Max Angioni: «Io nel girone degli affitti a Milano: c’era una casa con la lavastoviglie per un piatto solo. Far ridere mi ha salvato dai bulli»

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di
Anna Gandolfi

Il comico 33enne, volto delle Iene: «Dopo anni di pendolarismo da Como mi sono trasferito. E ho incontrato gli agenti immobiliari: sono figure mitologiche. Che choc l’imitazione di Valentino Rossi allo Zelig, non rideva nessuno»

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Ripubblichiamo l’intervista di Anna Gandolfi a Maz Angioni uscita a marzo, una delle più apprezzate nel 2024 dalle nostre lettrici e dai nostri lettori.

Nessuno rideva?
«Di più. Erano proprio imbarazzati. Stavo sul palco dello Zelig in viale Monza, a Milano, per un provino, e imitavo Valentino Rossi. Ricordo le facce degli autori, non sapevano dove guardare. Silenzio. Aleggiavano pensieri tipo: speriamo che finisca presto…».

Addirittura.
«Avevo 25 anni, è arrivata un’infilata di serate andate malissimo. Passato lo choc mi sono ripromesso: datti una mossa. Sono entrato all’Accademia del Comico. Facevo già teatro ma lì ho capito che la scrittura creativa ha i suoi paletti. Bisognava studiare. Ho studiato».

E si è preso la rivincita.
«Con gli stessi autori imbarazzati di allora ho poi lavorato in televisione. Certo anche ora quando posto un video sui social salta fuori qualcuno che pensa bene di usare il suo tempo per farmi sapere: non fai ridere. E vabbé».

Max Angioni adesso di anni ne ha 33, dal Valentino Rossi flop ne è passata di acqua sotto i ponti. Comasco di Sagnino, quartiere di 5 mila anime a ridosso della Svizzera, di sé dice: «Sono in perenne stato di disagio», un «pesce fuor d’acqua assoluto», persino «asociale» («Quando mi invitano a una festa il primo pensiero è: giammai!»). Eppure ha bucato il video con Italia’s Got Talent, con Zelig (stavolta faceva ridere), con Lol. Conduttore delle Iene, ha girato i teatri (anche europei) prima con «Miracolati» e poi con «Anche Meno», sold out istantaneo a Milano, città dove, dopo anni «di pendolarismo spinto», adesso vive.

Angioni, «Anche meno» cosa?
«Incontravo la gente per strada e mi diceva: “Max, anche meno!”. Era un mio modo di dire e io neppure me n’ero accorto. In effetti — da qui la scelta del titolo — è proprio il mio atteggiamento a essere da “anche meno”».

In che senso?
«Che nella vita ci stressiamo, vogliamo essere sempre super performanti. Invece io pure quando facevo sold out non mi sentivo appagato, sereno, strabene».

Arriva da qui la serie di sketch virali «Se la memoria avesse il buttafuori»? Quella di: «Dentro traumi, dentro pessimismo, fuori le password».
«Personificare le cose mi aiuta a fare chiarezza. Da piccolo la comicità ha aiutato a definirmi, anche a scuola quando non ero propriamente il figo della classe».

Il mago Forest a Lol le ha attribuito il ruolo del bullizzato.
«Magistrale. Anche se bullizzato in senso classico non lo sono stato: due volte le ho prese, sì, ma se penso ora a cosa passava a casa il ragazzino che menava non lo biasimo. Aveva una famiglia davvero problematica».

L’ha perdonato.
«Una delle due volte me la sono meritata (l’avevo offeso gratuitamente). Vero che a scuola ero più spesso quello che veniva preso in giro che quello che prendeva in giro, non facevo tanto gruppo. Finché ho tirato fuori le imitazioni dei prof: il mio modo per contribuire all’ecosistema classe. Uno passava i compiti, uno la merenda, io facevo ridere. Così mi sono anche difeso: il mio sberleffo a me stesso arrivava prima di quello degli altri. Oggi sul palco è un continuo mettermi alla prova. Pensi che quando mi chiedono “Vieni a una festa?”, la prima risposta sarebbero le pantofole».

Non si direbbe.
«Alla fine mi butto».

Come ha iniziato a teatro?
«Sono di Sagnino, quartiere di Como: lì la chiesa è grande come mezzo paese. Ho cominciato all’oratorio. Facevo il liceo scientifico e intanto lavoravo alle feste per bambini, restava un modo per far divertire. L’Accademia, come detto, l’ho fatta a Milano».

Approdato in televisione, a Sagnino è diventato una star?
«Quando ho fatto “Miracolati” il commento più bello è stato di mio nonno: bravo, ho riso un sacco, però ti scomunicano. Con gli sketch ho avuto visibilità, prima con YouTube e poi con la televisione. Non dico per forza apprezzato, ma comunque mi ha reso conosciuto».

Ha un milione di follower su Instagram. Esperienze con gli hater?
«Quotidianamente c’è chi dice bene e chi dice male».

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Ora vive a Milano?
«Da circa un anno e mezzo. Viaggio per lavoro ma la mia base è qui. Sono stato a lungo pendolare: in treno avanti e indietro. Infine ho cercato casa».

Dove abita?
«Zona Stazione Centrale. Se mi concentro nel weekend sento i bassi del locale sotto di qualche piano».

In affitto?
«Certamente. Il settore casa a Milano ha assunto aspetti quasi da psicosi. Ho conosciuto queste figure mitologiche: gli agenti immobiliari».

Anche a lei hanno proposto alloggi improbabili a prezzi inaccessibili?
«Una volta arrivo e in cucina c’è una specie di cassetto alto una spanna e largo due. Chiedo: cosa è? Risposta: la lavastoviglie. Era la lavastoviglie più piccola del mondo, ci stava dentro un piatto. In compenso stava in bella vista sull’annuncio. Un’altra volta in soggiorno c’era il frigorifero, lo guardo ed esclamo: ma davvero? Dall’altra parte l’agente che non fa una piega. Il migliore è stato quello che all’affermazione: questa va bene, la prendo, ha risposto: è venduta. Ma che senso ha? Che bella la gita? E dire che eravamo ancora nell’ascensore, mica erano passati giorni…».

Milano le piace?
«Esco sul balcone e vedo palazzi. A Como invece avevo il lago, un po’ di verde mi manca. Però Milano è comoda, ha tutti i servizi — se vuoi mangiare ugandese lo trovi —, è piena di opportunità. È la città del lavoro, ti fa sempre stare sul pezzo. Però ogni tanto devo staccare anche da lei».

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2 gennaio 2025 ( modifica il 2 gennaio 2025 | 07:42)

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