Sostenibilità, innovazione e crescita dimensionale. Sono questi i tre elementi chiave su cui il settore della moda in Italia deve agire per mantenere la propria competitività a livello internazionale. È quanto emerge dal nuovo brief dal titolo Il settore Moda tra sfide e opportunità: quale futuro per il Made in Italy? della Direzione Strategie Settoriali e Impatto di CDP che descrive in modo analitico come la moda italiana, comparto di primaria importanza che contribuisce per il 5% al PIL nazionale, stia reagendo oggi ai recenti cambiamenti del contesto geo-economico globale e alle sfide poste dalla transizione energetica e digitale.
Lo studio mette in evidenza le trasformazioni richieste oggi alla moda italiana tra cui una elevata capacità di adattamento alla mutata disponibilità di materie prime e una accresciuta velocità di reazione ai cambiamenti dei comportamenti d’acquisto dei consumatori, in particolare nel segmento luxury, facendo leva, per esempio su digitalizzazione e AI che hanno un elevato potenziale per mantenere l’industria della moda al passo con i tempi. A questi fattori si sono recentemente affiancati ulteriori elementi di trasformazione: un maggiore focus sull’impatto ambientale (abbinato anche alla necessità di adeguarsi a vincoli normativi stringenti, specialmente nell’UE) e più in generale sulle performance ESG e una sempre più ampia diffusione di operazioni di private equity nel settore moda funzionali ad un progressivo consolidamento degli attori del settore.
“Il comparto della moda è un segmento che da sempre rappresenta il fiore all’occhiello del Made in Italy”, dichiara Simona Camerano, Head of Scenari Economici e Strategie Settoriali, CDP, “ha una catena di valore aggiunto lunga, articolata, la cui parte centrale è rappresentata dalla produzione di beni di tessili, dalla confezione dei capi di abbigliamento e dalla fabbricazione di beni in pelle. Tre segmenti che da soli rappresentano il 40% dell’intera filiera” spiega Camerano che prosegue: “Oggi il settore ha di fronte a sé delle sfide congiunturali e strutturali che dovrà affrontare facendo leva sui punti di forza, ma anche superando le principali criticità e vulnerabilità”.
Il sistema moda italiano si conferma come un settore di primaria importanza del Made in Italy
L’analisi di CDP conferma che il sistema moda italiano è un settore di primaria importanza del Made in Italy. Contribuisce infatti per il 5% al PIL nazionale e vanta, oltre all’eccellenza produttiva, una forte identità culturale e la capacità di influenzare le tendenze globali. Lo dimostra anche la preferenza accordata da un terzo dei grandi gruppi europei del comparto (quota che sale ai due terzi per i marchi del lusso) che fa della Penisola il primo produttore mondiale di alta moda. Si tratta di un successo che riguarda tutte le componenti del prodotto “moda”, dai materiali alle lavorazioni su misura, con brand affermati che coesistono con realtà di dimensione più ridotta, focalizzate su collezioni innovative e legate al territorio di origine: un’industria di filiera che produce un valore aggiunto di 75 miliardi di euro e 65 miliardi di esportazioni.
Punti di forza e criticità della filiera
Dal brief emerge che il successo del comparto della moda italiana si basa su alcuni fattori chiave, tra cui l’eccellenza dei materiali e delle lavorazioni, l’offerta di servizi su misura e la creazione di marchi forti grazie a designer di talento e scuole di moda all’avanguardia. Questo posizionamento consente alle maison italiane di essere altamente competitive, valorizzando il legame tra tradizione e innovazione. I prodotti italiani si distinguono infatti per qualità e prestigio, elementi che a parità di mercato di destinazione sono riconosciuti dai prezzi superiori rispetto ai competitor internazionali (un differenziale del 21% rispetto ai beni francesi, 52% rispetto a quelli tedeschi, accedi al report per i dati completi).
Tuttavia, il settore affronta alcune criticità. In primo luogo, quelle relative all’impatto del cambiamento climatico sulla produzione, per esempio con gli eventi climatici estremi che si stima metteranno a rischio – in assenza di azioni di mitigazione – oltre 65 miliardi di dollari di esportazioni di abbigliamento a livello globale. E ancora, la crescente dipendenza dai consumatori del lusso (nel 2022 solo il 2% dei luxury buyers ha generato il 40% delle vendite totali del settore), l’invecchiamento della proprietà e della manodopera artigianale, e le difficoltà nel riposizionamento delle catene globali del valore.
Le sfide che la moda deve affrontare per mantenere la competitività
In tale contesto, per restare competitivi le imprese della filiera della moda italiana si trovano ad affrontare importanti sfide per il futuro, legate alla sostenibilità, alla crescita dimensionale e all’innovazione. Queste, evidenzia lo studio, dovranno essere le tre direttrici di sviluppo su cui agire al fine di supportare il rafforzamento del comparto nazionale della moda.
Sul fronte ESG infatti, l’industria della moda è una delle più impattanti a livello ambientale e l’Europa sta introducendo regolamenti stringenti, come il passaporto digitale, l’eco-design e il divieto di distruggere l’invenduto a cui il comparto dovrà adeguarsi. In tale panorama l’economia circolare, attraverso l’uso di fibre riciclate e il riutilizzo dei materiali, rappresenta una soluzione fondamentale per ridurre l’impatto ambientale, mentre modelli innovativi, come l’agricoltura rigenerativa, e l’adozione di comportamenti di consumo più responsabili stanno già prendendo piede. Tra questi in particolare il second hand, che ha raggiunto un valore a livello globale pari a 70,8 miliardi di dollari e per cui è prevista una crescita media annua di oltre il 7% nel periodo 2024-2032 (leggi i dettagli sul report).
Attualmente, inoltre, il settore della moda è caratterizzato da una polarizzazione tra grandi brand di lusso e operatori di fascia bassa. In questo contesto, il private equity ha favorito strategie di aggregazione e acquisizione di nicchie o piattaforme di vendita. “Negli ultimi cinque anni, gli operatori europei di private equity hanno investito circa 30 miliardi di euro in 127 operazioni, superando il numero di deal del mercato USA, sebbene su dimensioni mediamente più contenute relativamente ai singoli interventi” si legge nel brief che riporta come il 22% degli investimenti europei si sia concentrato su società italiane, rendendo l’Italia la principale destinazione per questi fondi. Anche contratti di rete e collaborazioni tra imprese possono offrire ulteriori opportunità di sviluppo, sebbene siano ancora poco diffusi.
Infine, la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale rappresentano leve fondamentali per il settore, con applicazioni che spaziano dalla previsione delle tendenze alla gestione della supply chain. Le tecnologie emergenti, come blockchain, NFT e realtà aumentata, migliorano l’esperienza d’acquisto e l’efficienza produttiva, colmando il gap con i competitor internazionali. Tuttavia, è necessario investire nella formazione di competenze digitali per rendere l’industria della moda italiana credibile da questo punto di vista a livello globale.
Per approfondire il tema è possibile accedere alla versione integrale del brief al seguente link.
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