Ci sono due modi di raccontare la transizione energetica marocchina. Il primo è il copione di una storia di successo: uno Stato africano in costante crescita economica, che investe su tecnologie all’avanguardia. Il secondo è una storia di colonialismo, anzi, dell’unica colonia in senso proprio dell’intero continente. Che con l’arrivo delle nuove tecnologie energetiche diventa territorio di conquista per le aziende di Rabat e d’Europa. In entrambe le storie ci sono elementi di verità, ma la prima è monca senza la seconda.
L’AMBIENTAZIONE DI TUTTA la vicenda è il Sahara Occidentale, l’enorme territorio che dalla fine del colonialismo spagnolo aspira all’indipendenza, ma è di fatto in larghissima parte controllato dal Marocco. In questo pezzo di deserto, grande quasi come l’Italia ma con meno abitanti di Palermo, si è combattuta una guerra sanguinosa fino agli anni ’90, e da allora vige una pace fragile basata sulla promessa di un referendum per l’autodeterminazione mai davvero concesso.
PER I SAHARAWI – GLI ABITANTI autoctoni della regione – la posta in gioco è la terra: la gran parte di loro vive da decenni profuga in Algeria, in campi che da provvisori sono diventati baraccopoli permanenti. Per il Marocco, il punto sono le risorse che quella terra ha da offrire: soprattutto pesce e fosfati. Un elenco al quale da poco si sono aggiunte due voci: sole e vento.
QUI SI INSERISCE, PARADOSSALMENTE, il curriculum verde del governo marocchino. A febbraio del 2016 vicino a Ouarzazate, nel centro del Paese, è stata connessa alla rete Noor 1 la più grande centrale a concentrazione solare al mondo. Un impianto enorme – costato nove miliardi di dollari e capace a pieno regime di alimentare oltre un milione di abitazioni – che è il simbolo della transizione made in Rabat. «Il Marocco è un precursore della transizione energetica nella regione: non è un caso che in due diverse occasioni abbia ospitato i negoziati sul clima delle Nazioni Unite» spiega Giulia Giordano, direttrice strategia Mediterraneo e globale per il think tank Ecco.
«IL 38% DELL’ELETTRICITÀ È PRODOTTA da fonti rinnovabili – soprattutto idroelettrico – e la quasi totalità della popolazione ha accesso all’energia. La ragione di questo sforzo va ricercata in parte nell’interesse per le risorse e le tecnologie occidentali, in parte per un banale dato geografico: il Marocco non ha grandi riserve fossili, ed è quindi nel suo interesse rendersi indipendente tramite l’energia pulita». Della «monarchia verde» di Rabat si parla già da tempo: gli Ndc, gli impegni climatici presentati in sede di Nazioni Unite, sono considerati «quasi sufficienti» dal rispettato centro studi Climate Action Tracker.
UN GIUDIZIO APPARENTEMENTE non entusiasmante, ma bisogna guardare al contesto: si tratta di uno dei migliori piazzamenti in classifica. Per avere un metro di paragone, l’Unione Europea del Green Deal è giudicata semplicemente «insufficiente». Molta della prevista (e necessaria) crescita delle fonti pulite, però, è localizzata proprio in Sahara Occidentale. Una regione effettivamente ricca di sole, spazi inutilizzati e vento off-shore, ma su cui il Marocco esercita sovranità solo grazie alla forza delle armi.
LE NAZIONI UNITE CONSIDERANO il Sahara Occidentale «territorio non autonomo», lo status che viene attribuito alle colonie. «Noi cerchiamo di contrastare questo fenomeno da sempre, anche e soprattutto per vie legali»: a parlare al manifesto è Fatima Mahfud, portavoce in Italia del Fronte Polisario, il partito-Stato riconosciuto internazionalmente come rappresentante del popolo saharawi. «Abbiamo incontrato i governi europei con partecipazioni nelle aziende attive in Sahara Occidentale, ma loro hanno proseguito nonostante il diritto internazionale stia dalla nostra parte. L’energia e i profitti di quegli impianti servirebbero al nostro popolo, e invece finiscono col finanziare l’occupazione».
SECONDO UNA FONTE DEL GOVERNO marocchino, riportata da Bloomberg in un articolo di pochi mesi fa, Rabat ha in programma di raddoppiare la potenza rinnovabile installata nei territori occupati entro il 2030, quando il paese co-ospiterà assieme a Spagna e Portogallo il campionato mondiale di calcio. Entro tre anni si punta ad aggiungere 1,4GW tra solare ed eolico, con una spesa stimata in 2,1 miliardi di dollari statunitensi.
AD OGGI IN SAHARA OCCIDENTALE si trovano impianti per 1,3 GW, ovvero un quarto del totale rinnovabile nazionale. Mahfud non è ottimista: «Siamo in una fase critica. Con il governo Sánchez anche la Spagna (tradizionalmente vicina alle istanze saharawi, ndr) ha fatto concessioni a Rabat».
I DUE VOLTI DELLA TRANSIZIONE marocchina – quello virtuoso e quello coloniale – per ora coesistono. La monarchia procede a installare pale e pannelli indispensabili per sé e per il Pianeta. Ma i saharawi – è questo il rischio – potrebbero non trarne molti vantaggi.
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