un popolo di talenti che non è più condannato a emigrare

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Tutti i catastrofisti di casa nostra sono all’opera come sempre e vedono nero. Sull’Italia si esercitano in modo particolare, quasi naturalmente, ma anche questa volta non ci prenderanno. Esattamente come avviene da cinque anni in qua di primato europeo italiano reale, ma sempre sminuito o addirittura disconosciuto. Non ci prenderanno e spiegheremo bene dopo perché anche se è giusto riconoscere che entriamo nel 2025 con un abbrivio di crescita meno forte degli anni passati e con uno scenario oggettivo di una Germania, nostro primo mercato di esportazioni, che continua a sprofondare.

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L’altro argomento, rilevante ma a nostro avviso sopravvalutato, che tutti usano per pronosticare la fermata della supercrescita italiana post Covid, guidata dal suo Sud in termini di export Pil e occupazione, è quello dei dazi di Trump ai cinesi che si ritroverebbero, dunque, con beni prodotti in eccesso e piloterebbero verso l’Europa tutte le loro merci togliendo mercato a noi e agli altri Paesi europei. Nutro più di una perplessità su questo scenario perché gli americani non possono andare avanti senza i semilavorati cinesi e i loro beni finiti a basso costo, così come, a parti invertite, la Cina ha bisogno della domanda americana e degli investimenti statunitensi in Cina. Alla fine, l’approccio sarà realista da parte di tutti e le frontiere dell’export globale non verranno chiuse.

Piuttosto, è l’Europa che si dovrà svegliare e proprio l’Italia potrà mettere a frutto la forza della sua stabilità politica per fare in modo che diventi finalmente adulta. Che vuol dire cambiare totalmente registro nella politica industriale europea, liberandola dagli schemi ideologici di un ambientalismo che produce solo morti e feriti, e collocare fuori dai bilanci nazionali il finanziamento della spesa per la difesa e le tecnologie del futuro.

L’Italia potrà mettere a frutto la politica di prudenza fiscale che ha tirato il freno su vizi e sprechi del passato e permette di attrarre investitori in uscita da una Francia che non ha più le finanze pubbliche sotto controllo. Questa prudenza fiscale italiana risalta, peraltro, al confronto di una virtù tedesca perduta per cui noi siamo stati promossi sui conti in Europa e loro non hanno potuto presentare neppure il piano fiscale. Restano appesi alle nuove consultazioni elettorali e al contratto di programma di governo che riusciranno a scrivere solo nei due o tre mesi successivi al voto di fine febbraio.

Soprattutto, però, l’Italia ha l’occasione irripetibile di accelerare come non mai sui cantieri del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e di estendere le semplificazioni adottate per i programmi europei a tutti i progetti di investimento pubblico e privato nazionali. La riforma della macchina degli investimenti, frutto di un’intuizione strategica e realizzata con efficacia, è l’asso nella manica del governo per il biennio 2025/2026.

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Può unire in un circolo virtuoso, diretto a sostenere la crescita del Mezzogiorno, investimenti pubblici europei, decontribuzione al 25%, credito di imposta per le aziende private e autorizzazione in 30/45 giorni per la realizzazione di nuove iniziative. Se a tutto ciò, come è avvenuto fino a oggi altrimenti non saremmo i primi per rate incassate del Pnrr, si aggiungerà la prosecuzione del cammino delle riforme, a partire da concorrenza, giustizia e ulteriori sburocratizzazioni, allora l’Italia riuscirà ancora una volta a stupire tutti.

Per la capacità di creare nuova occupazione e di conquistare mercati mondiali per i suoi prodotti. Per la capacità di mettere a segno un prodotto interno lordo soddisfacente nella situazione data di difficoltà europea che rappresenta, da un lato, la migliore garanzia di solvibilità al fine di onorare i doveri di un Paese debitore e, dall’altro, una spinta a nostro favore sui mercati per ridurre l’onere ingiustificabile di interessi che ancora paghiamo. Nonostante il calo di 17 miliardi già conseguito e dovuto proprio al combinato disposto di prudenza fiscale, stabilità politica e tasso di crescita. Siccome ci sarà, di certo, un tiraggio maggiore sul credito di imposta, sarà bene mollare altri tipi di incentivi e concentrare qui la spinta fiscale. Utilizzando la leva della Zona economica speciale unica (Zes) sarà facile per tutti rendersi presto conto che il Mezzogiorno italiano può essere il nuovo volano di investimenti interni e globali. Si mettono insieme manifattura di qualità, sviluppo della portualità e il doppio vantaggio di natura energetica – c’è il più alto potenziale – e di carattere geopolitico, visto che è l’asse Sud-Nord a prevalere su quello Est-Ovest. Anche dal bilancio europeo, al momento giusto, potrà arrivare una spinta ancora più incisiva perché oggi la crescita del Sud italiano, con la sua piattaforma strategica che si allunga nel Mediterraneo, è l’unica, storica, grande opportunità che hanno Europa e Italia per contrastare il carico pesante delle incertezze mondiali. Prima lo si capisce, in casa e fuori casa, meglio è per tutti.

Tra piano Mattei e nuova regia centrale per spendere bene le risorse europee e attrarre capitali produttivi nel Sud, non si può certo dire che il Paese non abbia colto la portata strategica della sfida dello sviluppo che passa per uno dei pochi Sud del mondo democratici, ben regolamentato e appartenente a un Paese del G7, qual è quello italiano. Sarebbe bene che l’interesse nazionale accomunasse tutti. Che le filiere industriali nazionali acquisissero la priorità che meritano e venissero tutte declinate secondo una logica territoriale unitaria di convenienza burocratica, contributiva e fiscale. Alla fine, tutti dovranno rendersi conto che il tema cruciale dello sviluppo italiano è quello del Sud avendo prioritariamente cura di creare le condizioni sociali e infrastrutturali per una maggiore partecipazione femminile al lavoro. Perché è solo qui, nel Sud, che puoifare oggi una vera politica di crescita perseguendo ostinatamente il rafforzamento del capitale umano. Identità e orgoglio della sua Capitale, che è Napoli, possono fare molto e consola il fatto che sono sempre di più quelli che si convincono che qui è utile investire. Anche l’idea di rimanere dove si è studiato, che conviene scommettere e rischiare qui, per avere un futuro di lavoro e di vita migliore, comincia finalmente a fare breccia tra le file di un popolo che non vuole più essere condannato alla fuga o all’emigrazione, fate voi. Dopo un 2024 di svolta per il Sud, buon anno a tutti nel segno di un 2025 di investimenti e sviluppo che potranno rafforzare i risultati già raggiunti. Portano in dote lavoro e benessere. Ne abbiamo bisogno.





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