non soccombere allo stress lavorativo

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Il passaggio da un anno all’altro ha un altissimo valore simbolico: la fine e l’inizio, il vecchio e il nuovo, la ripartenza, il cambiamento. Molte persone amano approfittare di questo momento così particolare per formulare i loro buoni propositi, che aiutano a cominciare l’anno con un rinnovato senso di propositività e speranza, e invitano a lasciarsi alle spalle ciò che non funziona o non fa stare bene. Di solito rientrano in questa sfera diversi obiettivi legati alla salute fisica, come fare più sport o cambiare alimentazione, ma spesso ci si dimentica del valore di quella mentale: se l’anno passato è stato carico di ansia, preoccupazione e stress, tanto da farci arrivare al 31 dicembre sfiorando il burnout, ovvero il totale esaurimento delle risorse fisiche e mentali, è assolutamente necessario alleggerirsene. Per moltissime persone il contesto professionale è la fonte numero uno di stress, eppure questo è un ambito su cui non sempre si interviene, perché si tende a pensare che il lavoro sia pesante e stancante per sua natura, che non si possa fare nulla per porvi rimedio (se non cambiare mestiere, col rischio di innescare la stessa dinamica altrove) e che accettare condizioni al limite sia la norma. Quello del cosiddetto stress lavoro-correlato è un fenomeno molto ampio. Secondo i dati raccolti nel 2022 dall’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro il 46% dei lavoratori ritiene di essere esposto ad una forte pressione o ad un sovraccarico di lavoro, e il 30% ha dichiarato di aver avuto almeno un problema di salute legato o aggravato dalla propria professione, come mal di testa, vista affaticata, insonnia, stanchezza generale, dolori muscolari. Ma qualcosa per migliorare la nostra condizione lavorativa si può fare, cambiando atteggiamento nei confronti del mestiere stesso e imparando a gestire gli impegni professionali in modo che non ci portino all’esaurimento, fisico e mentale. Tra i buoni propositi per l’anno nuovo proviamo ad inserire questa promessa a noi stesse: non soccombere allo stress. Ma come? Ne abbiamo parlato con Sonia Gentile, psicologa del lavoro, career mentor e formatrice. 


Il lavoro domestico è anche carico mentale, e va diviso equamente

Cosa succede quando si lavora troppo

Come rilevano i dati, sono molte le persone che ritengono di lavorare troppo, spingendosi oltre i propri limiti, di lavorare male, o farlo con ritmi insostenibili. Ci sono molte ragioni per cui si finisce per accettare questo carico eccessivo, e vanno da meccanismi psicologici personali ai contratti con scarse tutele che ‘impongono’ di essere sempre performanti per non rischiare il licenziamento. Tuttavia “Non è salutare spingersi oltre i propri limiti in modo costante e indefinito”, spiega Gentile. “Può esserci un senso nel mettersi in gioco con grande intensità in alcuni periodi, ad esempio quando si presenta un progetto che ci appassiona, un’opportunità di crescita professionale significativa o una scadenza importante a breve termine. In questi casi, un impegno straordinario può avere un senso se è delimitato nel tempo e rispecchia i nostri valori e obiettivi. Tuttavia se lo sforzo straordinario diventa la norma, e avvertiamo segnali di esaurimento, come difficoltà nel dormire, irritabilità, mancanza di concentrazione e un progressivo calo della motivazione, probabilmente stiamo forzando troppo la mano”. Ma come capire quanto il lavoro è troppo? “Quando ci accorgiamo che il prezzo da pagare per il nostro lavoro è la salute mentale e fisica, oppure che l’impegno extra non ci avvicina realmente ai nostri obiettivi, allora è il momento di rivedere le nostre priorità e ricalibrare il carico di lavoro anche perché altrimenti si può sfociare in situazioni poco piacevoli come il burnout”, avverte la psicologa.

Richieste a pioggia, deadline strettissime, cambi di turni last-minute, straordinari: quando gli impegni lavorativi si intensificano è facile sentire una forte pressione e provare uno stato d’ansia, specialmente se a tante richieste non corrisponde un adeguato compenso, o perlomeno un riconoscimento. Eppure, non sempre è facile dire no. “Siamo spesso spinti a essere sempre produttivi, a non ‘perdere tempo’ e a dimostrare costantemente il nostro valore attraverso i risultati. Temiamo che rifiutare una richiesta possa deludere gli altri o comprometterci agli occhi di colleghi e superiori. Ma dire sempre rischia di condurci a uno stato di stress cronico, riducendo la qualità del nostro lavoro e la nostra capacità di risposta”, riflette Gentile. “In realtà, stabilire confini chiari e saper rifiutare quando siamo già sovraccarichi non solo preserva la nostra energia, ma ci rende anche più affidabili nel lungo termine”. 

