Lo strapotere del web. Prima di Musk, dopo Musk, oltre Musk

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Par di capire che lo shock sia stato grande. Fino a quando i Giganti del Web hanno presidiato e protetto gli accampamenti liberal, rilanciandone i valori professati ed esaltandone la cultura dichiarata, nessuna questione è stata posta. Si è messa generosamente da parte la legislazione antitrust, fino ad allora considerata, evidentemente a torto, un tutt’uno imprescindibile con la cultura giuridica nordamericana, si è sfruttata a proprio vantaggio la distorsione del dibattito pubblico determinata dai social network, si è trascurata la sistematica svalutazione del sapere (copyright) e della funzione pubblica dei media tradizionali, si è finto di non percepire gli effetti distorsivi della dinamica democratica sistematicamente inquinata da un’informazione sempre più polarizzata, violenta e falsa. Sin dai tempi della presidenza Obama, all’intellighenzia dem statunitense e a quella europea è andata bene così. Poi, improvvisamente, tutto è cambiato.

Ora che i padroni del Web guardano inequivocabilmente a destra, ora che Elon Musk è diventato palesemente l’alter ego di Donald Trump, è tutto un fiorire di vibranti allarmi e pensosi editoriali a denunciare la torsione democratica in corso. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire, e pazienza per il doppiopesismo, l’accecamento e le ipocrisie iniziali. Il problema, però, è che del fenomeno si continuano a percepire solo gli aspetti superficiali piuttosto che quelli strutturali. Il punto non è quel che dice Elon Mask su X, il punto è quello che X e gli altri social ci inducono a pensare.

Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, anni addietro la mise così: “L’organizzazione che dirigo è più simile ad un governo che a un’impresa”. Non era una spacconata, era la verità. Quel che Zuckerberg non disse, però, fu che il tipo di “governo” cui le Big Tech hanno dato vita non è ispirato ai principi liberal democratici tipici dei sistemi occidentali, ma ricorda tanto i sistemi di potere tipici dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche. L’unica differenza è che le funzioni pubbliche, che ai tempi gloriosi dell’Urss erano amministrate dallo Stato per mano del “partito”, sono quasi per intero delegate ad un pugno di compagnie globali private. La conoscenza, ad esempio. Ma anche le dinamiche democratiche, se è vero, come è vero, che oltre la metà delle deliberazioni che sottendono ai processi democratici nei paesi membri dell’Ocse avvengono oggi grazie alla tecnologia digitale. Tecnologia che, come è ovvio, viene offerta gratuitamente al consumatore sulla base degli interessi economici dell’erogatore del servizio.

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Non solo. Se il futuro del mondo del lavoro e delle democrazie è rappresentato dall’evoluzione dell’Intelligenza artificiale, i due terzi degli investimenti su questo fronte sono oggi opera esclusiva di Google, Amazon, Microsoft, Meta, Apple e Netflix. Gli Stati nazionali non hanno, dunque, più alcun controllo sul futuro. Il futuro è nelle mani di un pugno di amministratori delegati delle grandi compagnie del Web. Accade, così, che un personaggio come il fondatore di PayPal, Peter Thiel, grazie alla società Arduril, brillante start-up dell’intelligenza artificiale, sia diventato il principale fornitore dell’intelligence e del Pentagono statunitensi di servizi basati sull’analisi dei dati. Elon Musk, naturalmente, non è da meno, e grazie al sistema satellitare di Space X è diventato il primo fornitore di sicurezza, controllo e comunicazione della Nasa e delle principali democrazie occidentali. A breve, da quel che si capisce, anche di quella italiana. C’è, dunque, materia sufficiente per avviare una riflessione. Ma una riflessione profonda. Se la sicurezza, individuale e collettiva, è la ragione di fondo che secondo la contrattualistica seicentesca ha spinto i singoli a delegare parte sostanziale della propria libertà agli Stati, se istituti giuridici come la golden share sono nati per tutelare l’interesse pubblico da eventuali incursioni “straniere”, ebbene, la “privatizzazione” della sicurezza nazionale ad opera di monopolisti globali rompe con tutta evidenza questo schema e pone questioni cogenti. Cogenti ed inedite. Non sarebbe male se, superato lo shock iniziale, le élite occidentali, anche quelle liberal, iniziassero riflettere sugli elementi strutturali di questa clamorosa novità epocale.



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