In Europa è arrivata la consapevolezza che subire un attacco militare – di ogni genere e gravità – non è più impensabile. E molti Paesi cominciano ad attrezzarsi: con riarmo, difese, bunker. Ma anche con nuovi cimiteri.
Ognuno si organizza come può, come meglio crede. In Italia, al comando dello Stato maggiore della Difesa di Roma, dal più alto in grado fino all’ultimo militare, tutti indossano la mimetica: «Bisogna prepararsi all’ipotesi peggiore» spiega il generale Carmine Masiello. Ben più cupo è l’atteggiamento svedese: a metà dicembre la Chiesa luterana ha ricevuto dal governo di Stoccolma la richiesta di individuare dieci ettari di terreno e di prepararsi all’eventualità di dover seppellire 30 mila persone, non solo soldati.
Freddi venti di guerra scuotono il mondo, dall’Ucraina al Medio Oriente, e gelano la schiena fino a Taiwan, dove la flotta cinese è appena tornata a circondare l’isola. E l’Europa, quasi senza accorgersene, ai conflitti ha cominciato a prepararsi. No, non come tre mesi fa aveva suggerito Mario Draghi, che nel suo Rapporto all’Unione europea aveva raccomandato più integrazione e più spesa per la difesa comune. Ma in ordine sparso. Di fronte alle crescenti minacce di Vladimir Putin, lo scorso 19 novembre, a Varsavia, i ministri degli Esteri di Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Polonia hanno firmato un documento di forte critica «all’escalation delle attività ibride di Mosca contro i Paesi della Nato e dell’Ue», che «stanno creando rischi significativi per la sicurezza». Da allora, però, l’Europa unita non ha saputo fare nulla di più concreto. In molti Stati, invece, è partita una silenziosa, concretissima corsa ai preparativi: piccole mosse e quasi ingenue, a volte, ma comunque sintomatiche di un’inquietudine inedita, almeno dalla fine della Guerra fredda.
Uno dei passi più decisi l’ha fatto la Germania. A fine novembre è emerso un piano riservato di mille pagine, elaborato dagli alti comandi del Bundeswehr, l’esercito tedesco, e intitolato «Operation Deutschland», denso di scenari bellici. Il documento individua le linee della resistenza a un’invasione russa, ma anche piani di requisizione e mobilitazione di risorse civili, a partire dai mezzi di trasporto privati, e progetti di esercitazioni congiunte tra i militari e le aziende per garantire l’operatività logistica del Paese. Il Piano è tanto dettagliato da includere l’addestramento dei dipendenti privati a competenze utili in tempi di crisi, come la guida di camion. Già a fine ottobre il ministro tedesco della Difesa, il socialdemocratico Boris Pistorius, aveva invitato i tedeschi a essere «Krieg-stüchtig», cioè «pronti alla guerra». Pistorius aveva annunciato anche 100 miliardi d’investimenti a favore del Bundeswehr, aggiungendo che l’esercito era stato «trascurato per oltre 30 anni», e che questo era stato «un madornale errore cui purtroppo non si può riparare in pochi mesi». Uno choc, cui ai primi di novembre ne è seguito un altro: la crisi del governo di centrosinistra di Olaf Scholz.
Da allora, in attesa delle elezioni del 23 febbraio, gli alti comandi di Berlino si sono messi a lavorare a un elenco dei rifugi anti-atomici disponibili, per avere un’idea degli spazi dove riparare la popolazione in caso d’emergenza. Ai primi di dicembre il ministero degli Interni ha fatto sapere che sarebbero «attivabili» 579 rifugi in tutto, capaci di dare riparo a meno di mezzo milione di abitanti (su un totale di 90 milioni di tedeschi), e che presto sarà pronta un’applicazione da smartphone con la posizione delle strutture. L’Associazione tedesca delle città ha subito chiesto di riattare i duemila bunker sotterranei costruiti negli anni della Guerra fredda, ma sono stati in gran parte smantellati dal 2007.