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“Se accettare un nuovo compito ci crea un’ansia sproporzionata, se sentiamo di non avere le risorse di tempo e concentrazione per farlo bene, o se andrebbe a compromettere seriamente la nostra qualità di vita, probabilmente è il momento di rifiutare. Ricordiamoci sempre che un no detto agli altri è un  che diciamo a noi stesse”. Ma come si fa a rifiutare una richiesta professionale? La chiarezza, suggerisce la formatrice, è la nostra più grande alleata: “Spieghiamo brevemente i motivi della nostra indisponibilità e, se possibile, suggeriamo alternative, mostrando che si tratta di una scelta per mantenere standard elevati nel lavoro oltre che per proteggere la propria salute”.

Pause e strategie anti-stress

Spesso si va avanti per forza di inerzia, e ci si concedono le pause solo quando qualche festività interrompe la routine (e, a volte, nemmeno in queste occasioni). Eppure, nulla è più sano del riconoscere quando è il momento di un break, che dovrebbe giungere ben prima di arrivare al limite delle proprie forze. “Quando notiamo segnali come stanchezza persistente, difficoltà a concentrarci, irritabilità, perdita di motivazione e mancanza di chiarezza mentale, è ora di prenderci una pausa. Anche sintomi fisici, come tensione muscolare, mal di testa frequenti o disturbi del sonno, possono essere campanelli d’allarme che indicano la necessità di rallentare”. Per evitare di arrivare all’esaurimento, è utile monitorare regolarmente il nostro livello di energia e il nostro stato emotivo, suggerisce la psicologa. “Inserire brevi pause rigenerative durante la giornata, anche solo di pochi minuti, può davvero fare la differenza. Dedicare un attimo di consapevolezza a chiederci: ‘Come mi sento adesso? Sto ancora lavorando in modo efficace o sto solo spingendo?’ Se la risposta è che stiamo spingendo senza più efficienza, è il momento di fermarsi e ricaricare le batterie”. Riconoscere e concedersi una pausa è una delle sfide più difficili nella società della performance in cui viviamo, sottolinea Gentile. Tuttavia “Prendere delle pause non è tempo perso, bensì un atto di cura e protezione verso noi stessi. È fondamentale ricordare che tutti – nessuno escluso – hanno bisogno di momenti di recupero, perché solo così possiamo prevenire lo stress cronico e il burnout, tutelando la nostra salute mentale e la nostra qualità di vita”.

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(getty images)

Ognuno può trovare il suo modo di gestire lo stress. Ci sono pratiche universalmente riconosciute come utili, come la meditazione, la mindfulness, lo yoga. Ma possono non essere adatte a tutti, avverte la specialista. “Il modo migliore per gestire lo stress dipende dalle nostre caratteristiche personali e dalle nostre preferenze. È fondamentale individuare una strategia che sentiamo affine, qualcosa che possiamo integrare facilmente nella nostra routine, senza sentirla come un obbligo gravoso. Non deve essere necessariamente un’attività lunga: l’efficacia sta nella costanza e nella regolarità”. Sonia Gentile consiglia diversi approcci tra cui scegliere e sperimentare, magari da combinare tra loro, ricordando che “Il benessere non è un traguardo statico, ma un percorso di costante adattamento e cura di sé”.

Per esempio, consiglia la psicologa, è utile “Fare brevi pause di respirazione consapevole nel corso della giornata, che aiutano a calmare la mente e il sistema nervoso, facilitando la concentrazione”. Anche l’attività fisica ha diversi vantaggi: “Una passeggiata all’aria aperta, una corsa leggera o qualche minuto di stretching possono liberare endorfine, migliorare l’umore e allentare le tensioni accumulate”. Ancora, l’esperta consiglia di imparare a gestire diversamente il tempo: “Cerchiamo di strutturare la giornata con pause programmate, dandoci delle priorità chiare e un’agenda realistica che riduca la sensazione di essere sopraffatti dagli impegni”. Alcune persone potrebbero trovare un grande aiuto nel journaling: “Scrivere i propri pensieri, obiettivi o piccoli successi quotidiani permette di scaricare lo stress emotivo e acquisire maggiore consapevolezza dei propri stati d’animo”, spiega la psicologa, che aggiunge anche: “Troviamo del tempo per noi stesse, dedicando un momento della giornata a un’attività che ci piace: leggere, ascoltare musica, guardare un tramonto, coltivare un hobby. Questi istanti di piacere purificano la mente dallo stress”. È importante inoltre darsi degli obiettivi realistici, perché “Suddividere grandi compiti in piccoli step raggiungibili evita il sovraccarico e aumenta la sensazione di avanzare nella direzione desiderata”, e avere un approccio positivo, in un’ottica di crescita: “Cerchiamo di vedere le sfide come opportunità di apprendimento piuttosto che come ostacoli invalicabili aiuta a gestire lo stress con uno spirito più resiliente. Nei momenti di tensione, focalizziamo la mente su qualcosa di piacevole, come un ricordo felice o un’immagine rilassante: questa strategia può rompere il circolo vizioso dello stress”. Infine, sottolinea Gentile, non dimentichiamo l’importanza delle relazioni umane, “Parlare con amici, colleghi fidati o un mentor può offrire sostegno emotivo, consigli e punti di vista differenti, riducendo la percezione di essere soli ad affrontare le difficoltà”.

