di Cinzia Nachira
Buoni propositi per l’anno nuovo. Rifiutare la logica dominante
A quasi quindici mesi dall’inizio della più feroce aggressione israeliana contro i palestinesi dal 1947, è disperante constatare come spesso occorra fare i conti con posizioni che sono, in realtà, semplificazioni buone solo per non ammettere di accettare la sostanza della logica dominante, pur ribaltandola.
Questa logica, imposta dalla propaganda israeliana (totalmente accettata e diffusa a piene mani dai mezzi informativi di ogni sorta – anche quelli che erroneamente pensiamo più democratici di altri), pretende che qualunque azione faccia lo Stato di Israele sia in nome di ogni ebreo o ebrea di ogni dove. Questa stessa logica, oggi portata alle estreme conseguenze dal governo israeliano di ultra destra, vuole che il sionismo non sia un progetto colonialistico, ma religioso/messianico. Mentre in passato, quando a dominare lo scenario politico di quello che diventerà lo Stato di Israele erano i laburisti, la menzogna era che il sionismo era un “movimento di liberazione” – per altro, per i primi trenta anni di vita di Israele il sionismo ufficiale era tutt’altro che religioso. In entrambi i casi, l’obiettivo era cancellare la natura colonialistica del progetto sionista.
Sicuramente non è facile, anzi è la via più difficile da seguire di fronte al genocidio in atto a Gaza, quella di restare lucidamente coerenti nel decodificare e quindi smontare questa logica, ma alla fine dei conti è l’unica soluzione possibile. L’alternativa è arrendersi.
Mai come in questa ennesima impresa coloniale di spoliazione, espulsione e ora anche di annientamento, lo Stato di Israele è stato così isolato presso l’opinione pubblica internazionale. Fin dalle prime settimane dell’attacco a Gaza, in tutto il mondo la reazione è stata massiccia e globale.
Ma visto che è bene non invertire cause ed effetti, è forza di cosa sottolineare che due fattori sono stati i motori di questa sacrosanta reazione: la ferocia dell’attacco contro la Striscia di Gaza e l’unilateralismo dei governi che, al contrario, hanno da subito appoggiato quello israeliano, fino ad arrivare cinicamente e scandalosamente ad opporsi alle richieste di cessate il fuoco, da qualunque parte arrivassero.
Nel suo libro Gaza di fronte alla storia (1), lo storico Enzo Traverso ha giustamente analizzato come i governi occidentali, in particolare quelli europei, abbiano di fatto imposto il modo in cui bisognava reagire all’attacco del 7 ottobre 2023, attraverso un pervasivo e ossessionante uso strumentale della storia recente, ovviamente in primis inserendolo nell’elenco – decontestualizzato – dei pogrom subiti dagli ebrei europei; spiegando poi che chi sosteneva questa tesi semplicemente non sa cosa è un pogrom.
All’inizio dell’aggressione israeliana, non era raro doversi confrontare con una sinistra, soprattutto in Italia (uno dei Paesi più arretrati dal punto di vista del dibattito politico e dove le reazioni pavloviane sono un’affezione endemica e dettata soprattutto dalla superficialità e dall’ignoranza), che per scendere in piazza al fianco di coloro che protestavano contro Israele e i suoi complici, soprattutto giovani italiani di seconda e terza generazione e ovviamente i palestinesi in esilio nel nostro Paese, volevano che questi ultimi dovessero prendere le distanze da Hamas, se non addirittura avanzare la pretesa che chiunque parlasse contro Israele avesse “il dovere” di condannare il 7 ottobre.
In nome del laicismo, quindi, si accettava la logica imposta da Israele che chiunque attaccasse Israele era un sostenitore di Hamas.
Combattere questo clima è stato definito giustamente da Francesca Albanese (rappresentante speciale ONU per i Territori Occupati), che ne paga ancora le conseguenze, “affrontare uno tsunami a mani nude”.
Con il trascorrere dei mesi, questa pretesa è scemata, di fronte a ciò che avveniva: la sproporzione delle forze in campo e il fatto che, per quanto la si voglia abbellire, la realtà è una sconfitta evidente per Hamas e per giunta con un costo umano devastante.
Ma, siccome noi occidentali siamo degli autistici politici, perseveriamo nel pretendere che gli altri ci cavino le castagne dal fuoco e quindi, dalla pretesa di cui abbiamo parlato sopra, ora ne avanziamo un’altra, molto pericolosa. Quella per cui se gli ebrei non prendono posizione contro il governo israeliano, allora lo sostengono.
