Si era appropriato di diverse armi da fuoco consegnate dai proprietari per la rottamazione ed era stato giudicato colpevole di peculato e abuso d’ufficio, reati contro la pubblica amministrazione, ed ora l’ispettore di polizia è stato condannato dalla Corte dei Conti della Puglia a risarcire il danno di immagine al ministero dell’Interno.
I fatti risalgono al 2018. Le anomalie riscontrate in fase di esame di un’istanza di revoca del divieto di possesso di armi hanno insospettito gli agenti di polizia della Questura di Foggia che, da lì, sono risaliti alle numerose movimentazioni di armi a nome del collega. La loro segnalazione ha fatto scattare le indagini che hanno accertato l’illecita appropriazione di armi.
Nel 2021, il Tribunale di Foggia aveva condannato l’agente di Polizia, con rito abbreviato, a due anni di reclusione, con l’interdizione temporanea dai pubblici uffici per cinque anni, sanzione accessoria poi ridotta a un anno, nove mesi e dieci giorni dal giudice dell’esecuzione. Nei confronti dell’ispettore sono stati adottati dal questore anche provvedimenti disciplinari: prima la sospensione cautelare dal servizio, poi, a seguito di sentenza, la sospensione per 6 mesi.
In un caso, secondo quanto accertato in sede penale, l’ispettore, titolare di licenza per collezione di armi, si sarebbe appropriato di un’arma, consegnata dal proprietario per la rottamazione, successivamente rivenduta. Si sarebbe appropriato, inoltre, di una pistola e di quattro fucili, alcuni presumibilmente di rilevanza storica, rinvenuti da un cittadino a casa della madre defunta e consegnati a lui. In entrambi i casi, avrebbe provveduto ad alterare le dichiarazioni di consegna per la rottamazione e ad inserire false annotazioni nelle banche dati SDI (Sistema d’Indagine) relative alla cessione delle armi.
Inoltre, avrebbe acquistato da una ex guardia giurata, destinataria di un provvedimento di divieto di detenzione di armi emesso dalla Prefettura di Foggia, una pistola oltre il termine di 90 giorni previsto dal provvedimento prefettizio per l’alienazione dell’arma. Secondo quanto riferito nella sentenza penale, tutte le armi illecitamente sottratte sono state successivamente restituite, ad eccezione di una carabina, nel frattempo rivenduta. La Procura regionale aveva quantificato il danno di immagine subito dal ministero dell’Interno in 7mila euro.
L’ispettore, ormai in pensione, aveva chiesto il rigetto della domanda, o quantomeno una condanna simbolica, evidenziando come il valore culturale delle armi fosse stato solo prospettato e non provato e sottolineando come non vi fosse stato alcune clamore mediatico, neanche internamente all’Amministrazione.
Secondo il Collegio, non è indispensabile la divulgazione della notizia a mezzo stampa, che semmai costituisce un’aggravante. I giudici reputano, infatti, che la vicenda penale abbia avuto senz’altro una certa diffusione all’interno dell’amministrazione di appartenenza e, in particolare, nel contesto lavorativo in cui operava, tale da aver determinato “un grave vulnus all’immagine del ministero dell’Interno, compromettendo la sua reputazione all’interno dell’organizzazione, con conseguente perdita di fiducia nella particolare missione istituzionale della Polizia di Stato di garantire la sicurezza dei cittadini, anche impedendo la circolazione contra legem delle armi da fuoco”.
La Corte dei Conti ha comunque giudicato sproporzionata rispetto alla reale portata della vicenda la richiesta risarcitoria. Come evidenziato dalla difesa, infatti, non è stata fornita alcuna prova del valore culturale delle armi. In più, l’ispettore aveva restituito le armi, ad eccezione di una, e il Collegio ne ha tenuto conto. Peraltro, non avendo avuto la vicenda alcuna eco mediatica, ha ritenuto che “il prestigio dell’amministrazione sia stato vulnerato in un contesto meramente interno, ridotto, in assenza di prova di una diffusione più ampia, agli organi di vertice della Polizia di Stato, ai colleghi d’ufficio e ai funzionari preposti all’ufficio per i procedimenti disciplinari”.
L’ex agente è stato condannato, dunque, al pagamento di mille euro in favore del ministero e delle spese di giudizio.
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