo era troppo stretto per me. Lo vivevo con un certo disagio. Non restava quindi che cercare delle alternative».
Elisabetta si è così trovata sul punto di non ritorno: «Basta! Adesso cambio per prendere in mano la mia vita».
La rinascita è arrivata in età matura. «Guardi che non è mai troppo tardi, se si vive male. E io stavo buttando via le energie migliori. La via per raggiungere la felicità, che significa realizzare ciò che si è, si trova nel cambiamento anche profondo e radicale. Certo, ci vuole un po’ di coraggio. Per non andare allo sbaraglio, sono passata attraverso un periodo concordato di aspettativa durante il quale ho potuto svolgere la mia prima missione per poi firmare le dimissioni irrevocabili».
C’era un nuovo approdo. Ecco che Elisabetta cala l’asso di Medici senza frontiere.
La incalzo: ma come ci è arrivata? Il passaggio è stato graduale. Racconta: «Seguivo da tempo l’attività di Msf attraverso i social. Ero conquistata dalle attività umanitarie della ong. D’altra parte mi sono sempre interessata alla tutela dei diritti civili e alla difesa delle persone più fragili da soprusi e sfruttamenti. Ero pronta a un impegno professionale che è anche uno stile di vita. Ho risposto a un annuncio pubblico. I profili ricercati non erano proprio i miei, ma ci ho provato lo stesso. C’è stata una lunga selezione fatta di corrispondenze, colloqui sia a distanza che in presenza, e finalmente la partecipazione ai corsi di preparazione a un lavoro delicato in paesi fragili, a fianco alle persone più deboli. Ero pronta a entrare nell’équipe che si occupa dell’organizzazione logistica e sono partita per le prime missioni di cooperazione internazionale».
Queste attività sono per Elisabetta Salvador diverse dal solito: in aiuto a persone stremate da decenni di dittatura crudele o da disastrosi eventi climatici. Prima dell’interruzione delle trasmissioni arriva l’ultima frase che non ha bisogno di altre aggiunte: «Ora sto bene perché do un senso a ciò che faccio».
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