L’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter è deceduto domenica nella sua casa a Plains, in Georgia. I funerali di Stato sono previsti a Washington per il 9 gennaio.
Biden ha anche dichiarato il 9 gennaio giornata di lutto nazionale in tutti gli Stati Uniti e ha ordinato che le bandiere statunitensi restino a mezz’asta per 30 giorni a partire da domenica.
L’insediamento di Donald Trump avverrà, pertanto, con le bandiere a mezz’asta, non si capisce bene (o forse si capisce bene) se in segno di lutto per Carter o per l’arrivo alla Casa Bianca dell’acerrimo rivale del Clan Clinton. Lo stile di Biden non si smentisce.
Carter è l’ex presidente più longevo, essendo morto a 100 anni.
Eletto alla Casa Bianca nel 1976, il Washington Post lo descrive come “un governatore del Sud senza fronzoli e dalla volontà d’acciaio che fu eletto presidente nel 1976, fu respinto dagli elettori disillusi dopo un solo mandato e continuò una straordinaria vita post-presidenziale che includeva la vittoria del Premio Nobel per la Pace”.
Durante il suo mandato due avvenimenti internazionali ne segnano il ricordo nella storia: l’accordo di Camp David e l’appoggio al Khomeini.
Gli accordi di Camp David
Il coronamento del successo di Carter come presidente fu il trattato di pace firmato tra Israele ed Egitto nel 1978.
Carter invitò il primo ministro israeliano, Menachem Begin, e il presidente egiziano, Anwar Sadat, a Camp David nel Maryland per negoziare un accordo di pace. Dopo quasi due settimane di intensi negoziati, che hanno rischiato più volte di fallire, i tre uomini hanno firmato gli accordi di Camp David.
L’intesa raggiunta includeva un processo per l’autogoverno palestinese in Cisgiordania e Gaza, una bozza per un trattato di pace tra Egitto e Israele e quadri per la pace tra Israele e gli altri suoi vicini nella regione. La penisola del Sinai fu smilitarizzata e le navi israeliane ottennero il libero passaggio attraverso il Canale di Suez.
Sadat e Begin sarebbero stati insigniti del Premio Nobel per la Pace più tardi, nel 1981; Sadat fu assassinato due anni dopo. Carter lo vinse nel 2002, in parte per il suo “instancabile sforzo per trovare soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali”.
Ben diversa la vicenda dell’Iran.
Nel febbraio 1979 avvenne in Iran il cambiamento di regime dallo Shah a Khomeini, il quale ebbe l’appoggio di Carter: un errore fondamentale di strategia politica da parte degli Stati Uniti che, guarda caso, è di stretta attualità proprio in questi giorni, in quanto quella svolta ha permesso l’islamizzazione sciita dell’Iran.
Non va dimenticata anche la vicenda incresciosa della cattura dell’ambasciata degli Stati Uniti e la presa in ostaggio del suo personale, una tragedia durata più di un anno e finita nel ridicolo.
La rivoluzione islamica in Iran è stata un fallimento per gli Usa e l’inizio del lungo odio di regime per gli Stati Uniti, accusati da Khomeini di essere il “grande Satana” nel mondo, nonostante l’appoggio fornito dall’amministrazione di Jimmy Carter, allora presidente degli Usa, alla rivoluzione di Khomeini.
Il regime monarchico persiano, prima del 1979, era il principale alleato degli Stati Uniti in tutto il Medio Oriente allargato.
C’era sempre stato un filo diretto fra Washington e Teheran, soprattutto fra il Pentagono e l’esercito persiano: mezzo milione di uomini, armati, equipaggiati e addestrati soprattutto dagli Stati Uniti.
Il 27 gennaio 1979, Ruhollah Khomeini, figura di spicco dell’opposizione religiosa allo Shah, in esilio a Parigi, scrisse il suo messaggio all’amministrazione Carter.
La rivoluzione contro Reza Pahlavi era già in corso: l’esercito restava fedele alla monarchia, ma la folla in piazza, nonostante la durissima repressione, era sempre più numerosa. Khomeini scrisse a Carter che, anche se Pahlavi controllava ancora l’esercito, il popolo era fedele a lui e obbediva ai suoi ordini.
Khomeini rassicurò che non avrebbe fatto del male all’America: “Vedrà che non vi è alcun particolare rancore contro gli americani”, disse allora, promettendo che la Repubblica Islamica sarebbe stata “una repubblica umanitaria, che favorirà la causa della pace e della tranquillità di tutta l’umanità”.
Sembra di sentire, a distanza di decenni, la voce di Komeini in qual che dice il nuovo leader della Siria.
Carter gli credette e convinse lo Shah a “prendersi una vacanza”, lasciando il paese nelle mani dei rivoluzionari.
La morte di Carter, a fine 2024, suona, pertanto come memento per gli errori, poi ripetuti dai suoi successori democratici, nell’area medio orientale.
Ultima considerazione. Trenta giorni di bandiere a mezz’asta sono, a dire il vero, una esagerazione senza fondamento, se non nella volontà, da parte dei Dem, di evidenziare simbolicamente il lutto degli americani per l’arrivo di Trump, ma come sempre i simboli sono polisemici e le bandiere a mezz’asta durante l’insediamento del nuovo presidente repubblicano sono per il lutto della fine ingloriosa di una politica pluridecennale del Partito democratico che ha disastrato il mondo.
Amen.
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