Chi prova ad allungare sul 2025 lo sguardo della geopolitica capisce subito che l’anno nasce corto, cortissimo: il 20 gennaio, Donald Trump s’insedierà per la seconda volta alla presidenza degli Usa; il 23 febbraio i tedeschi vanno alle urne in anticipo sul previsto di sei mesi – circostanza piuttosto eccezionale per loro – per eleggere il nuovo Bundestag. I due eventi incideranno, in modo determinante, sugli assetti e sulle posizioni occidentali ed europee nel prossimo quadriennio. Fare, quindi, oggi previsioni su quelli che saranno gli sviluppi sui fronti di guerra in Ucraina e in Medio Oriente, sull’integrazione europea, sui rapporti con la Cina, sull’andamento dell’economia e sul clima è un azzardo.
Come nel 2017, anche il ritorno al potere di Trump è un salto nel buio: allora, l’incognita maggiore era l’imprevedibilità del personaggio; adesso è il desiderio di rivalsa che lo anima – e la somma degli egocentrismi suo e di Elon Musk non è per nulla tranquillizzante. Di fronte a sé, il magnate si ritrova un’Europa meno coesa e più fragile che nel 2017: Francia e Germania, i due Paesi faro dell’Unione, hanno governi deboli; le pulsioni nazionaliste, sovraniste, xenofobe minano l’integrazione; reminiscenze autoritarie e autarchiche attecchiscono dai Paesi nordici all’Italia, dall’Ungheria alla Slovacchia; dall’Olanda all’Austria; Francia, Germania e Spagna non ne sono immuni.
Accadde Domani: gli appuntamenti istituzionali
Sull’agenda 2025 ci sono certamente i punti fermi istituzionali. Il vertice del G7, il 51esimo della serie, si svolgerà dal 15 al 17 giugno a Kananaskis, non lontano da Calgary, nella provincia dell’Alberta, in Canada: è un ritorno al passato, perché Kananaskis – una cittadina fra le montagne – inaugurò, nel 2002, dopo l’esperienza traumatica e tragica di Genova 2001, i vertici in località remote, facili da proteggere e di difficile accesso a manifestanti e contestatori. Quel 28esimo ‘vertice dei Grandi’ era ancora un G8, perché vi partecipava la Russia, ammessa nel 1997 e poi espulsa nel 2014, dopo il cambio di regime in Ucraina e l’annessione della Crimea.
Il 20esimo vertice del G20 si svolgerà il 22 e 23 novembre, in Sudafrica, a Johannesburg. Il vertice dell’Apec, cioè dei Paesi che s’affacciano sul Pacifico, è previsto in novembre a Gyeongiu in Corea del Sud. Il 17esimo vertice dei Brics si farà in Brasile, in data da determinare e con una formazione ancora fluida: i Brics stanno crescendo di numero, ma la loro coesione resta modesta. E il vertice della Sco (Shanghai Cooperation Organisation) si farà in Cina nel segno dello sviluppo sostenibile. Brics e Sco sono due articolazioni dell’ordine mondiale alternativo cui Cina, Russia, Iran, India, Brasile, Sudafrica e altri Paesi stanno lavorando, in contrapposizione più o meno marcata all’Occidente.
Per le Nazioni Unite, il 2025 sarà l’anno dell’80esimo anniversario: l’Assemblea generale a settembre e la ricorrenza dell’entrata in vigore della Carta dell’Onu il 24 ottobre ne saranno i momenti salienti. La 30esima edizione della Un Climate Change Conferenze, la Cop 30, si riunirà il novembre a Belém, in Brasile: di qui ad allora, gli Stati Uniti saranno di nuovo usciti dagli Accordi di Parigi sul clima, compromettendo ulteriormente il raggiungimento degli obiettivi giù concordati.
L’Ue terrà regolari vertici trimestrali a Bruxelles, ma ci saranno anche appuntamenti straordinari e informali: il primo a febbraio, un seminario fra i leader nella campagna belga. Dopo l’Ungheria, che esaurisce il 31 dicembre un travagliato mandato, Polonia dall’1 gennaio e Danimarca dall’1 luglio s’alterneranno alle presidenze semestrali del Consiglio dei Ministri dell’Ue. Lato Nato, il Vertice dell’Alleanza atlantica è convocato il 24 e 25 giugno all’Aia, in Olanda.
Accadde Domani: i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente
Più che agli appuntamenti formali della diplomazia internazionale, si guarda però con ansia, ma pure con speranza, agli sviluppi dei conflitti, specie quelli più mediatici e percepiti come più insidiosi per gli assetti mondiali e regionali in Ucraina e in Medio Oriente – anche se va ricordato che la guerra quasi dimenticata del Sud Sudan è la più letale fra quelle oggi combattute al mondo.
