L’anno del (probabile) voto regionale. Destra senza nomi e con i partiti divisi

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di
Francesco Strippoli

Centrosinistra pronto con Decaro che resta prudente e spera nelle urne al 2026. Fermi i suoi avversari

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Se il 2024 si aprì con la prospettiva che la Puglia avrebbe accolto a giugno il G7, il 2025 comincia con l’ipotesi che la Regione debba avere in autunno il suo nuovo governatore. A ottobre scade la legislatura e si dovrebbe andare al rinnovo in quel periodo. Salvo che il governo, come vorrebbe la Lega, non chieda alle sei Regioni interessate, un accorpamento con il voto amministrativo della primavera successiva. Significherebbe andare alle urne tra aprile e giugno 2026: un irrituale allungamento della legislatura, senza particolari esigenze tecniche.

Ciò non di meno, è chiaro che dopo l’Epifania partiti e coalizioni dovranno mettervi cervello e impegno: più a destra che non a sinistra, perché qui i giochi sembrano fatti. Il candidato predestinato è l’eurodeputato del Pd Antonio Decaro, da settimane in continuo movimento per consolidare la propria corsa: un moto sotterraneo, visto che Decaro non ha ancora sciolto la riserva, benché nessuno nel centrosinistra ne metta in discussione la candidatura.
Lo frenano tre motivi, un misto di prudenza e calcolo. Per prima cosa sta aspettando la conclusione dell’ispezione ministeriale al Comune di Bari, di cui è stato sindaco: segno di rispetto istituzionale verso chi deve decidere. Inoltre sa che il percorso verso la Regione potrebbe essere molto lungo se si votasse nel 2026. 




















































Una data, si badi, che a Decaro andrebbe a genio, perché gli eviterebbe di dimettersi troppo presto dal seggio europeo sul quale è arrivato a furor di preferenze. Terzo: Decaro è uomo prudente, fin troppo secondo l’uscente governatore Emiliano. Che dopo ripetuti endorsement evita di premere sull’ex sindaco. «Non posso ulteriormente forzare la mano» ha detto Emiliano nell’intervista al Corriere dei giorni scorsi. In sintesi: il governatore spinge perché Decaro afferri il testimone che gli sta passando ed eviti una fase di interregno politico che può risultare dannosa. Chi comanda oggi sta per uscire e chi potrebbe subentrare non ha ancora deciso. Dalle parti di Emiliano si ragiona così: la norma contro i sindaci (che chiede ai primi cittadini di dimettersi sei mesi prima per candidarsi in Regione) è frutto dell’incertezza. I consiglieri, preoccupati del proprio futuro elettorale, hanno messo il bastone tra le ruote dei sindaci, temibili concorrenti elettorali nelle liste. Con un Decaro al centro della scena, che avesse rassicurato e offerto garanzie, quella norma non sarebbe passata.

A destra il problema è molto più grande. Non solo manca il candidato, soprattutto non c’è la coalizione. Il tema è semplice e brutale, tutti lo riconoscono anche se non ufficialmente. Per averne una prova basti vedere la discussione sul Bilancio 2025 della Regione. Tre partiti (FdI, FI, Lega), tre atteggiamenti diversi. Una sfilza di richieste di interventi (a tutela dei collegi elettorali dei singoli) ma senza offrire modelli alternativi di governo (in sanità, welfare, sviluppo economico). Per di più un consigliere della Lega si è astenuto, uno di FI ha votato con il centrosinistra.
Il successo a giugno della sindaca Adriana Poli Bortone a Lecce non è significativo di un’inversione di tendenza: il centrodestra esercita notevole attrazione elettorale alle Politiche e alle Europee, ma non riesce ad essere coalizione credibile sul piano locale. La destra governa in tre capoluoghi: oltre la citata Lecce anche a Brindisi (con un ex sindaco socialista degli anni Novanta) e Barletta (con un civico disarcionato dal centrosinistra e schieratosi poi con il centrodestra). 

La coalizione non c’è e ne manca il leader: quello che in passato è stato Pinuccio Tatarella negli anni Novanta e Raffaele Fitto nei primi tre lustri dei Duemila. Ora il commissario europeo non vuole e non può assumere ruoli di guida politica. I nomi dei due giornalisti tirati fuori quali possibili candidati (Nicola Porro e Francesco Giorgino) sembrano un modo per acquietare le richieste fameliche di un elettorato disorientato. Non sono ipotesi concrete. Le poche figure di riferimento restano pertanto i due ex capogruppo in Regione: il deputato Andrea Caroppo (FI) e l’europarlamentare Francesco Ventola (FdI), i più esperti sulla piazza. La premier Giorgia Meloni vorrebbe che scegliesse il territorio: lei si limiterebbe a mettere il timbro. Solo se la Puglia non dovesse decidere, l’input arriverebbe da Roma. Nel frattempo resiste il grido di qualche militante appassionato che rievoca un celebre titolo di giornale: Fate presto.

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