Una sciocchezza clamorosa per molti motivi:
1) ignora che non da oggi, ma almeno dall’invasione israeliana del Libano del 1982, i movimenti contro quella guerra nati in ambienti ebraici sono stati numerosi e molto efficaci e sono all’origine di quelli successivi;
2) accetta la tesi sionista per cui ogni ebreo si deve identificare con Israele;
3) denota un razzismo non da poco dal momento che se io mi oppongo alla guerra genocidaria di Israele contro i palestinesi nella Striscia di Gaza e qualcuno mi chiede il pedigree, non mi spinge a prendere posizione, ma il contrario;
4) conseguenza di quanto appena detto, è la mancata solidarietà e appoggio a quella minoranza in Israele che si oppone a quanto accade e ne paga le conseguenze, spesso avendo come unica via di sopravvivenza quella di abbandonare il Paese;
5) è semplicemente ripugnante che questa pretesa provenga spesso da coloro che si definiscono e si pretendono internazionalisti, mentre contemporaneamente si aspettano che le comunità ebraiche ufficiali e religiose del proprio Paese si schierino contro Netanyahu e compari. Evidentemente, sostenere questa tesi significa non sapere che il più grande, lungo e resistente movimento contro la guerra a Gaza è quello degli Stati Uniti nato soprattutto per iniziativa del movimento Jewish Voice for Peace, fondato nel 1996. Questo movimento è riuscito a portare in piazza milioni di persone (dall’ottobre 2023), poi si è allargato ad altre organizzazioni. Intelligentemente, il ruolo di JVP non viene enfatizzato e non per vergogna, ma perché la logica dominante, negli USA, viene, da chi la contesta, rifiutata in modo tanto semplice quanto netto.
In un articolo del 6 maggio del 2024, Gilbert Achcar ha osservato:
(…) l’emergere di un movimento di massa solidale con la causa palestinese nei Paesi occidentali, soprattutto all’interno della superpotenza senza la quale lo Stato sionista non sarebbe in grado di combattere l’attuale guerra genocida, costituisce uno sviluppo molto preoccupante agli occhi della lobby pro-Israele. Minaccia di instaurare tra le nuove generazioni un rifiuto della barbarie sionista che rivaleggia con il rifiuto della barbarie imperiale statunitense di oltre mezzo secolo fa, che fu uno dei principali fattori che portarono Washington a interrompere l’aggressione contro il popolo vietnamita e a ritirare le sue forze dal Paese nel 1973.
Questo precedente storico è fortemente presente nelle menti dei sostenitori di Israele in tutti i Paesi occidentali, poiché il movimento contro la guerra del Vietnam li comprendeva tutti e ha persino giocato un ruolo di primo piano nell’ondata di radicalizzazione politica di sinistra del movimento studentesco su scala globale alla fine degli anni Sessanta. Il campanello d’allarme è quindi suonato negli ambienti sionisti e in quelli dei loro sostenitori, spingendoli a lanciare una campagna violenta contro il movimento solidale con il popolo palestinese, cercando di metterlo a tacere in vari modi repressivi, dalla violenza ideologica a quella della polizia accompagnata da quella legale. (2)
Non vedere questa realtà è sintomo di provincialismo, ma soprattutto fa molti danni in un momento in cui, per motivi fisiologici e politici, il movimento è in una fase di riflusso.
6) Ultimo, ma non per importanza, chi sostiene il “dovere di ogni ebreo” a doversi opporre a Israele, ignora che le lobby pro israeliane più reazionarie e più potenti, soprattutto negli USA, non corrispondono alle comunità ebraiche, ma agli ambienti religiosi cristiano-protestanti.
Il presidente Joe Biden, di origine irlandese e cattolico, si è detto espressamente sionista e lo ha ampiamente dimostrato.
Se poi la conclusione è che nel Paese che ospita il Vaticano ci si aspetta che il Rabbinato ufficiale dica quello che noi ci aspettiamo, si supera la soglia della decenza e del ridicolo.
Cinzia Nachira
31 dicembre 2024
NOTE
- Enzo Traverso, Gaza di fronte alla storia, edizioni Laterza, Bari-Roma, giugno 2024, pp.96.
- Gilbert Achcar, Uno sviluppo preoccupante per la lobby israeliana, in Rproject.it: http://rproject.it/2024/05/uno-sviluppo-preoccupante-per-la-lobby-israeliana/
da: https://rproject.it/2025/01/rifiutare-la-logica-dominante/
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