Il 2024 esce di scena e lo fa lasciando in eredità tante, forse troppe aspettative per questo 2025: se per la cristianità si tratta dell’anno giubilare, per l’Italia la speranza è quella che possa essere l’anno in cui si cercherà di superare il più ostile e insidioso muro che ha sempre tarpato le ali al nostro paese, quello dei “no”.
Il “no” di italica fattura
Il no di italica manifattura, ideologico e illogico allo stesso tempo, è un vizio cosi strutturato da essere annoverato quale naturale reazione ad ogni tentativo di superare il più banale stato delle cose, sfruttando possibilità e opportunità per cogliere i cambiamenti storici, per esserne poi protagonisti e non più spettatori. Talvolta si tratta del mero riconoscere le mancanze, gli errori o forse più semplicemente le aporie sulle quali tanti e troppi “sciacalli” hanno danzato, convinti e rassicurati che alla fine l’apodittico “no” avrebbe prevalso, garantendo loro di mantenere nello status quo sopravvissuto i privilegi e i vantaggi garantiti dai prodotti di un tempo oramai tramontato.
Gli esempi
La storia dell’Italia repubblicana fornisce infiniti esempi di occasioni perse, e di battaglie “ideologizzate” al solo scopo di preservare il vantaggio di pochi a scapito della collettività. Perché il grande inganno degli opliti del “no” è quello di dipingere ogni cambiamento come una regressione, o di più come una minaccia alla nostra libertà, e nel caso della “democrazia”. L’inganno fino ad ora, salvo poche eccezioni, è riuscito e il nostro paese ne ha pagato le conseguenze. Quest’anno potrebbe – il condizionale è d’obbligo – essere quello giusto per erodere quel muro, e aprire una breccia che per l’Italia equivarrebbe a una vera e propria boccata di ossigeno, partendo proprio dalle riforme in cantiere e che già vengono osteggiate dall’eco inconfondibile del no perenne, assoluto, monolitico.
Premierato
Dovrebbe o potrebbe essere il 2025 l’anno del Premierato. Della tanto sognata, agognata, persino aspirata riforma del potere esecutivo in grado di definire ciò che i padri costituenti del ’47 non poterono e non vollero definire. Erano anni difficili e il contesto storico e geopolitico – diremmo oggi – era complesso, in più si usciva da una guerra civile e si rischiava di riaccenderne una nuova, eppure già allora ci fu chi in assemblea costituente mise sotto la lente d’ingrandimento i limiti di una scelta anche qui – come in tanti punti della Costituzione – compromissoria che avrebbe finito per mostrare i suoi limiti nel lungo periodo. Li mostrò in verità sin da subito, ma il particolare “involucro” storico e la struttura partitica di quella che oggi definiamo giornalisticamente come “prima repubblica” riuscirono almeno in parte a riassorbire le crisi del sistema, a scapito di quella governabilità che è la unica e sola chimera costituzionale e politica del nostro paese che ci trasciniamo dal 1861. Opporre alla riforma del “premierato” ipotesi assurde di “autoritarismo”, equivale a giocare con le parole, così come non vi è alcuna limitazione al parlamento. Semmai un parlamento ad oggi consapevolmente e volutamente svuotato del suo ruolo, potrebbe rigenerare sé stesso, riappropriandosi di un ruolo fondamentale e centrale del nostro sistema. Oltre alla più che democratica possibilità attribuita agli elettori di eleggere il presidente del Consiglio, una possibilità che cozza con le aspirazioni di chi ha sguazzato nel magma indistinto di ribaltoni e giochi di palazzo.
Autonomia
Accurato che l’Autonomia differenziata non è incostituzionale come ampiamente sentenziato dalla Corte Costituzionale, ora il governo e il parlamento saranno chiamati ad intervenire per sanare quegli elementi individuati dalla Consulta, e poi capiremo se e come si dovrà espletare il “referendum” richiesto a gran voce dall’abituale consorzio di sacerdoti e vestali del “no” che grida urbi et orbi ad una presunta legge “spacca Italia”, quando ad aver spaccato, ossia aumentato la disparità e le diseguaglianze tra nord e sud è stato quel “centralismo” politico e burocratico tra i più antichi mali del nostro paese.
Magistratura
Potrebbe, e qui il condizionale è doppiamente d’obbligo, essere il 2025 l’anno della separazione delle carriere per la magistratura, della creazione di due distinti CSM per magistratura requirente e giudicante, e con il sorteggio per i futuri membri dei due consigli, ponendo fine al mercato delle “correnti” politiche dentro i confini della magistratura. Qui i “no” sono tutti interni a quella parte di ermellini che ha goduto del sistema con cui si è autogovernato un potere fondamentale e “delicato” dello Stato, con il soccorso di una parte politica che è sempre affine al concetto di “no” per timore che il “si” faccia cadere troppi altarini abilmente costruiti.
Ponte sullo Stretto e Termovalorizzatore di Roma
Cosi come l’anno che verrà sarà quello in cui saremo chiamati ad un maggiore sforzo nella Nato come Italia e come europei, per fronteggiare pericoli e minacce sotto gli occhi di tutti. Ed è qui che i “no” avvolti nella naftalinica bandiera della pace, mostreranno il volto più stantio e fuori dal tempo. Dovrebbe e potrebbe questo 2025 portarci in dono le grandi opere infrastrutturali come il “Ponte sullo Stretto” e il “Termovalorizzatore di Roma”, due opere che rappresentano insieme al ritorno al nucleare di ultima generazione più di ogni altra battaglia politica, la vittoria morale dell’Italia dei “si” contro quella dei no.
© Riproduzione riservata
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link