Sul fronte dei conflitti, l’elezione di Trump ha scatenato in tutto il pianeta velleità bellicistiche, come se avesse ‘messo fretta’ ai potenziali ‘trouble makers’: se il 47esimo presidente Usa vuole essere l’uomo che fa finire le guerre e non le incomincia, meglio provare a chiudere conti in sospeso prima che s’installi.
Così, i conflitti in Medio Oriente si sono allargati, col cambio di regime in Siria, invece di ridursi, e la guerra in Ucraina ha ritrovato intensità dopo mesi di stasi. Segnali che, però, possono anche essere prodromi di una fase di cessate il fuoco senza pace e di negoziati. Aleggia sul pianeta l’impressione che l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel condivide con Christiane Amanpour, che l’intervista sulla Cnn: “Trump ha sempre avuto, e non ha mai celato, una fascinazione per i dittatori … Si capiva dal come parlava di Vladimir Putin e Kim Jong-un: ne ammirava il potere assoluto…”.
Come scrive sull’Ansa Stefano Polli, “le onde d’urto dei terremoti ucraino e mediorientale s’allargano e l’arco della crisi si fa sempre più ampio, disegnando un mondo con sempre meno certezze e sempre più tensioni. La nuova guerra siriana, ingarbugliata e inquietante, aggiunge tasselli al nuovo disordine mondiale, la cui costruzione è nata il 24 febbraio 2022, il giorno dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia… Da quel momento, nulla è stato uguale a prima: i già precari equilibri internazionali esistenti sono stati spazzati via, lasciando un vuoto diplomatico e politico che viene via via riempito da conflitti e crisi che, in uno sguardo d’insieme, possono riportare a quell’ipotesi di ‘terza guerra mondiale a pezzi’ di cui parlò Papa Francesco”.
La fascinazione – come dice Merkel – di Trump per Putin e la sua condiscendenza verso il premier israeliano Benjamin Netanyahu possono però sortire progressi verso la pace, o almeno uno stallo nelle guerre: una pace che, in Ucraina, non sarà certo quella “giusta” di cui parlano dal marzo 2022; e che, in Medio Oriente, non riconoscerà i diritti del popolo palestinese.
Ma la brutale franchezza di Trump con i suoi interlocutori sta già sortendo effetti. I leader dell’Ue e quelli della Nato, che poi sono le stesse persone, sono disposti a dimenticare l’aggettivo “giusta” e, ribadendo s’essere al fianco dell’Ucraina, pensano più alla ricostruzione che alla difesa; e il nuovo segretario generale dell’Alleanza atlantica, l’olandese Mark Rutte, dice che dedicare il 2% del Pil alla difesa non basta, che bisogna alzare la barra al 2,5%. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky adotta il linguaggio dello sconfitto: “Non possiamo più vincere”, riconosce parlando al Vertice europeo, ma trasmettendo un messaggio di rassegnazione alla sua gente e soprattutto alle truppe al fronte.
La pace di Trump, la pace dei forti sui deboli, sorgerà sul 2025? Putin e Netanyahu, probabilmente galvanizzati dalla prospettiva, alzano la barra delle condizioni: il presidente russo vuole negoziare con un presidente ucraino “legittimo” – il mandato di Zelensky è stato prorogato, ma prima o poi ci dovranno essere elezioni; e vuole una pace duratura, non una tregua temporanea, che lasci le cose in sospeso. Il premier israeliano intanto occupa una fetta di Siria, pretende il pieno controllo della Striscia di Gaza e non vuole più che gli si parli dei ‘due Stati’.
Una volta dimostrato che lui fa la pace e non la guerra, Trump cercherà di “fare l’America di nuovo grande”. Come? Scatenando guerre – non militari, ma commerciali – con i suoi rivali, cioè la Cina, e con i suoi partner, cioè gli europei, ma anche i suoi vicini Canada e Messico. E ovviamente prendendosela con gli immigrati – che, parole sue, “avvelenano il sangue” dell’Unione – e puntando sulle energie fossili. Intanto si allena a stuzzicare Panama, reclamando il controllo sul Canale, e la Danimarca, tirando di nuovo fuori l’idea – più che bizzarra – di comprarle la Groenlandia.
Con queste premesse, difficile credere questa volta al venditore di almanacchi che ci assicura che l’anno nuovo sarà migliore, “più più assai” di tutti quelli che l’hanno preceduto.
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