Mancava un ultimo aggregato per completare il quadro dell’economia abruzzese nel corso del primo trimestre del 2011. Dopo l’aumento delle esportazioni di oltre il 18%, l’Istat rileva una crescita dell’occupazione di 7 mila unità, pari all’1,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Se a questi due dati aggiungiamo l’incremento del PIL dello 0,7% a valori concatenati, calcolato cioè su quantità reali, si può ritenere che in Abruzzo tecnicamente la grande recessione appare conclusa. Il sistema economico regionale dimostra perciò una significativa capacità di recupero. Ci sono tuttavia tre considerazioni che emergono e che meritano particolare attenzione: la conferma di una ripresa lenta e diluita nel tempo.
La conferma di una ripresa lenta e diluita nel tempo; il fatto che il riavvio del processo produttivo non genera sufficiente lavoro; il permanere di una bassa domanda interna che non stimola adeguatamente la produzione. Il confronto con la situazione pre-crisi diventa quanto mai opportuno. Se si considera il primo trimestre del 2008, si ha modo di evidenziare come il numero degli occupati resti ancora ben al di sotto del livello iniziale. In cifre, il divario raggiunge quota 23 mila unità, di cui oltre 10 mila nel solo comparto industriale. Analoghe considerazioni per quanto riguarda il tasso di disoccupazione, che passa dal 6,9% all’8,8%, determinando un aumento di quasi 10 mila persone in cerca di occupazione.
Le situazioni problematiche continuano a interessare le imprese minori e taluni settori produttivi, tradizionalmente pilastri del sistema e che ancora oggi faticano a uscire dalla crisi. Sembra doveroso sottolineare che la crisi dell’Abruzzo ha radici lontane che non sono da attribuire alla sola recessione dell’intera economia mondiale. La crisi è figlia dalla modesta crescita dell’Italia; è figlia degli errori commessi nel passato quando si sono distrutte risorse per finanziare un modello basato sull’indebitamento e perciò ricco di sprechi e contraddizioni; è dipesa dai mutamenti intervenuti su scala mondiale con l’avvento delle economie emergenti che hanno spiazzato e reso difficili non poche produzioni interne. E’ figlia anche di un mercato interno depresso che non riesce a compensare le flessioni delle esportazioni. Tutti cambiamenti che si sono riflessi sullo stato di salute dell’economia regionale, riducendone le performance di crescita.
Cosa significa tutto ciò? Ebbene, da un lato, il gigantesco deficit regionale ha sottratto risorse preziose da destinare alle infrastrutture materiali e immateriali e allo sviluppo, dall’altro, la scarsa attenzione posta su alcuni settori cruciali del sistema economico, come il turismo, il credito e le piccole e medie imprese, hanno determinato un andamento asimmetrico tra l’intensità del cambiamento e i risultati conseguiti. L’interruzione del circolo virtuoso istituzioni-imprese-comunità ha poi fatto il resto. L’imperativo assoluto è tornare a crescere. Con tassi di crescita a un ritmo medio dell’1% non si va molto lontano e non si creano condizioni favorevoli di occupazione per le nuove generazioni. Il ristagno rende la società più aggressiva, meno democratica, meno inclusiva e conduce all’ira e al risentimento. E’ all’interno di questo quadro complessivo che si inserisce il Patto per lo Sviluppo. C’è infatti bisogno di un approccio sistemico, fatto di grandi progetti che vanno al di là del ciclo elettorale. Nel Patto si possono intravvedere i segnali di una cultura che cerca di invertire le tendenze del passato e di affrontare i complessi problemi regionali. Ecco perché va visto come un percorso alto che, all’interno di un processo di cooperazione fra tutti i soggetti economici e sociali, si pone l’obiettivo del superamento delle aree di criticità attraverso un modello che sappia trovare un giusto equilibrio tra coesione territoriale e crescita economica.
Non si dimentichi che una volta cessata la crisi le sfide da affrontare saranno ancora più pressanti. Le imprese devono continuare nel loro processo di ristrutturazione per sostenere l’incessante competitività e rispondere a una domanda crescente di qualità. Le famiglie, dal canto loro, devono innalzare la soglia per consumi e per farlo hanno bisogno di una ripresa che sia per quanto possibile stabile e meno incerta. Bisogna avere fiducia nell’Abruzzo e nelle sue caratteristiche economiche. Di qui discende l’importanza e la serietà del Patto dello Sviluppo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link