La controffensiva delle multinazionali del fossile

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I primi anni di questo ultimo decennio hanno visto mettersi in moto il Green Deal europeo e l’Inflaction Reduction Act negli Stati uniti. Una grande minaccia per le multinazionali del fossile e tutte le altre che nel modello energetico attuale trovano il loro brodo di coltura, perché si profilava il rischio che la transizione energetica si realizzasse sul serio: era in gioco la loro sopravvivenza. E così hanno avviato una potente controffensiva dispiegata su cinque fronti.Il primo fronte, molto familiare alle multinazionali, è quello di condizionare il potere politico, e sta già dando i suoi frutti: depotenziamento del Green Deal europeo, tacciato di ecologismo ideologico, e Trump negli Usa.

Il secondo fronte è il sostegno alla campagna contro la diffusione delle fonti rinnovabili in nome della difesa del paesaggio: da manuale il caso Sardegna, che rifiuta le rinnovabili per aprirsi al gas. Il terzo frontre è la estrazione della CO2 dai fumi che escono dalle ciminiere delle fabbriche o dall’aria e il suo sotterramento dove ci sia una situazione geologica tale da assicurare che non venga più fuori. In questo modo si può continuare a usare combustibili fossili senza aumentare la concentrazione di CO2 in atmosfera, il sogno delle compagnie Oil &Gas. L’Eni lo sta già facendo.

Il sotterramento della CO2, però, è fortemente contestato da ampia parte della comunità scientifica, per ragioni che vanno dalla sicurezza ai costi elevati che richiedono sussidi pubblici, al fatto che non ci sono prove che funzioni su larga scala, e perché le situazioni geologiche in cui è possibile sotterrare la CO2 non sono infinite, a un certo punto non ci sarà più dove sotterrare, e quindi ancora una volta lasciamo il cerino acceso alle future generazioni. Il tutto stornando risorse destinate alle fonti rinnovabili, rallentandone la diffusione.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Il quarto fronte è il nucleare, il cui risveglio ha come obiettivo principale quello di rallentare lo sviluppo delle rinnovabili, martellando col messaggio: abbiamo a disposizione una fonte di energia che non emette CO2, e le nuove centrali piccole e modulari, costruite in serie (SMR), costano poco e si costruiscono in poco tempo. Quindi sono meglio delle rinnovabili, perché la loro produzione non dipende dai capricci del sole e del vento, anzi servono proprio per compensare l’elettricità che manca quando le rinnovabili non producono abbastanza.

Peccato che: a) non esiste un solo SMR disponibile sul mercato e quindi non si sa se è vero che costano poco né se effettivamente si costruiscono in poco tempo; b) se funzionano a potenza variabile per compensare i vuoti di produzione delle rinnovabili, l’elettricità prodotta ha un costo molto elevato; c) ci rendono totalmente dipendenti da altri paesi per il combustibile nucleare; d) il problema di dove mettere le scorie è ben lontano dall’essere risolto.

Il quinto fronte è la geoingegneria solare. L’idea di base è: dato che il riscaldamento globale è causato dal fatto che il calore generato dalla radiazione solare viene dissipato meno di prima a causa della CO2, causando l’aumento della temperatura globale, allora diminuiamo la radiazione, invece della CO2. E per farlo basta imitare quello che già ha fatto parecchie volte la natura, con gigantesche eruzioni vulcaniche, quali quella del Monte Pinatubo nelle Filippine nel 1991, un evento che ha espulso milioni di tonnellate di anidride solforosa nella stratosfera e ha causato un calo temporaneo delle temperature globali di circa 0,5°C, e quella del Krakatoa, in Indonesia, nel 1883, che provocò l’abbassamento di 0,4 °C in tutto l’emisfero nord. La temperatura diminuisce perché le particelle di anidride solforosa formano una specie di specchio trasparente, che riflette parte della radiazione solare incidente: meno radiazione, meno riscaldamento.

Ma allora, se spandiamo anidride solforosa ad alta quota, dosandone la quantità, possiamo regolare la temperatura della Terra a nostro piacimento, eliminando la necessità di ridurre le emissioni di CO2 e rendendo inutili le fonti rinnovabili. Un progetto che i governi Usa e Regno Unito stanno finanziando.

La fantasia non si ferma qui. Ci sono progetti che prevedono la realizzazione di una specie di gigantesco ombrellone in orbita intorno alla terra, per ombreggiarne una parte, altri che mirano a sbiancare le nuvole, per riflettere meglio la radiazione solare. E c’è chi li finanzia.

Ci sono anche altri tipi di geoingegneria che si stanno sperimentando, come quello che prevede di fertilizzare enormi distese oceaniche di plancton, che ha un grande capacità di assorbimento della CO2 dell’aria, in modo da aumentarne la quantità assorbita.

La geoingegneria, fino a ieri relegata nei laboratori, è il nuovo fronte aperto per scongiurare il pericolo della transizione energetica. Bella idea, ma i rischi ad essa connessi non sono noti e possono dare luogo alla destabilizzazione del sistema climatico e degli ecosistemi, con conseguenze devastanti, inimmaginabili.
Il 2025 apre un quinquennio in cui si deciderà se e di quanto si lascerà avanzare l’armata delle multinazionali sui cinque fronti. In questa guerra l’informazione gioca un ruolo decisivo.



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