Alla ricerca del Dna ambientale

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La ricerca del Dna ambientale (eDna) è diventata una delle metodologie più importanti per identificare gli organismi viventi presenti in una determinata zona, anche quelli che non sono osservabili direttamente. Tutti gli organismi rilasciano nell’ambiente tracce del loro materiale genetico e le analisi dei campioni che lo contengono forniscono preziose informazioni sulla biodiversità degli ecosistemi.

GLI STUDI PIU’ RECENTI HANNO DIMOSTRATO che il materiale genetico può essere rilevato non solo nel terreno e nelle acque, ma anche nell’aria. L’analisi del Dna partendo da campioni di aria ha ampliato il campo d’indagine sulla biodiversità di animali, piante, funghi, microrganismi. Lo studio più recente, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, ha riguardato il campionamento dell’aria in 47 zone del pianeta per studiare il comportamento dei funghi e i fattori climatici ed evolutivi che influenzano la loro presenza. Questi organismi, che costituiscono un regno a parte, stabiliscono relazioni molto complesse con le specie animali e vegetali.

IL GRUPPO DI LAVORO INTERNAZIONALE, coordinato da Nerea Abrego e Brendan Furneaux dell’università finlandese di Jyvaskyla, ha operato in ambienti molto diversi per condizioni climatiche: regioni del nord Europa, zone polari artiche (Groenlandia, Alaska, Siberia), zone tropicali e sub tropicali, Sud Africa, Australia, Giappone. Questa grande varietà di ambienti è grado di rappresentare i molteplici fattori che operano in un ecosistema. I ricercatori per catturare il Dna presente nell’aria hanno utilizzato particolari filtri che trattengono il materiale genetico. La successiva analisi delle spore fungine catturate è avvenuta impiegando la tecnica del sequenziamento del Dna.

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«L’ARIA E’ UN TESORO DI INFORMAZIONI per comprendere la varietà di forme viventi presenti negli ecosistemi: animali, piante, insetti, funghi, batteri», ha affermato Nerea Abrego nel presentare il lavoro svolto. Nella ricerca sono stati impegnati anche due studiosi italiani, Luigi Paolo d’Acqui e Stefano Ventura del Cnr di Firenze, che si sono concentrati nello studio dei funghi presenti nell’arcipelago delle Svalbard, una delle regioni più a nord del pianeta, dove si trova la base Dirigibile Italia del Cnr.

LE ISOLE SVALBARD, SITUATE nel cuore del Mar Glaciale Artico, sono ancora poco indagate per quanto riguarda lo studio della biodiversità. Quello che sappiamo è che i funghi rappresentano una componente fondamentale per mantenere l’equilibrio di questo ecosistema artico. Secondo il gruppo di ricerca, è necessario fare indagini sempre più accurate sulla biodiversità e sui cambiamenti globali in corso (modificazioni o scomparsa di habitat, cambiamenti climatici) e i funghi, per le loro caratteristiche e la loro storia evolutiva, possono fornire un importante contributo.

LA CONOSCENZA DETTAGLIATA della distribuzione dei funghi nelle diverse aree del pianeta consente di valutare il grado di indebolimento dei processi naturali negli ecosistemi e la conseguente perdita di biodiversità. Nello studio si mette anche in rilievo la necessità di approfondire la conoscenza genetica dei funghi importanti per l’uomo e le altre specie animali, per l’agricoltura e le foreste. L’indagine riguarda anche i funghi patogeni, per comprendere l’impatto che essi possono avere sulle altre specie, in una fase in cui i cambiamenti climatici modificano le relazioni tra gli organismi.

SECONDO IL RICERCATORE ITALIANO Luigi Paolo d’Acqui, «conosciamo solo una piccola frazione della diversità della natura e della grande ricchezza di forme viventi, soprattutto quando si tratta di funghi, che contano milioni di specie ancora sconosciute». Per l’altro ricercatore italiano, Stefano Ventura, «l’attività di biomonitoraggio che è stata effettuata per i funghi va estesa ad altri microrganismi come batteri e cianobatteri, per essere in grado di prevedere come potrà evolversi la biodiversità all’interno di tutte le categorie di microrganismi». In campo epidemiologico lo studio del Dna ambientale è di grande importanza perché consente di individuare la presenza di virus, batteri e altri organismi patogeni.

QUELLO SULLO STATO DI BIODIVERSITA’ presente sul pianeta e la sua evoluzione è un tema che coinvolge migliaia di ricercatori in tutto il mondo. Otso Ovaskainen, uno dei più importanti studiosi dell’Università finlandese che ha curato la ricerca sui funghi, afferma che «le nuove tecniche di biomonitoraggio attraverso il Dna ambientale rivoluzioneranno nei prossimi anni le previsioni sulla biodiversità». Ovaskainem sta coordinando un progetto che studia mammiferi, uccelli, anfibi e insetti in centinaia di località di tutto il mondo, utilizzando il Dna ambientale.

LO STUDIOSO FA L’ESEMPIO DEGLI INSETTI, la categoria che contiene in assoluto il maggior numero di specie, e mette in evidenza che nei campioni di Dna che i suoi collaboratori hanno raccolto è presente un numero di specie di insetti nettamente superiore a quello già descritto dalla scienza. Sono 70 anni che il Dna è stato scoperto. Ora sappiamo che attraverso l’analisi dei campioni presenti nel terreno, nell’acqua e nell’aria è possibile allargare la comprensione sulla grande varietà di forme viventi e le relazioni che si instaurano tra di esse.

GLI SCIENZIATI, ATTRAVERSO IL DNA ambientale, possono rilevare contemporaneamente la presenza di organismi appartenenti a categorie diverse, comprese le specie rare e quelle di cui si ignora l’esistenza. Sono numerose le specie che vivono sul pianeta e che non sono state ancora identificate perché sfuggono al rilevamento tradizionale. Si ha il timore che possano scomparire prima che il loro valore biologico venga compreso. L’alterazione degli habitat e i cambiamenti climatici rappresentano una grave minaccia per molte specie di mammiferi, uccelli, insetti, anfibi, crostacei. Il Dna ambientale può fornire informazioni sempre più accurate sulle specie e le popolazioni per mettere in atto processi decisionali in grado di proteggere la biodiversità.



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