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Ultime ora di messa a punto della documentazione ed entro oggi partiranno dalla Procura le richieste firmate dai pubblici ministeri Roberto Terzo e Federica Baccaglini per processare con rito immediato – quindi saltando l’udienza preliminare – l’ex assessore Renato Boraso e tre imprenditori accusati dai pm di averlo pagato per i suoi “favori”: Fabrizio Ormenese (amico di Boraso e che avrebbe agito per sé e come “procacciatore di affari”, difeso dallo Studio Simonetti), Francesco Gislon che puntava a far aggiudicare alla sua Mafra consulting gare d’appalto pubbliche (avvocata Paola Bosio); e Fabrizio Brichese per un appalto per realizzare impianti elettrici (avvocato Mandro).
La Procura
Per la Procura, tra tutti, avrebbero dato all’ex assessore dimissionario anche centinaia di migliaia di euro sotto forma di false consulenze alla ditta di Boraso, Stella Consulting, mimetizzando così tangenti per agevolare pratiche urbanistiche, fare pressing per autorizzazioni e partecipazioni ad appalti. Sono i quattro indagati ad essere agli arresti domiciliari e per loro la Procura ritiene di avere prove inoppugnabili.
Sia chiaro: questa è l’accusa, non una sentenza. A decidere saranno i giudici.
L’inchiesta Palude passa così dalla fase delle indagini a quella dei processi, spaccandosi in due tronconi.
Il “boccino” è ora nelle mani del giudice per le udienze preliminari Alberto Scaramuzza, che dovrà firmare il decreto di rinvio a giudizio immediato, fissando la data del processo, che dovrà concludersi con una sentenza di primo grado entro un anno dalla data del decreto.
Saranno giorni molto intensi per le difese: gli avvocati avranno accesso a intercettazioni, interrogatori di co-imputati, atti non inseriti nelle ordinanze di custodia cautelari.
Una gran mole di lavoro da smaltire in due settimane, il tempo loro concesso dalla legge per eventualmente fare richiesta di riti alternativi: l’abbreviato o vedere se trovare un’intesa di patteggiamento con la Procura. Oppure decidere di difendersi in aula, respingendo le accuse. Nei suoi cinque interrogatori – difeso dall’avvocato Umberto Pauro – lo stesso Boraso ha ammesso di essersi interessato di molte delle pratiche che gli vengono contestate e di essere stato pagato, ma ha detto di averlo fatto ritenendo di operare presso altri assessorati secondo la sua professione di consulente. Traffico di influenze e non corruzione, la tesi, ma tutte le decisioni spetteranno ai giudici.
La difesa di Boraso sembra orientata ad andare a processo, anche perché la posizione dell’ex assessore è complicata dal fatto che il rito immediato viene chiesto dalla Procura solo per le accuse per le quali è stato concesso dal giudice per le indagini preliminari l’arresto, ma restano tutte le altre – come l’impiego di danaro di provenienza illecita – che seguiranno al via ordinaria. Con possibili condanne che potrebbero aggiungersi a questo primo troncone.
E di certo determinante anche per gli altri imprenditori per decidere se patteggiare o meno e chiudere velocemente la vicenda penale – fatta sempre salva l’eventuale volontà di difendersi nel processo – sarà la posizione della Procura sul “peso” della pena.
Con le cancellerie semi deserte per le ferie, il decreto del gup Scaramuzza potrebbe essere notificato dopo le feste, facendo scattare i 15 giorni più tardi, magari dal 7 gennaio. Non resta che attendere.
Le tempistiche
Tempi stretti, comunque, che si intrecceranno con quelli appena più dilatati di chiusura delle indagini per gli altri imputati di “Palude” – in arrivo in primavera – con l’attesa decisione che dovranno prendere i pubblici ministero se mantenere, modificare o far cadere le accuse di concorso in corruzione mosse al sindaco Luigi Brugnaro, al direttore generale Morris Ceron e al vice capo di gabinetto Derek Donadini (con Brugnaro sin da Umana e nella Reyer), nonché del magnate Ching Chiat Kwong e dei suoi uomini in Italia, Loris Lotti e Fabiano Pasqualetto, nell’ambito del tentativo di vendere all’investitore di Singapore i 41 ettari dell’area di Pili, acquistati da Brugnaro all’asta nel 2005 per 5 milioni di euro.
Per la Procura – per avvicinare Ching a Venezia e allettarlo all’affare – si sarebbe passati per un abbassamento del valore di Palazzo Poerio, acquistato dal magnate all’asta per 10,8 milioni contro i 14 dell’asta precedente. Per l’accusa una mazzetta da 73 mila euro all’allora assessore al Patrimonio Boraso, avrebbe agevolato l’operazione. Per la difesa di tutti gli indagati – al contrario – la vendita di Palazzo Poerio era stata fatta sulla base di una stima dell’Agenzia delle Entrate e per i Pili si era trattato solo di un’ipotesi.
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