Climalteranti.it » L’auto termica green di Francesco Giavazzi non esiste

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Fra gli autori delle panzane che inquinano il dibattito sulla transizione energetica, si è aggiunto lo storico editorialista del Corriere della Sera Francesco Giavazzi, che in un editoriale del 28 dicembre 2024 ha sostenuto una tesi facilmente confutabile, la presunta esistenza di auto a combustione interna in grado di emettere poche decine di grammi di CO2 per km, ossia l’80-90% in meno di quelle oggi circolanti.

Il contesto è un articolo intitolato “Le scelte (utili) sui conti” in cui lo storico proponente dei programmi di austerity economica ha sostenuto la necessità di aumentare le spese militari a “un po’ di più” del 2% del PIL, emettendo “debito europeo comune, come si è fatto ai tempi del Covid”, per compensare “i benefici che abbiamo ricevuto in passato” con l’appartenenza alla Nato e per evitare i rimproveri di Donal Trump.

Nella parte finale Giavazzi affronta un problema molto presente nel dibattito pubblico, quello della transizione del settore automobilistico. Dopo aver spiegato che la sfida sarebbe legata al fatto che tale settore rischierebbe di non avere il tempo per adeguarsi ai ritmi imposti dal Green Deal, Giavazzi ribadisce in modo netto che “all’obiettivo Ue di azzerare entro tempi certi le emissioni di CO2, non si deve rinunciare”.

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Giavazzi rilancia quindi una strategia sostenuta dall’attuale governo, quella della neutralità tecnologica, spiegandola con una domanda al lettore: “…che automobile è meglio produrre? Un’auto a combustione interna moderna, che emette poche decine di grammi di CO2 per chilometro. Oppure un’auto completamente elettrica che però usa una batteria la cui costruzione, a parità di prestazioni, emette dieci volte tanto CO2, secondo Giavazzi “Una scelta che spetta all’industria”.

Ora, se la scelta fosse fra un’auto che emette 20-30 g di CO2/km, e un’altra che – solo per la costruzione della batteria – emette 200-300 gCO2/km, la scelta non sarebbe da lasciare all’industria: sarebbe una scelta ovvia, e chiunque proponesse di usare le auto 10 volte più emissive (solo per la costruzione della batteria, quindi trascurando le emissioni per ricaricarla batteria) andrebbe fatto ricoverare.

Il problema della tesi di Giavazzi è che il confronto che ha proposto al lettore non ha fondamento: “l’auto a combustione interna moderna, che emette poche decine di grammi di CO2 per chilometro” semplicemente non esiste. Nella letteratura tecnico scientifica non si trovano tracce di auto a combustione in grado di emettere così poca CO2. A differenza di inquinanti come gli ossidi di azoto, composti organici volatili o PM10, in cui si possono ottenere riduzioni significative con dispositivi tecnologici, per la CO2 le emissioni dipendono in modo diretto dalla quantità di combustibile utilizzato e dal suo contenuto di carbonio. Attualmente un autoveicolo medio emette circa 160 gCO2/km (fonte dati: ISPRA), e una riduzione dell’80-90% delle emissioni non si può ottenere con un miglioramento dell’efficienza del veicolo. Infatti i limiti di ottimizzazione dei motori a combustione interna sono stati praticamente raggiunti, ben poco margine rimane per migliorare ancora. L’unica auto equipaggiata con motore endotermico, che possa emettere 20-30 g di CO2/km è un’auto significativamente elettrificata, che venga utilizzata dall’utente dopo averne caricato al 100% la batteria che le consente di viaggiare in modalità quasi esclusivamente elettrica (ovvero a motore endotermico spento) per decine di km. Sono le cosiddette auto ibride plug-in, che tuttavia se non gestite massimizzandone l’uso in elettrico, possono emettere valori di CO2 allo scarico anche 3-4 volte quelli dichiarati, dato il peso aggiuntivo della batteria che richiede maggiori consumi di combustibile rispetto ad un’analoga 100% endotermica.

