L’ex premier e leader di Iv sulla norma, appena approvata con la manovra, che vieta ai politici di ricevere compensi da soggetti con sede fuori dalla Ue: «Per come è scritta il problema è la democrazia, non i soldi»
Ancora una volta protagonista, nonostante il 2-3% attribuitogli dai sondaggi. La mattina dopo il duello rusticano contro il presidente del Senato, Matteo Renzi è in seggiovia con la famiglia e alcuni amici a Cortina. E anche con loro, esaurita la trance da palcoscenico, ha riparlato dei motivi per cui si è scagliato contro Ignazio La Russa appellandolo «camerata» e sottolineando la sua «età incipiente».
Toni irrispettosi verso la seconda carica dello Stato? «Macché, quando l’ho chiamato “camerata” perché mi aveva interrotto in Aula mica si è offeso o ha respinto tale definizione, anzi…». Renzi stava contestando la legge di Bilancio, quando ha evocato la premier Meloni: «Forse sarà in Lapponia: laggiù più persone credono a Babbo Natale e che i centri migranti in Albania funzioneranno». I senatori di FdI rumoreggiano: è la scintilla che accende la bagarre. Ma il motivo di questo scontro furibondo è ormai noto: la legge «anti-Renzi» contenuta nella manovra appena approvata, che vieta ai politici di ricevere compensi da soggetti con sede fuori dalla Ue. «Una norma ad personam, un principio contrario a una democrazia liberale. Chissà cosa avrebbe detto oggi Silvio Berlusconi al centrodestra che ha fondato?», riflette Renzi.
Le «sorelle Meloni», secondo l’ex premier, avrebbero incaricato il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari di scrivere tale norma: «Forse loro pensano che il mio reddito arrivi dall’Arabia?». Ma il problema, per il senatore di Firenze «non è affatto economico, bensì politico». L’ultima dichiarazione dei redditi di Renzi ammonta a 2,3 milioni, incassati grazie a conferenze all’estero e altre attività di consulenza con la sua partita Iva: nel 2023 ha guadagnato quasi un milione in meno del 2022. Ma che danno economico procura la norma «anti Renzi»? «Incide su circa il 10% del mio reddito», sono i conti fatti dal commercialista dell’ex premier, che come esempio menziona la conferenza tenuta qualche tempo fa in Qatar, assieme a Barack Obama e Tony Blair; un evento che si è tenuto sì sul Golfo Persico, ma organizzato e pagato da una società con sede nel cuore dell’Europa.
«Quindi, per come è scritta questa legge, per me il problema non sono i soldi — spiega ancora Renzi nella chat di Italia viva —. C’è un chiaro profilo di incostituzionalità, perché si fanno distinzioni tra parlamentari dicendo chi può e chi no. In un passaggio si dice anche che senatori e deputati possono chiedere una deroga alla Camera di appartenenza, per importi fino a 100 mila euro. Ma vi immaginate se, a decidere per un parlamentare, possa essere la discrezionalità di La Russa o Fontana?». E poi c’è la condizione di versare la tassazione allo Stato italiano: «Ma che siamo nell’Urss? È un precedente gravissimo», si sfoga.
Se si volesse davvero legiferare sui conflitti d’interesse di parlamentari e membri del governo «sarei il primo a firmare un provvedimento, serio e globale», ma «il centrodestra non lo fa, perché andrebbe a colpire tantissimi colleghi che stanno a Montecitorio o a Palazzo Madama e che guadagnano anche più di me grazie alle rispettive attività private».
Dalla montagna visiona, compiaciuto, le rassegne stampa di giornali, siti e tv: «Renzi, Renzi, Renzi…». Stavolta, per catalizzare l’attenzione il duello mediatico-politico si è consumato con La Russa, la cui elezione a presidente del Senato, secondo più analisi di quello scrutinio, nel segreto dell’urna fu «rafforzata» anche da una manciata di voti di Italia viva. Eppure siete spesso stati in buoni rapporti con La Russa, no? «A questo punto direi: eravamo…», sorride l’ex premier, che il prossimo 11 gennaio compirà 50 anni: «Mi godrò questa festa e poi tornerò a fare sul serio».
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