Una frase di Cecilia Sala che ci ricorda il valore del coraggio


Il passo tratto dal reportage L’incendio di Cecilia Sala offre uno spunto di riflessione significativo su una delle principali incomprensioni occidentali rispetto all’Iran contemporaneo: la tendenza a descrivere un sistema di potere monolitico e implacabile. Questa visione, pur comune, ignora le complessità politiche, sociali e istituzionali che definiscono il regime iraniano e la sua società. Sala, con uno stile lucido e diretto, analizza e decostruisce tali semplificazioni, portando il lettore all’interno di una realtà ben più sfaccettata.

La prima critica che devi prepararti a incontrare viaggiando da giornalista occidentale in Iran riguarda una semplificazione piuttosto comune: che il potere in Iran sia perfetto. Che gli ordini partendo dal vertice raggiungano immutati l’esecutore. Che le regole siano interpretate in maniera univoca. Che il clero e le forze di sicurezza siano complementari e tra loro amichevoli.

Che il clero sia unito. Che la politica sia una finzione, cioè che esistano lotte di potere al suo interno, ma non diverse visioni che si scontrano con un’ambizione sincera di portare il paese in direzioni opposte o quantomeno dissimili. Che il regime abbia una micidiale capacità di coordinazione. Che il Parlamento agisca come un sol uomo. Che il ministero degli Esteri persegua, con altri strumenti, gli stessi obiettivi delle forze Quds dei pasdaran. Che la censura sia efficace.

Cecilia Sala: la fragilità di un sistema che si finge coeso

Sala sottolinea una delle convinzioni più errate: l’idea che il potere in Iran sia centralizzato, compatto e impermeabile. Questa visione, sostenuta da decenni di narrazione occidentale, si fonda sul presupposto che ogni ordine impartito dai vertici raggiunga automaticamente tutti i livelli del sistema. In realtà, il potere iraniano è molto più frammentato.

La struttura dello stato iraniano non è un blocco unico, ma un mosaico di interessi divergenti, spesso in competizione tra loro. Il clero sciita, spesso visto come una macchina unitaria, è in realtà composto da fazioni con interpretazioni diverse della dottrina religiosa e del suo ruolo politico. A ciò si aggiungono le tensioni tra le forze di sicurezza, come i Guardiani della Rivoluzione (i pasdaran), e le istituzioni civili, come il Parlamento o il ministero degli Esteri. Questi attori non solo agiscono in modo indipendente, ma talvolta si oppongono apertamente l’uno all’altro.

Un altro mito che Sala smonta riguarda la percezione che la politica iraniana sia interamente una facciata, in cui ogni mossa sia predeterminata e coordinata dal regime. In realtà, i conflitti interni alla politica iraniana riflettono lotte di potere reali e, spesso, visioni contrastanti sul futuro del paese.

Per esempio, i riformisti e i conservatori si scontrano non solo per il controllo delle istituzioni, ma anche su questioni fondamentali come il rapporto con l’Occidente, le libertà civili e i diritti delle minoranze. Questi conflitti, benché ostacolati dalla censura e dalla repressione, sono espressione di una società politicamente attiva, che si riflette anche nelle piazze e nelle proteste popolari.

La censura in Iran è un tema centrale del reportage di Sala. L’Occidente tende a immaginare un controllo totale delle informazioni, in cui il regime sopprime ogni forma di dissenso. Tuttavia, Sala mette in luce le crepe di questo sistema.

Nonostante la repressione e i tentativi di isolamento tecnologico, la popolazione iraniana trova modi creativi per aggirare le restrizioni. L’uso di VPN, social media alternativi e mezzi di comunicazione non ufficiali permette agli iraniani di accedere a informazioni esterne e di far sentire la propria voce. La diffusione virale di video e immagini durante le proteste del 2021 contro l’aumento del prezzo della benzina, ad esempio, ha dimostrato che la censura è tutt’altro che efficace.

Un’interpretazione occidentale da superare

Da una parte, il regime non è un monolite inarrestabile; dall’altra, la società iraniana non è completamente passiva. La narrazione di Sala evidenzia le contraddizioni e le ambiguità di entrambe le parti, offrendo una prospettiva che spinge a considerare il contesto iraniano in tutta la sua complessità storica, politica e culturale.

L’incendio è un esempio di giornalismo che rifiuta le scorciatoie interpretative. Il lavoro di Sala insiste sull’importanza di analizzare i contesti locali senza applicare schemi universali. Attraverso un linguaggio chiaro e incisivo, la giornalista ci ricorda che l’Iran non può essere compreso con categorie rigide e semplificate, ma richiede uno sguardo aperto e approfondito.

Questo approccio è cruciale non solo per comprendere l’Iran, ma per migliorare il dialogo tra l’Occidente e le altre culture. Capire che il potere non è mai perfetto, che le lotte politiche sono reali e che la censura ha dei limiti significa anche riconoscere l’umanità delle persone che vivono in contesti apparentemente lontani da noi.

Cecilia Sala, con il suo reportage, non offre risposte definitive ma pone domande cruciali. Il suo lavoro ci invita a riflettere su quanto sia importante guardare oltre le apparenze, soprattutto in un paese complesso come l’Iran. L’incendio diventa così non solo un documento sul presente di questa nazione, ma anche una lezione sul valore della comprensione e dell’empatia nel nostro rapporto con il mondo.

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