 

Dai biocarburanti solo riduzione limitate alle emissioni di CO2 dei veicoli

Una prima alternativa di chi propone la neutralità tecnologica è quella dell’uso di biocarburanti. In effetti i biocarburanti hanno un’intensità di emissione di gas serra (CO2 per unità di energia fornita del combustibile) inferiore rispetto ai combustibili fossili, ma se si considerano anche le emissioni indirette legate alla variazione dell’uso del suolo (ILUC, indirect land use change), il vantaggio si riduce notevolmente fino anche ad annullarsi per alcuni tipologie di biocarburanti, come rilevato anche in una recente review sul tema, di cui è disponibile qui una sintesi in italiano.

A titolo di esempio, se si considerata la tabella seguente, che riporta il valore medio dei fattori di emissioni dei biocarburanti stimati a livello europeo e dichiarati dai produttori come previsto dalla direttiva RED (Direttiva 2009/28/EC), si nota il valore medio del fattore di emissioni del biodiesel (considerando le emissioni indirette) è pari a 59 gCO2eq/MJ, solo del 20% inferiore a quello del gasolio (74 gCO2/MJ). In altre parole, se si considera il consumo medio di un’autovettura diesel (pari a 2,3 MJ/km, fonte dati ISPRA), si ricava un fattore di emissione di 133 gCO2/km. Pur se sicuramente è legittimo aspettarsi miglioramenti nell’efficienza dei biocarburanti, è molto improbabile che si possa arrivare alle “poche decine di CO2/km” citate da Giavazzi come opzione oggi disponibili per l’industria europea. Senza contare che tutto il biocarburante andrebbe prodotto da materie prime (“feedstock”) derivanti da scarti o rifiuti in modo tale da massimizzarne la circolarità e minimizzarne l’impatto sul riscaldamento globale antropogenico, producendo i cosiddetti “biocarburanti di seconda o terza generazione”. Cosa non semplice visti gli enormi consumi del settore del trasporto stradale e le scarse disponibilità in filiera corta (possibilmente all’interno dell’UE, anche per evitare ulteriori dipendenze energetiche esterne) dei feedstock di cui sopra. E senza contare infine i costi di questi biocarburanti, poco competitivi. Non è un caso che i biocarburanti oggi rappresentano solo una minima percentuale dei carburanti usati nel settore stradale in Europa, e comunque utilizzati prevalentemente in miscela con combustibili fossili (si veda qui).

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L’inefficienza degli e-fuels

Un’alternativa ai biocarburanti sarebbero i veicoli a idrogeno oppure gli “elettrocombustibili” (e-fuels), ossia carburanti di sintesi prodotti con diverse tecniche, ad esempio a partire da idrogeno prodotto da elettrolisi, e CO2 catturata, utilizzando il ben noto processo Fischer-Tropsch. Si tratta di un’opzione di sicuro interesse tecnico-scientifico, ma di fatto oggi non disponibile a livello commerciale e caratterizzata da livelli di inefficienza (e quindi di costi e di emissioni di CO2) drasticamente superiori a quelli dei veicoli elettrici (si veda qui; qui un approfondimento sul tema dell’idrogeno).

 

Una sfacciata incompetenza

I dati disponibili mostrano in modo chiaro come i biocarburanti, l’idrogeno e gli e-fuels non siano un’opzione oggi disponibile per l’efficace decarbonizzazione del settore del trasporto stradale, mentre potrebbero in futuro esserlo per alcuni settori (es. il traporto aereo e il trasporto navale) dove non ci sono altre alternative alla più efficiente filiera elettrica.

E non è affatto vero che le emissioni legate alla produzione di una batteria di un’auto elettrica comportano emissioni pari a 10 volte quelli dell’uso di “moderni” veicoli a combustione interna, come già spiegato nel post precedente, e come si può leggere in due recenti review sul tema, qui e qui.

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In conclusione, su uno dei principali quotidiani italiani, un editorialista scrive di transizione energetica commettendo un errore basilare che rende quanto ha scritto senza senso. È vero che spetta a chi scrive verificare le sue fonti e i dati che espone, ma possibile che al Corriere della Sera nessuno faccia dei minimi controlli su quanto viene pubblicato?

 

 

Testo di Stefano Caserini, con contributi di Mario Grosso e Simone Casadei

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