Come ritrovare la motivazione con l’inizio del nuovo anno

L’inizio dell’anno nuovo offre l’opportunità di fermarsi un momento e riflettere su come abbiamo trascorso i dodici mesi passati, e cosa possiamo imparare dalle esperienze vissute. Proviamo a ricentrare il focus su ciò che conta davvero: “Capire quali obiettivi abbiamo ci aiuta a scegliere, per non disperdere energie. Invece di proporre subito progetti enormi e ambiziosi, può essere più efficace partire da piccoli obiettivi sostenibili, che rispecchino i nostri valori e ci facciano sentire gratificati una volta raggiunti. Ogni piccolo traguardo raggiunto, se celebrato, alimenta la motivazione a procedere. Inoltre, concedersi un po’ di indulgente auto-compassione: comprendere che cambiare abitudini richiede tempo e pazienza riduce la frustrazione e ci aiuta a proseguire con costanza”.

“L’auto-compassione è la capacità di trattarsi con la stessa gentilezza e comprensione che riserveremmo a un caro amico”, spiega Gentile. Spesso siamo i critici più severi di noi stessi, un atteggiamento che però “Non aiuta a migliorare, anzi, può bloccarci e demotivarci”. Iniziamo dunque a coltivare l’auto-compassione, iniziando a riconoscere i nostri limiti e accettando che la perfezione non è un obiettivo realistico: “Se commettiamo un errore, invece di giudicarci duramente potremmo chiederci: ‘Cosa posso imparare da questa situazione?’ o ‘Come mi parlerei se fossi un amico bisognoso di incoraggiamento?’ Questa prospettiva aiuta a ridurre i sensi di colpa e la tensione interna, migliorando la resilienza e rendendoci più disposti a provare di nuovo e crescere. Ripetersi che le difficoltà fanno parte del percorso umano, accettare l’imperfezione e celebrare i progressi, anche minuscoli, è fondamentale per mantenere la motivazione a lungo termine”.

ritrovare la motivazione sul lavoro

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(getty images)

Molte persone, specialmente quelle che si sono avviate nel loro percorso professionale spinte da una passione, finiscono per rispecchiarsi completamente nel loro mestiere. Ma c’è una grande differenza tra ‘essere’ un lavoro e ‘fare’ un lavoro: “Nel primo caso rischiamo di identificare interamente la nostra identità con il ruolo professionale, al punto da far dipendere il nostro valore personale dai risultati ottenuti. In questo modo, i successi o gli insuccessi lavorativi non sono più semplici eventi, ma diventano vittorie o sconfitte della nostra essenza”, avverte la psicologa. “Al contrario, ‘fare’ un mestiere significa avere una professione a cui dedichiamo tempo ed energie, senza però permettere che questa definisca chi siamo nella nostra totalità. Ciò ci consente di vedere il lavoro come una parte importante, ma non totalizzante della nostra vita, stabilendo così confini più sani”.

“Anche io, in passato, e a volte persino oggi, ho faticato a fare questa distinzione”, ammette la formatrice. “Riconoscere quando è il momento di separare la propria identità dal ruolo professionale e prendersi del tempo per sé è una sfida continua. Eppure, quel tempo è fondamentale: è il modo attraverso cui ci prendiamo cura di noi stessi, rigeneriamo le nostre risorse interiori e proteggiamo il nostro benessere. Questa consapevolezza ci aiuta a non lasciare che il lavoro invada ogni aspetto della nostra vita, ricordandoci che siamo molto di più di ciò che facciamo”.

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