il ponte verso la salute per i senza fissa dimora

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L’approvazione all’unanimità alla Camera della Legge 176/2024, voluta fortemente dal Partito Democratico, a prima firma di Marco Furfaro, segna una svolta storica. La nuova legge, che riconosce il diritto all’assistenza sanitaria alle persone senza dimora, prive della residenza anagrafica sul territorio nazionale o all’estero, che soggiornano regolarmente nel territorio italiano, colma una lacuna che, per troppo tempo, ha escluso migliaia di cittadini dai servizi sanitari di base. Categorie fragili come padri di famiglia separati, donne vittime di violenza e persone che hanno perso lavoro e casa, costringendoli a ricorrere al Pronto Soccorso anche per situazioni non urgenti.

La nuova legge permette l’iscrizione nelle liste degli assistiti delle aziende sanitarie locali, la possibilità di scegliere un medico di medicina generale o un pediatra e l’accesso alle prestazioni sanitarie essenziali. Per rendere operativo questo diritto è prevista la sperimentazione di un programma pilota, finanziato con 1 milione di euro per gli anni 2025 e 2026. I fondi saranno distribuiti su base regionale e assegnati tramite un decreto del Ministro della Salute, in collaborazione con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.

La Legge 176/2004 restituisce il diritto alla salute a oltre 96.000 persone, di cui il 62% di nazionalità italiana, finora escluse dall’assistenza sanitaria perché senza fissa dimora

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Un aspetto fondamentale sarà il monitoraggio periodico: sarà verificata la spesa sostenuta, le criticità incontrate nell’attuazione della legge e i costi effettivi del programma, per garantire che le risorse siano impiegate in modo efficace e che l’obiettivo di inclusione sanitaria sia raggiunto. La sperimentazione della legge, con avvio nel 2025, proseguirà fino al 2026 in 14 città metropolitane italiane: Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia.

A TrendSanità ne parlano Carlo Curatola, membro dell’esecutivo nazionale FIMMG, e Marco Furfaro, primo firmatario della legge.

Una legge in linea con la Costituzione

La nuova normativa si allinea perfettamente ai principi sanciti dagli articoli 3 e 32 della Costituzione italiana: il diritto all’uguaglianza e il diritto alla salute. Come dichiara a TrendSanità Carlo Curatola, membro dell’esecutivo nazionale FIMMG, «la norma conferma l’importanza del ruolo dei medici di medicina generale nella gestione delle persone fragili, costrette a ricorrere direttamente e tardivamente al Pronto Soccorso per qualsiasi problema di salute, aggravando situazioni già complesse sia dal punto di vista clinico, sia socioculturale.

La norma conferma l’importanza del ruolo dei medici di medicina generale nella gestione delle persone fragili

Carlo Curatola

Siamo fieri di essere stati indicati anche questa volta come le risorse umane più adeguate alla presa in carico di quelli che oggi finalmente potremo chiamare “assistiti” e che fino ad oggi non avevano la dignità di un’identificazione in tal senso. Soddisfatti anche per l’approvazione trasversale del mondo politico che, di fatto, ha facilitato l’approvazione della norma. Soddisfazione per una norma che conferma l’importanza del ruolo dei medici di medicina generale nella presa in carico della fragilità.

Fragilità che nelle persone senza fissa dimora assume spesso dimensioni disumane, sommando aspetti clinici e socioculturali. Un motivo in più per continuare a chiedere con forza l’atto di indirizzo utile ad aprire le trattative per il nuovo ACN della medicina generale che dovrà armonizzare il dettato normativo anche nell’interesse di questa tipologia di assistiti».

Risponde a TrendSanità Marco Furfaro, deputato PD

Si è concluso l’iter legislativo: la legge è diventata legge dello Stato. Cosa succederà ora?

Marco Furfaro

«È un passo importante, ma ora inizia il vero lavoro. La legge prevede un’implementazione concreta che spetta al governo in collaborazione con gli enti locali e la Conferenza Stato-Regioni. Non è sicuramente una norma di attuazione automatica. Dal 1° gennaio, infatti, ha avuto avvio la fase di sperimentazione, che poi si estenderà su tutto il territorio nazionale.

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Questa norma è fondamentale perché permette alle persone senza dimora di iscriversi all’ASL competente nel territorio dove si trovano abitualmente, ottenendo così l’accesso al medico di base. Parliamo di decine di migliaia di persone, suddivise principalmente in due categorie».

Quali sono?

«La prima è quella più semplice, nel senso è più facile il raggiungimento del diritto. Penso a chi è finito improvvisamente in povertà, magari un genitore che, dopo un divorzio, si ritrova a vivere in macchina o ospite da amici. In questi casi, pur non avendo una residenza fissa, queste persone riescono più facilmente ad accedere ai servizi e a scegliere il medico di base, hanno gli strumenti per farlo.

