«Siri, come è fatta l’anima? Se il mistero della vita è un algoritmo, chi è il Grande Matematico? E se faccio una Tac si vedrà che voglio bene al mio amico Giovanni?». Interrogativi metafisici di inizio anno. Se li pone Giacomo Poretti (l’«amico Giovanni» è Storti, l’altra G del trio con Aldo Baglio) nella Fregatura di avere un’anima. Lo spettacolo ha debuttato al Teatro Oscar di Milano, di cui il 68enne Giacomo è direttore da cinque anni, ma non ha ancora una tournée. In compenso il suo protagonista fino a maggio girerà l’Italia con un altro spettacolo, Condominio mon amour. Le domande sulla fede però non smette di porsele. «Quando è nato nostro figlio Emanuele, un sacerdote disse: “Avete fatto un corpo, ora dovete fare un’anima”. È stato uno spunto di avvicinamento alla fede».
Un avvicinamento fatto con sua moglie Daniela Cristofori, psicologa e attrice?
«Nell’adolescenza ero andato da un’altra parte, a cercare il senso delle cose. L’incontro con Daniela mi ha facilitato nel ripercorrere certe strade. Ci sono parole che hai quasi timore di affrontare, la modernità ci dice continuamente: “Siamo seri, non occupiamoci di queste cose, sono vecchie”. Ma io voglio pormi domande».
Da giovane, per cambiare il mondo lei guardava più alla militanza di sinistra.
«Ho smesso di credere a quelle cose il giorno in cui Aldo Moro è stato rapito. La politica non può usare come strumento la violenza o l’eliminazione del nemico, che è una scelta di comodo rispetto alla fatica, alla frustrazione del confronto. La violenza nasce anche dal fatto che l’altro – milanista o juventino, di destra o di sinistra – ti incute timore: sei spaventato e reagisci così. Certo, sarebbe molto più comodo se fossimo tutti… interisti».
Anche quella dell’Inter è una fede, che ha sempre dichiarato. Meglio della politica?
«Penso che negli ultimi vent’anni la politica si sia squalificata. L’esempio clamoroso sono i 5 Stelle: un movimento che esplode e poi svanisce».
Da collega: Grillo la diverte?
«Come comico tantissimo, il carro funebre con cui ha decretato la morte del Movimento faceva ridere. Ma è tragicomico che, in quanto giullare, si sia ridotto a parlar male del suo successore».
Padri e figli: Emanuele ha visto “La fregatura di avere un’anima”?
«Sì, con i suoi amici. Hanno detto che lo spettacolo li ha aiutati a sollevare alcuni argomenti che sentono ma non riescono a verbalizzare. Emanuele ha 18 anni, studia e si sta domandando quale sarà il futuro».
In “Condominio mon amour” lei e Daniela affrontate il tema del lavoro: questione cruciale per il futuro dei ragazzi.
«Nella commedia – dove ci sono una supermanager e il custode di un condominio – parliamo di mestieri destinati a scomparire perché la modernità non guarda in faccia a nessuno, taglia risorse umane e le sostituisce con le app. E poi diciamo che le generazioni più recenti hanno un approccio al lavoro diverso».
Diverso come?
«Per secoli è andata come dice un personaggio: “Il lavoro difficilmente te lo scegli, quasi sempre ti assume lui, fai cose di cui non sei del tutto contento”. Adesso invece i giovani mettono condizioni, fin dal primo colloquio. Forse hanno il coraggio di porsi certe domande, per esempio perché sacrificare otto ore della vita per arricchire l’azienda, e di immaginarsi un futuro diverso».
Prima di diventare attore, lei è stato metalmeccanico. E infermiere.
«Fino al 1985 lavoravo all’ospedale di Legnano. Dopo la terza media, per le famiglie di operai come la mia, era normale andare a lavorare, non si reclamava».
Poi, nel 1990, ha iniziato a lavorare con Giovanni e Aldo. Con Giovanni oggi sta facendo anche la pubblicità per il riciclo della carta. E Aldo?
«Ci lega un’amicizia profonda, tenera».
Un nuovo film insieme?
«No, però stiamo facendo un documentario su di noi per raccontare la nostra storia. Dovrebbe uscire a settembre, io neanche volevo: sono ancora vivo, a che serve un documentario? Poi, ci siamo rassegnati al volere della regista, Sophie Chiarello. Lavorare insieme ci ha dato grandissime soddisfazioni, ma le occasioni si diradano Eppure lo spirito è sempre quello».
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