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Una novità è la pensione a 64 anni per i lavoratori totalmente «contributivi», ma ci vogliono 25 anni di contribuzione. Tutte le strade per andare in pensione prima dei 67 anni
In tema di pensioni e di requisiti per il pensionamento la legge di Bilancio presenta per il 2025 una situazione simile a quella del 2024 tranne che per la novità introdotta in all’ultimo momento dalla Lega e che consente solo ai totalmente contributivi (cioè chi ha iniziato a lavorare dall’1/1/1996) di poter accedere alla pensione con 64 anni di età e con 25 anni di contribuzione se la pensione maturata sarà pari a tre volte l’importo dell’assegno sociale ordinario (circa 1.616 euro mese per 13 mensilità). L’originaria riforma Fornero che la Lega voleva demolire prevedeva 20 anni di contribuzione e solo 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale.
I calcoli
Se con i contributi versati alla previdenza obbligatoria non si raggiunge l’importo di 1.616 euro e il lavoratore è iscritto alla previdenza complementare è possibile utilizzare la rendita derivante dal fondo pensione. Se la pensione Inps, ad esempio fosse pari a 1.400 euro occorre che la rendita da fondo pensione raggiunga i 216 euro al mese per 13 mensilità per poter accedere alla pensione. Considerando il plafond massimo sul quale si pagano i contributi e che dà luogo alla pensione, fissato nel 1996 in 132 milioni di vecchie lire (68.172 euro), e oggi pari a 105.014 euro (una media di 86 mila euro) e la media dei redditi dichiarati, saranno davvero pochi quelli che potranno accedere a questa anticipazione; dovrebbero infatti aver accantonato in previdenza obbligatoria un montante contributivo di oltre 400.000 euro, oppure un mix tra obbligatoria e complementare superiore ai 450.000 euro, tant’è che il costo massimo dell’anticipazione per il 2025 è stato valutato dalla Ragioneria generale dello Stato in circa 12 milioni.
Buone notizie
Anzitutto, per chiarezza espositiva, occorre considerare che i cosiddetti retributivi puri, cioè quelli che al 31/12/1995 avevano più di 18 anni di contributi versati, sono tutti, salvo qualche caso particolare, pensionati (18 anni a fine 1995 più 29 anni a fine 2024 fanno 47 anni di anzianità contributiva) sia per requisiti sia per età anagrafica. Lo stesso dicasi per le rendite anticipate dei misti con anzianità contributiva al 31/12/1995 maggiore di 14 anni e nati fino al 1957, tutti ormai pensionati di vecchiaia o anticipata come pure alcuni nati negli anni 1958 fino al 1962 beneficiari di pensioni anticipate come quota 100, salvaguardie e prestazioni assistenziali quali Ape sociale. Tutti gli altri lavoratori hanno una componente contributiva che è pari al 70% circa per chi ha 14 anni di retributivo per salire al 100% per i contributivi puri o quelli che al 31/12/1995 avevano pochi anni di anzianità alle spalle.
Le misure prorogate dalla manovra
Per il resto la legge di bilancio per il 2025 ha prorogato le misure in scadenza al 31 dicembre 2024: Quota 103, Opzione Donna, Ape sociale mentre i requisiti di età anagrafica sono rimasti immutati per il biennio 2025–2026 in base al decreto del ministero dell’Economia. L’Istat, infatti, ha calcolato che l’adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita, anche a causa della pandemia da Covid-19, ha registrato valori che nel biennio 2021/22 sono inferiori di -0,11 mesi il che corrisponde ad una variazione negativa pari a un mese. Una buona notizia anche se non consente un recupero pieno dell’inflazione registrata nel biennio 2022/23 è la rivalutazione dei montanti contributivi: l’Istat con la nota n. 2545394/2024, ha comunicato il tasso di capitalizzazione da applicare alle somme accumulate al 31/12/2023 per tutti quelli che andranno in pensione dal 1° gennaio 2025 godranno di una rivalutazione del montante contributivo del 3,6622% (+ 2,3% lo scorso anno) per un totale nei due anni del 6% circa.