Il secondo gruppo è più complesso. Sono persone senza dimora per svariati motivi, magari partono da una situazione di povertà, ma col tempo si trovano a dover affrontare difficoltà fisiche, psicologiche e sociali che aggravano la loro condizione. Spesso sono diffidenti nei confronti delle istituzioni e più difficili da raggiungere».

Come si supera questo ostacolo?

«È qui che entra in gioco la collaborazione tra enti locali e terzo settore. Gli enti locali hanno una conoscenza diretta dei casi, ma non è sufficiente inviare una mail o una comunicazione. C’è una difficoltà nel trasmettere un’informazione, di stabilire un rapporto».

E per quanto riguarda i migranti?

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«Per i migranti il discorso si complica. I migranti regolari, con permesso di soggiorno e una situazione di integrazione stabile, possono accedere ai servizi sanitari senza particolari problemi. Ci sono poi migranti che hanno bisogno di una mediazione culturale e sociale e, ancora una volta, il terzo settore è fondamentale per colmare queste distanze.

Serve un contatto umano, un ponte di fiducia. È bene partire da ciò che già c’è e funziona, cioè le associazioni di volontariato, che svolgeranno un ruolo determinante per accompagnare le persone verso il loro diritto all’assistenza sanitaria

Il problema maggiore riguarda i migranti irregolari. Per loro, l’accesso al medico di base è precluso, non per la legge in sé, ma per la loro condizione di irregolarità, che andrebbe sanata. Sono persone le cui uniche alternative spesso sono il lavoro nero o situazioni ancora più gravi, come la criminalità. Non si tratta solo di un dramma umano, ma di una condizione che ha costi molto elevati anche per il sistema sanitario, perché l’unico punto d’accesso diventa il Pronto Soccorso».

Com’è stato il dialogo in Parlamento per far approvare questa legge?

«È una battaglia che portiamo avanti da tanti anni, indipendentemente dai colori dei governi, ma che aveva una spinta importante anche da parte delle associazioni di volontariato. La prima legge è nata in Emilia-Romagna, grazie ad Antonio Mumolo, presidente di Avvocati di Strada, per riconoscere il diritto alla salute e il medico di base anche a coloro privi di fissa dimora. Una legge simile è stata poi varata in Puglia e altre Regioni hanno iniziato a parlarne, perché si tratta di un problema trasversale, sotto gli occhi di tutti.

Quando abbiamo deciso di portare questa proposta in Parlamento, come PD ho chiesto la priorità su questa legge e ho iniziato un confronto serrato con il governo e la maggioranza. Non è stato facilissimo ma oggettivamente era una legge necessaria, che affronta anche un problema di giustizia sociale e che aiuta a risolvere il problema dei Pronto Soccorso ingolfati.

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Non è ovviamente mancato il sostegno di realtà importanti come Caritas, Comunità di Sant’Egidio, del mondo associativo ma anche della Federazione degli Ordini dei Medici e dei Chirurghi».

Da una parte avevamo il mondo della sanità, dall’altra quello del volontariato. Insieme, queste forze sono state decisive

Quali sono i rischi e le criticità che intravede?

«Ci sono sicuramente delle difficoltà. La legge è fatta e va bene, dopodiché serve che le istituzioni la implementino, la rendano operativa. Noi saremo lì a vigilare ma ciò che mi rincuora è la Conferenza Stato-Regioni che aprirà un dialogo con il governo. Le Regioni, avendo una maggiore prossimità e conoscenza del territorio, troveranno il modo per costruire meccanismi attraverso i quali applicare la legge. Problemi oggettivi ci sono, come la carenza di medici di base, ma non è un buon motivo per non fare la legge, semmai per aumentare il numero dei medici.

Non credo poi che ciò influenzerà più di tanto l’applicazione della legge per due motivi. Primo perché la sperimentazione partirà dalle aree metropolitane dove è concentrata la maggior parte delle persone senza fissa dimora. La seconda è che la penuria di medici di base è un problema che caratterizza più le aree interne e rurali ma dove è anche ridotta la presenza dei senza fissa dimora.

Se questa legge funzionerà, sarà una misura di prevenzione che alleggerirà il peso sui Pronto Soccorso e ridurrà i costi sanitari

Una criticità che intravedo, invece, è il rischio che tutto sia scaricato sul terzo settore, soprattutto nei casi più complessi. E laddove ci sono delle reti associative efficienti, i problemi si affrontano e risolvono, ma dove non ci sono, il rischio che le persone siano lasciate a se stesse è reale.

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Infine, c’è un altro aspetto da considerare: se questa legge funzionerà, sarà una misura di prevenzione che alleggerirà il peso sui Pronto Soccorso e ridurrà i costi sanitari. Non risolverà tutti i problemi, ma potrà essere un miglioramento per tante persone e per lo Stato stesso».



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