La Francia intanto ha scoperto il fascino dei rifugi privati. Le aziende costruttrici fioriscono e la domanda – partita nel 2022, dopo l’invasione russa dell’Ucraina – s’è impennata proprio negli ultimi mesi. Stime aggiornate parlano di almeno mille nuovi bunker personali costruiti negli ultimi due anni. A prezzi notevoli: si va dai 70 ai 150 mila euro per un piccolo rifugio familiare spartano per due-tre persone, ma si arriva a qualche milione per un bunker lussuoso e di grandi dimensioni. In primavera, poi, l’esercito francese parteciperà all’esercitazione su larga scala «Dacian 2025», in Romania: il test dovrà verificare la rapidità di mobilitazione sul fianco orientale dell’Alleanza atlantica. Secondo il generale Bertrand Toujouse, capo delle forze terrestri francesi, l’esercitazione cambia ogni paradigma: «Non stiamo più simulando guerre astratte, ora abbiamo un nemico designato». Nel frattempo, anche a Parigi cadono i governi, e il Paese ha altro cui pensare. Ma un sondaggio d’inizio dicembre rivela che 62 francesi su 100 vogliono tornare al servizio di leva obbligatorio, e oltre metà del campione vorrebbe «aumentare le risorse per l’esercito». Un terzo ritiene addirittura che in tempo di crisi sia «più auspicabile un governo militare rispetto a uno civile».
La Svizzera ha una storica tradizione di bunker. Dal 1962 una legge ne impone la costruzione sotto ogni nuovo edificio, pubblico e privato, e così la Confederazione oggi dispone di circa 360 mila rifugi individuali o collettivi, capaci di proteggere un numero di persone addirittura superiore ai suoi nove milioni di abitanti. La Finlandia ha numeri simili, visto che garantisce il posto in un bunker a 70 cittadini su 100, ma ha anche 1.340 chilometri di confine aperto verso la Russia: per questo, in autunno, ne ha chiuso gli otto valichi, ha avviato la costruzione di un’alta recinzione in acciaio e ha chiesto ai satelliti della Nato di intensificare i controlli su quella bianca terra di nessuno. Da metà novembre, poi, un milione di finlandesi ha scaricato dal sito del governo una nuova guida di sopravvivenza intitolata «Prepararsi a incidenti e crisi», che prevede anche «conflitti militari» e offre consigli sull’uso di pasticche allo iodio contro gli effetti delle radiazioni. Anche l’Agenzia svedese per le emergenze civili ha distribuito a cinque milioni di famiglie un opuscolo di 32 pagine, intitolato «Se arriva la guerra»: dà suggerimenti su come fermare un’emorragia, quali scorte fare, come calmare i bambini… E lo stesso accade in Norvegia, dove il governo consiglia alla popolazione di tenere in casa alimenti e medicine (e le solite pasticche allo iodio) per reggere almeno una settimana.
In Italia – tute mimetiche a parte – regna la calma. Di conflitti bellici si parla poco, di bunker ancora meno. Da noi, del resto, sopravvive tutt’al più qualche vecchio rifugio antiaereo, inutile in caso di attacco nucleare. Eppure alcune strutture ci sarebbero, sia pure disattivate e trasformate in museo. Una fu scavata nel 1937 dal fascismo nel monte Soratte, non lontano da Roma, e nel 1967 la Nato lo potenziò per la Guerra fredda. I suoi quattro chilometri di gallerie, nel dopoguerra, avrebbero potuto funzionare da bunker antinucleare. Un altro grande rifugio atomico, 13 mila metri quadri a 150 metri di profondità, risale agli anni Sessanta e si trova ad Affi, vicino a Verona. Può resistere a un’esplosione da 100 chilotoni (la bomba di Hiroshima ne scatenò 15), e null’altro è dato sapere. Da noi, come sempre, sono molto più veloci le grandi società private. Alcune si sono già organizzate per trasferire le loro prime linee di comando in luoghi segreti, ben protetti e riforniti, e lontani dai possibili obiettivi dei missili di Mosca. A tutti gli altri italiani restano gli scongiuri.
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