La rivalutazione
La rivalutazione si applicherà ai lavoratori iscritti alle gestioni della previdenza pubblica obbligatoria che andranno in pensione tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2025 ricordando che ai sensi della legge 335/95 la rivalutazione non si applica sui contributi versati nell’anno precedente la decorrenza della pensione (il 2024 nel nostro caso) né per quello di pensionamento (2025). Un montante contributivo di 100.000 euro al 31 dicembre 2023 varrà quindi 103.662.
Le modalità
Nel 2025 si potrà eccedere al pensionamento nelle seguenti modalità:
1) pensione di vecchiaia con 67 anni di età e almeno 20 di contribuzione (quota 87). L’età anagrafica che è adeguata alla aspettativa di vita rimarrà a 67 anni fino a fine 2026; nel 2027 è probabile un aumento a 67 anni e due o tre mesi;
2) La pensione di vecchiaia anticipata — ex anzianità — resta possibile con 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva indipendentemente dalla età anagrafica (41 anni e 10 mesi per le donne) senza ulteriori adeguamenti alla aspettativa di vita fino al 2026. Attenzione, per accedere a questa prestazione è prevista una «finestra» di tre mesi. In pratica la prima rata di pensione si avrà dopo tre mesi dalla maturazione dei requisiti. Occorrerà quindi fare la domanda e chiedere al datore di lavoro di poter lavorare ancora tre mesi per evitare di restare senza stipendio e senza pensione.
Certo sarebbe stato meglio eliminare definitivamente tale adeguamento che non trova applicazione nella normativa pensionistica della stragrande maggioranza dei Paesi Ue e Ocse e che in assenza di auspicabili correzioni, dal 2027 potrebbe portare l’anzianità contributiva a oltre 43 anni con il paradosso che a 67 anni di età e con solo 20 anni di contribuzione si potrà accedere alla pensione che generalmente beneficia di soldi pubblici (integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali e incrementi vari per coloro che hanno versato pochi contributi e quindi poche tasse in 67 anni di vita) mentre con oltre il doppio (42 anni) non si potrà andare in quiescenza.
Gli incentivi
Sono previsti inoltre incentivi per i lavoratori, sia pubblici che privati, che decidono di rimanere in attività anche dopo aver raggiunto l’età pensionabile. In questo caso il dipendente può chiedere che la contribuzione a suo carico pari al 9,19% venga inserita in busta paga mentre la quota a carico del datore di lavoro continuerà ad essere versata all’Inps; ovviamente la parte di contributi incassata in busta paga non contribuirà ad incrementare la propria pensione e non sarà tassata.
Certo non è il superbonus che avevamo scritto nel 2005 e che prevedeva l’intera contribuzione in busta paga (in media +40% di stipendio per tre anni) ma meglio che niente.
Le pensioni minime
Infine, nel 2025, le pensioni minime, in base alla legge di bilancio, godranno di una perequazione aggiuntiva al tasso di rivalutazione standard del 2,2% per il 2025 e dell’1,3% nel 2026, mentre la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici all’inflazione, fissata provvisoriamente all’1,6%, torna alla legge base del 1998 che prevede una rivalutazione al 100% per i trattamenti fino a quattro volte il valore del trattamento minimo Inps; del 90% da quattro a cinque volte e del 75% per le pensioni oltre 5 volte il minimo per scaglioni. Quindi una pensione pari a otto volte il minimo verrà rivalutata al 100% fino a quattro volte poi al 90% tra quattro e cinque volte e per il resto al 75%. Se così fosse stato nel 2023/24 i pensionati oltre sei volte il minimo (3.300 euro lordi il mese, 2.300 euro netti) non avrebbero perso circa il 10% di potere d’acquisto; quando si dice il merito!
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