Rodati dittatori e giovani uomini forti: chi cadrà nel 2025?

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di
Michele Farina

Il 2024 ha decretato la fine di Assad in Siria e della sceicca Hasina in Bangladesh. Dall’Africa all’Asia, chi rischia di più nei prossimi 12 mesi? I generali birmani non sono mai stati così deboli. Ma contano su un incredibile gioco di alleanze…

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A sorpresa, alla fine del 2024, in Siria è caduto Bashar Assad. Stessa cosa era successa ad agosto in Bangladesh (il Paese campione dell’anno secondo l’Economist), dove le rivolte popolari hanno costretto alla fuga la madre-padrona della nazione, la sceicca Hasina. E nel 2025 a chi toccherà? Sulla carta, per dittatori ed autocrati del mondo, il futuro appare roseo come sempre, e nessuno può immaginare di essere sostituito da un Nobel per la Pace (come è accaduto a Dacca con Muhammad Yunus). In Corea del Nord il quarantunenne Kim Jong-un, spalleggiato da Xi Jinping e da Vladimir Putin, inaugura mega-resort sul mare, spara missili supersonici e sembra più saldo che mai. Così come i due padrini, il leader russo e il suo «fraterno amico» di Pechino. In Africa i giovani leader golpisti che dalla Guinea al Gabon, dal Niger al Burkina Faso avevano promesso il ritorno a un governo civile per l’anno appena passato, eviteranno anche nel 2025 di indire libere elezioni e togliersi di mezzo. In Eritrea il satrapo Afewerki ha schiacciato tutti gli oppositori interni, e nemici esterni non ne ha. In Egitto il presidente al-Sisi si regge con il pugno di ferro in casa e la mano di velluto diplomatico fuori. Eppure, anche il regime di Damasco era dato fino all’ultimo in buona salute, salvo crollare all’improvviso nel giro di una settimana. E anche i dati statistici rendono meno incerta la rovinosa uscita di scena di qualche tiranno: secondo i calcoli di Marcel Dirsus, raccolti nel recente saggio «How tyrants fall» (come cadono i dittatori), dalla Seconda guerra mondiale a oggi il 69% dei dittatori non si è spento placidamente nel proprio palazzo ma in prigione, in esilio oppure ucciso dopo aver perso il potere. Destino che ha riguardato «soltanto» il 23% dei governanti.

Elezioni 2025, leader uscenti in crisi

Certo per i leader eletti è più facile la sconfitta, ancorché incruenta. Soprattutto di questi tempi: è più probabile, come abbiamo visto nel 2024 (l’anno elettorale per eccellenza, con 72 Stati e oltre metà dell’umanità chiamata alle urne), che chi governa perda la poltrona (o se non altro la maggioranza in Parlamento) dopo democratiche elezioni. È successo in tutti i 12 Paesi cosiddetti «sviluppati» dove si è votato l’anno scorso, dagli Stati Uniti all’Olanda, dalla Gran Bretagna al Giappone. Una anomalia, rispetto al passato, ma un trend che pare destinato a proseguire: in Germania, Australia, Canada, Norvegia, che andranno al voto nei prossimi mesi, gli ultimi sondaggi danno tutti i partiti di governo sconfitti o comunque pesantemente ammaccati. Secondo gli analisti, fattori come inflazione, flebile crescita economica, crescente divario di ricchezza tra giovani e meno giovani sono le principali ragioni di questi ribaltoni annunciati (con l’ascesa dell’estrema destra populista, nota il Financial Times, premiata soprattutto dai giovani maschi).




















































Da Albanese a Trudeau 

In Germania il cancelliere socialdemocratico uscente, Olaf Scholz, vola verso la batosta di febbraio a tutto vantaggio del cristiano-democratico Friedrich Merz. In Canada il premier Justin Trudeau, «appena» 53 anni (compiuti il giorno di Natale) ma in sella dal 2015 (è il leader politicamente più longevo del G7), difficilmente la spunterà alle elezioni che si terranno entro ottobre, sempre ammesso che si ricandidi nella sfida con il pugnace conservatore Pierre Poilievre. In Australia il laburista con sangue italiano Anthony Albanese se va bene uscirà malconcio dalle urne alla guida di un governo di minoranza. In Norvegia, in testa ai sondaggi c’è il partito del Progresso (destra) giunto quarto nel 2021.

I generali birmani traballano (anzi, no)

Sulla carta, i leader dei Paesi democratici sono quelli che rischiano di più, politicamente parlando. Ma di certo non faranno la fine di Muhammar Gheddafi, trucidato nel 2011 in Libia. La caduta di Assad ha sicuramente allertato gli autocrati di ogni dove. Il nemico-amico è sempre il più temibile (nel 65% di casi, secondo lo studio di Marcel Dirsus, gli uomini forti sono stati traditi da qualcuno all’interno del palazzo). Il governo illegittimo che ha preso più sberle nel 2024 è forse quello del generale Min Aung Hlaing, a capo della giunta militare che nel 2021 ha spezzato le gambe alla democrazia birmana cresciuta intorno ad Aung San Suu Kyi. Mai dal 1949 le forze armate locali (Tatmadaw) erano parse così deboli. Eppure, anche per gli esperti consultati da Good Judgement (società specializzata in previsioni) c’è soltanto il 9% di probabilità che i militari lascino il potere nei prossimi 12 mesi. Il motivo? La loro debolezza è la forza dei tre gruppi armati dell’Alleanza tra Fratelli, milizie a sfondo etnico che dal 2023 hanno conquistato ampie fasce di territorio. Anche Assad è caduto per l’avanzata dei ribelli. Perché non può accadere lo stesso in Myanmar? Perché i ribelli birmani sono foraggiati dalla Cina, che è pure il protettore della giunta al potere. Il gioco di Pechino è indebolire i generali (per dimostrare loro chi comanda) senza distruggerli (e infatti negli ultimi mesi l’appoggio cinese ai ribelli-fratelli è scemato). Un gioco di cinico equilibrismo che Xi Jinping pratica anche con l’Europa sostenendo (ma non troppo) la Russia di Putin.

Il fattore età 

Per la fine dei dittatori ci sarebbe anche quella che a Cuba ai tempi di Fidel Castro qualcuno sottovoce chiamava «la soluzione biologica». L’età media dei leader mondiali in mezzo secolo è cresciuta da 55 a 62 anni (ma non nei Paesi democratici, dove è scesa da 59 a 58). E i tiranni? Secondo i calcoli dell’Economist, oggi hanno in media 62 anni, dodici in più rispetto al 1975. Undici di loro hanno più di 75 anni: il record spetta a Paul Biya, che ne ha 91 e comanda in Camerun dal 1982. Pochi mesi fa si era diffusa la notizia della sua morte naturale. Poi è ricomparso in un video: incartapecorito come le parrucche della first lady, ma vivo e quasi vegeto, a Ginevra, nell’hotel a cinque stelle che è la sua residenza abituale. Se tutti i colleghi dittatori arrivassero all’età di Biya, quella biologica non sarebbe una gran «soluzione».

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