Nel discorso di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella non si trova un espresso riferimento all’Unione Europea. Ma non si tratta affatto di una dimenticanza o di una sottovalutazione del relativo ruolo. L’alto messaggio del presidente, in effetti, enfatizza l’einaudiano «Sta in noi» con la sollecitazione a sostenere la speranza e a trasformarla in azioni e risultati concreti.
Le risorse per gli armamenti superano quelle per il clima
In sostanza, Mattarella ha evitato qualsiasi rischio di ricorso ad alibi di competenze altrui. Da un lato, il quadro globale, con la straordinarietà delle accennate forze centrifughe e le guerre in corso, mentre si accentuano le distanze tra la ricchezza di pochi e la povertà di moltissimi e si spende per armamenti otto volte in più delle risorse stanziate per il cambiamento climatico; dall’altro, gli impegni molto ravvicinati che sono implicitamente richiesti su sanità, lavoro precario, salari, distanze Nord-Sud, morti sul lavoro, migrazioni di giovani italiani: tutto ciò impone politiche, scelte, comportamenti, vincoli di Stati – singoli e nelle loro unioni e federazioni – istituzioni, individui, ciascuno per la propria parte.
In sostanza, si è trattato della «voce della Costituzione» e del forte richiamo, oltre la «moral suasion»; delle responsabilità ai diversi livelli, a cominciare da quello, alto, per la Pace, che mai come in questa fase grida la sua urgenza, come ha appunto detto il Capo dello Stato. Fare ciò che si deve fare, age quod agis, è l’imperativo. Spetta ora alle istituzioni politiche e sociali tradurre questi doveri, caveat e moniti in iniziative concrete, andando ben più avanti di una generica adesione bipartisan.
I problemi per la nuova legislatura europea
Se questa è la missione, se i problemi internazionali sono ritenuti realmente tali come non potrebbe non essere, allora, anche per l’Unione, nella quale è iniziata la nuova legislatura quinquennale, suona la sveglia e, prima ancora, con riferimento all’Italia, la sveglia suona per le forze politiche tutte che sono rappresentate in Europa e per il governo. Non vi era bisogno di citazioni espresse, considerato che le sfide sono conseguenti al «che fare» indicato da Mattarella. La nuova legislatura europea è chiamata a un’operazione di svolta, sia nella politica estera – innanzitutto, per almeno la sospensione dei due conflitti in corso – sia in quella economica, finanziaria e bancaria e, prima ancora, nello stesso funzionamento dell’Unione, con particolare riferimento al superamento del potere di veto in capo ai singoli partner.
L’arco dei problemi va dalla capacità di conquistare un ruolo nel panorama internazionale che sarà caratterizzato dall’amministrazione Trump, dai rapporti nuovi con la Cina e dall’evoluzione, tra le altre, delle due guerre, all’assunzione di debiti comuni per la promozione di beni pubblici europei, alle riforme istituzionali, in specie, il completamento dell’Unione bancaria e l’avvio di quella dei mercati dei capitali, alla valorizzazione del principio di sussidiarietà.
Dalla sicurezza alle banche
Aspetto cruciale sarà il modo in cui verrà affrontato il tema della sicurezza, formula, questa, che intende alleviare il richiamo apertis verbis dell’armamento e dell’istituzione di un esercito europeo che dovrà fare i conti con quel che si sostiene giustamente sull’eccesso della spesa per le armi in generale e con le altrettanto giuste iniziative per la sospensione e cessazione dei conflitti in atto (se non si vuole rieditare il riscontrato falso si vis pacem, para bellum). Le transizioni digitale e ambientale esigono responsabilità e impegni finanziari comuni .
La normativa e la Vigilanza bancarie richiedono riforme fondamentali. Non vi sono più alibi per l’Unione, né si può limitarsi a sperare che l’aggravarsi delle crisi la irrobustisca. L’alternativa alle necessarie iniziative sarebbe il ripiegare, che non si potrebbe più bloccare, sulle sole competenze nazionali, con un tracollo proprio della speranza che Mattarella, come Papa Francesco, ha valorizzato. (riproduzione riservata)
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