Cosa verifichiamo
Le diete possono essere amiche o nemiche oltre che della salute anche dell’ambiente. Una dieta ricca di carne, ad esempio, non aiuta in particolare la lotta al cambiamento climatico perché produce grandi quantità di gas serra e consuma molta acqua. Le diete bilanciate come quella mediterranea prevedono l’impiego di risorse naturali, la frugalità e il rispetto della stagionalità e dei territori, tutti elementi che rientrano in un sistema agroalimentare sostenibile.
L’analisi
La dieta mediterranea è l’espressione di una cultura popolare che mette in pratica principi agro-ecologici virtuosi per la salvaguardia della biodiversità. Diete come quella mediterranea sono ormai diventate espressione di una nuova cultura della conoscenza, attenta alla produzione, e al consumo alimentare, al rispetto dell’ambiente e alla salute. Sono un modello dietetico individuale, ma anche di nutrizione delle comunità locali e, dunque, un esempio virtuoso di come nutrire il pianeta.
“I sistemi agroalimentari – sostiene Massimo Iannetta, responsabile della Divisione Enea “Sistemi agroalimentari sostenibili” – sono sempre più oggetto di disequilibri e conflitti geopolitici. Da qui la necessità di una transizione verso una maggiore sostenibilità ambientale, economica, sociale e di governance globale del cibo”.
Incentivare diete bilanciate come quella mediterranea favorirebbe la transizione agro-ecologica verso la circolarità e la sostenibilità, portando con sé vantaggi economici, in quanto riduce la spesa sanitaria grazie ai benefici sulla salute, e la valorizzazione di territori e produttori locali.
I sistemi agroalimentari intensivi hanno avuto un peso, purtroppo, nella perdita di biodiversità e nei cambiamenti climatici. “Dalla fine della Seconda guerra mondiale – prosegue Iannetta – i sistemi alimentari sono riusciti a garantire un’offerta sempre più ampia di alimenti a disposizione di una popolazione mondiale in rapida crescita. Tuttavia, questa grande produzione ha lasciato dei segni. Ad esempio, una percentuale importante del cibo prodotto va perso o sprecato. In Italia si parla di 4 milioni di tonnellate di cibo perse nella filiera italiana nel 2022, per un valore complessivo di oltre 9 miliardi di euro. Ogni italiano spreca in media 683,3 grammi di cibo a settimana, ovvero più di 35 chilogrammi all’anno. Non tutti sanno però che per produrre frutta, verdura, carne, latte e pane poi buttati via, vengono sfruttati e consumati 1,982 milioni di ettari di superficie agricola: una distesa di suolo e terra agricola equivalente all’intera Lituania o alla superficie combinata di Emilia-Romagna e Piemonte, secondo i dati dell’Osservatorio Waste Watcher International, elaborati dall’Università di Bologna/Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari per la campagna Spreco Zero.
“La distribuzione disomogenea del cibo ha generato una polarizzazione della sua accessibilità: da una parte milioni di persone soffrono di carenze alimentari, dall’altra l’abbondanza di cibo è abbinata a una grande incidenza di malattie non trasmissibili riconducibili ad abitudini alimentari squilibrate, tra i rischi principali per la salute umana” rileva Iannetta.
Le produzioni alimentari sostenibili privilegiano il modello di consumo della dieta mediterranea, in cui prevale il consumo di vegetali rispetto alla carne, per la cui produzione occorre molta più acqua rispetto ai prodotti agricoli. Ad esempio, per produrre un chilo di carne bovina si consumano quasi 16 mila litri d’acqua, a fronte dei 322 litri necessari a produrre un chilo di verdura, i 960 litri di un chilo di frutta e i 1.600 di un chilo di cereali.
Uno studio spagnolo pubblicato sul Journal of Health Services Research & Policy, conferma che la dieta mediterranea implica un minor impatto sull’ambiente: l’impronta ecologica giornaliera (il footprint) della dieta mediterranea equivale a 5,08 kg di CO2 contro i 7,4 kg CO2 dei pasti quotidiani dei britannici e gli 8,5 kg CO2 del menu statunitense.
Inoltre, la dieta mediterranea favorisce il recupero e riutilizzo del cibo, come attesta il primo rapporto globale su cibo e spreco, “Food & waste around the world”, firmato da Waste Watcher, International Observatory on Food & Sustainability: spreca più spesso chi sostiene di avere una dieta confusa e abitudini alimentari irregolari, come il 40% dei tedeschi, il 30% dei cittadini statunitensi, il 28 dei canadesi e il 25% degli inglesi
Secondo uno studio del Crea Alimenti e Nutrizione, pubblicato sulla rivista scientifica “Frontiers in Nutrition” e basato su un campione di 2.869 persone, la dieta mediterranea è stata anche nel 2023 come la migliore del mondo. Purtroppo solo il 13% degli italiani la segue.
Conclusioni
La dieta mediterranea risulta sostenibile anche includendo ogni attività della filiera, compreso il consumo e lo smaltimento, così come gli elementi correlati (ad esempio le infrastrutture e il marketing), garantendo la sicurezza alimentare, senza pregiudicare le basi economiche, sociali ed ecologiche per le generazioni attuali e future.
Le fonti
Massimo Iannetta, responsabile della Divisione Enea “Sistemi agroalimentari sostenibili”
Osservatorio Waste Watcher International Observatory on Food & Sustainability
Università di Bologna/Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari
Rosario Vidal, Enrique Moliner, Andrej Pikula, Ángel Mena-Nieto y Agustín Ortega. ‘Comparison of the carbon footprint of different patient diets in a Spanish hospital’. Journal of Health Services Research & Policy 2015, Vol. 20(1) 39-44
Studio del Crea Alimenti e Nutrizione, dal titolo “Dieta Mediterranea: ecco l’identikit di chi la segue, istruito, vive in città, al Centro Nord e nelle Isole” pubblicato sulla rivista scientifica “Frontiers in Nutrition”
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