Mafia, il memoriale del boss di Picanello Carmelo Salemi: «Ero il capo, non potevo dire di no»

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Quattro paginette fitte fitte. Scritte in stampatello. Carmelo Salemi, boss dei Santapaola, ha deciso di scrivere un memoriale indirizzato al gup Pietro Currò, giudice davanti al quale si sta celebrando l’udienza preliminare dell’inchiesta Oleandro, che all’inizio dell’anno ha duramente colpito la cellula di Cosa Nostra a Picanello. Commerciante nel settore dei fiori – da qui il nome dell’operazione del Gico della Guardia di Finanza – ha avuto il ruolo di regista degli affari criminali del quartiere.

«Come ho già fatto nei processi a mio carico, chiamati Jungo, Orfeo e Picaneddu, con la presente – scrive – intendo assumermi le mie responsabilità per il reato di associazione mafiosa». Salemi racconta di essere un affiliato da quando era ragazzo. «Era il 1995 o forse prima». Trent’anni di militanza nel clan Santapaola-Ercolano. Molti dei quali trascorsi in carcere. «Quando sono stato arrestato nel 2006 (ed è tornato in libertà nel 2016, ndr) ero in quel momento il responsabile di Picanello perché tra gli anziani della famiglia non c’era nessuno libero». Quando nel 2016 torna a piede libero invece non ha assunto il ruolo di reggente, perché ci sarebbe stata una persona più adulta già operativa. Salemi non fa, naturalmente, nomi. Dice che in quel periodo decide di andare a vivere a Mascali «per tenersi alla larga» dai guai, ma non ci sarebbe riuscito. Partecipa a degli incontri con boss di Giarre. E, infatti, nel 2020 lo arrestano i carabinieri nel blitz Jungo.

Quando scatta l’operazione Orfeo nel 2017, Salemi torna a Picanello. «Ho cercato di evitare di espormi ma per il mio passato e per essere un vecchio affiliato non mi è stato possibile restare fuori dal gruppo anche perché praticamente ero il più anziano».

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La confessione

E c’è la confessione, anche con un filo d’amarezza: «Sono quindi diventato il responsabile del quartiere, non voglio passare per quello che fa la vittima ma la verità è che non l’ho fatto volentieri perché nel mio cuore ero sicuro che questa cosa mi sarebbe costata il carcere». E così è stato: «Infatti quando sono stato arrestato a giugno del 2020 ho cercato di estraniarmi da tutti, dicendo anche ai miei familiari di evitare di avere contatti con i miei compagni».

Una lettera che ricorda altre epistole firmate da esponenti dei clan catanesi che ultimamente sono arrivate sui tavoli dei magistrati: nella mafia non ci sarebbe possibilità di scelta. O vai via da Catania oppure se hai un po’ di sangue della “famiglia mafiosa” o sei il più “anziano (non solo all’anagrafe ma anche di anni di militanza)” non puoi sottrarti al tuo destino da mafioso. Un pentito siciliano una volta disse che da Cosa Nostra si esce solo per due motivi: «O muori o diventi pentito».

Salemi ha deciso di ammettere di essere stato il “capo” di Picanello, ma ha scritto al gip anche per chiarire che invece non ha mai fatto affari per “conto della famiglia” riguardanti la droga. Il boss respinge le accuse di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti: «Io non gestivo alcuna piazza a Picanello». Su questo punto il vecchio boss è molto chiaro. Che si rimette «alla decisione del gup». In calce firma, luogo e data: con ossequio Salemi Carmelo. Tolmezzo, 9 dicembre 2024. Meno di un mese fa.





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