Bologna, 30 dicembre 2024 – Immaginatevi di aprire la finestra e vedere fino all’orizzonte una distesa immensa di impianti fotovoltaici. Al posto dei campi il profilo delle celle di silicio. Potrà capitare più facilmente di prima se abitate nella Pianura padana dove si stanno concentrando mega progetti agrivoltaici. A dare il via libera una legislazione favorevole che però sta creando un cortocircuito con gli enti locali. Lo Stato ha allargato le possibilità prima ancora che le Regioni potessero determinare limiti e regole a estensione e localizzazione degli impianti. L’agrivoltaico dovrebbe permettere di combinare la produzione di energia rinnovabile con la possibilità di coltivare i campi, ma le distese di pannelli hanno un impatto notevole sul paesaggio e sulla vocazione agricola, tanto da essere contestate dalle comunità dove atterrano.
L’ultimo caso arriva dall’Emilia, nel Modenese e nel Reggiano. Il Comune di Sant’Ilario d’Enza, 11mila abitanti, ha scoperto di essere oggetto di tre progetti: uno agrivoltaico su 80 ettari e due impianti fotovoltaici a terra che cambierebbero aspetto al territorio. “I tre impianti occuperebbero circa cento ettari, quasi il 5% dell’intero territorio comunale”, spiega il sindaco Marcello Moretti. Il Comune ha scoperto i progetti (non ancora realizzati) quando le aziende installatrici li hanno sottoposti al Ministero dell’Ambiente per ottenere la valutazione di impatto ambientale (Via). L’ente locale per legge ha poca voce in capitolo: nel caso di Sant’Ilario d’Enza, il Comune ha risposto delle osservazioni nell’ambito della Via e, per i due impianti fotovoltaici, ha negato l’autorizzazione alla Procedura abilitativa semplificata, ma le ditte hanno fatto ricorso al Tar.
Il principale impianto andrebbe a coprire una vasta area di campagna vicina alla via Emilia e non lontana da una corte agricola del XVII secolo, Villa Spalletti. Un pezzo di pianura che ha resistito all’avanzare di capannoni e immobili e rappresenta, con i suoi filari di pioppi e gelsi, uno scampolo di paesaggio rurale tradizionale. Gli altri due impianti fotovoltaici verrebbero invece installati a terra vicino alle abitazioni di una frazione rendendo i campi non coltivabili. “La nostra richiesta è una moratoria delle autorizzazioni concesse sulla base del fatto che il governo de territorio è materia concorrente tra Stato ed Enti locali – dice Moretti –. Siamo di fronte ad una gerarchia di leggi invertita (per colpa dello Stato): prima si autorizza tana libera tutti e poi si dice alle Regioni di individuare le aree. Così alcune aziende hanno fatto accordi in aree poi considerate inidonee determinando un conflitto tra diritto generale e diritti commerciali acquisiti. E poi serve un massimale di area occupata per Comune così come è stato fatto per la Regione che prevede l’1% di superficie agricola utile”
Cinquanta chilometri più a est, a Carpi (Modena) lo stesso copione. “Nel nostro territorio – spiega il sindaco Riccardo Righi – è arrivata una decina di progetti per campi agrivoltaici. Solo nel nostro Comune andrebbero a occupare circa 300 ettari, il 4% della superficie agricola del territorio. E se aggiungiamo i progetti a Novi di Modena si arriva a 4 milioni di metri quadri. Una città. Il problema è che un Comune oggi di fatto può fare ben poco. Possiamo entrare nel merito delle compensazioni. Ma alla fine ci si trova comunque con una foresta di pali di metallo nelle campagne. E poi bisogna tenere conto che accanto ai pannelli ci sono le batterie di accumulo. Mi chiedo quale sarà l’impatto sull’agrifauna”. Cosa servirebbe? “Una nuova legge che permetta alle Regioni di disciplinare meglio le aree per gli impianti. Siamo tutti favorevoli alla transizione ecologica, ma bisogna chiedersi se sia giusto farla a discapito delle aree agricole”.
Il decreto legislativo 199 del 2021 (governo Draghi) ha semplificato lo sviluppo dei campi agrivoltaici, prevedendo la definizione dei criteri per scegliere le zone adatte in intesa con le Regioni. Ma l’iter si è arenato. L’Emilia-Romagna ha definito alcuni criteri per favorire gli impianti nelle aree di minore pregio (discariche, cave dismesse, aree industriali) e ha fissato come paletto la distanza di 500 metri da luoghi di pregio storico e culturale. Ma resta prioritaria la normativa nazionale. E la corsa a costruire impianti agrivoltaici – spinta anche dal Pnrr – si è accelerata. Generando un braccio di ferro con i Comuni che oggi chiedono una moratoria per definire criteri validi per tutta Italia.
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