La crisi dei valori e la libertà di espressione che non significa bruciare bandiere, nel 2025 combattere ognuno la sua buona battaglia

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Si parla tanto, da anni, della crisi dei valori, in modo particolare fra i giovani i quali, si dice, ne sono privi. Se si guarda alla realtà, effettivamente, la crisi di valori trova riscontri amplissimi, plurimi e i più disparati, per giunta. Va chiarito, però, innanzitutto, cosa deve essere inteso con la parola valore che, a mio avviso, molto semplicemente altro non è se non un’idea ritenuta valida al punto da diventare fonte di ispirazione per le scelte e le azioni quotidiane.

Chiaramente il valore non nasce da sé: esso va proposto, coltivato, mostrato, vissuto. Chi deve fare tutto questo? Gli adulti, siano costoro genitori, educatori, datori di lavoro, semplici passanti per la strada: se loro non propongono, non sociliazzano, non coltivano, non mostrano, non vivono alcun ideale, è chiaro che le nuove generazioni saranno sprovviste di ideali positivi. Siamo sempre lì. Omnia per exemplum. E così abbiamo esempi di persone che, oggi come in passato, pongono le proprie capacità a servizio del bene della società, affrontando sacrifici personali pesanti, a volte financo la vita, per testimoniare e cercare di trasmettere i valori in cui credono. Dall’altra abbiamo adulti il cui unico valore è l’abito griffato, la macchina di grido, l’aperitivo. Questi adulti trasmettono ciò che per loro conta, quindi, inevitabilmente, assistiamo alle scene e agli episodi che la cronaca ci fa conoscere. I giovani non vengono dal nulla, la mela non cade lontana dall’albero.

In questi giorni proviamo grande partecipazione per le sorti della giovane giornalista Cecilia Sala, ci auguriamo tutti che le trattative per il rilascio, avviate dal Governo, giungano al fine tanto sperato. Ecco, il caso di questa giovane professionista dell’informazione, da una parte, mi fa ben sperare circa le sorti dell’umanità, perché vedo una donna seriamente impegnata nel proprio lavoro e mossa da grandi ideali, dall’altra tutta la vicenda mi porta a riflettere sull’importanza della garanzia della libertà di espressione e a come questa libertà viene esercitata.

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Non mi riferisco certo alla giovane giornalista, mi riferisco piuttosto a tutte quelle manifestazioni in cui si bruciano bandiere, si bruciano i manichini, ora di un politico, ora di un altro, si commettono violenze a danno delle Forze dell’ordine e degli arredi urbani. Quale valore viene testimoniato con simili violenze? Il valore della libertà di espressione viene automaticamente cancellato dalle diverse forme di protesta violenta. Avere un’idea precisa, chiara, definita non è uno sbaglio: si cade, invece, nell’errore, quando si vuole imporre la propria idea agli altri. Spesso si confonde l’assoluto con l’assolutismo, ma si tratta di due concetti diversi. E’ esattamente la stessa cosa che capita quando non si distingue fra idea e ideologia: l’una è frutto di un pensiero libero e liberante, l’altra è causa di imposizione. Cosa è subentrato nella nostra società? La paura dell’idea in nome dell’ideologia, la paura dell’assoluto in nome dell’assolutismo. E il politicamente corretto ha fatto il resto. Il risultato è la società liquida: va bene tutto, purchè nessuno si senta discriminato. Ma difendere un valore non vuol dire discriminare, anzi!

Allora, per far sì che i giovani comprendano il valore autentico della libertà è necessario che sia una scuola libera a formarli. Cosa intendo per scuola libera? Esattamente ciò che la Costituzione prevede, ossia una scuola liberamente scelta dai cittadini, a costo zero, dopo aver pagato le tasse, una scuola pubblica, dove tale aggettivo dipende dal servizio erogato e non dall’Ente erogatore, una scuola che rispetta i principi costituzionali, una scuola che consente agli allievi di raggiungere gli standard di apprendimento dei loro compagni europei, una scuola che risponde e rispetta le richieste ministeriali, una scuola che rendiconta le risorse economiche ricevute. Questa è la scuola che educa alla libertà di pensiero, alla libertà di espressione, al rispetto di chi ha un pensiero diverso. La scuola che costringe tutti ad accontentarsi produce gli effetti che sono sotto i nostri occhi. Perché chi si accontenta vuole sempre quel di più che non ha avuto e la rivalsa la fa da padrona. L’aver tradito l’ideale educativo liberal democratico delle società occidentali, post seconda guerra mondiale, è un autentico programma occulto dei sistemi di istruzione che sarebbero in realtà pensati per riprodurre gli interessi delle classi economico-sociali dominanti. Non vi è altra spiegazione.

Per quanto mi riguarda, andrò avanti nel far comprendere, ancora di più e meglio, la bellezza di questa scuola, promotrice di una società più giusta, perché più equa e più unita, non separata a seconda del ceto sociale dei suoi studenti, dal conto in banca degli studenti e dei loro genitori e non deliberatamente impegnata a non dare le stesse opportunità a tutti gli studenti. Bonum certamen certavi e, aggiungo io, certabo. Questo è il mio augurio per il 2025: combattere ognuno la sua buona battaglia, non tanto perché la vita debba essere intesa come una battaglia da combattere contro qualcosa o qualcuno, quanto piuttosto come augurio di impegno e di passione per qualcosa che torni a vantaggio degli altri. Ognuno scelga la propria battaglia di bene e la combatta, costi quel che costi. Buon 2025 a tutti!

*Suor Anna Monia Alfieri (esperta di politiche scolastiche e cavaliere al merito della Repubblica italiana)

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