Nel 2013, nella puntata di Black Mirror Torna da me, l’incontro tra una ragazza e il bot (poi robot) del suo fidanzato morto in un incidente stradale appariva abbastanza futuribile. Insomma, fantascienza. Oggi la creazione di repliche verosimili dei nostri defunti è realtà, grazie alla sofisticatezza dei modelli generativi di linguaggio di cui disponiamo. E non solo è reale ma è già un business, per esempio in Cina.
Parlare (davvero) con i morti, così l’intelligenza artificiale cambierà il lutto
Vedia alle voci “resurrezione digitale” (digital resurrection) o griefbot, “bot del lutto”. Nel centro di intelligenza artificiale Super Brain di Taizhou nascono ogni giorno avatar digitali iperrealistici dei cari estinti (si spende dai 10 ai 20.000 yuan, tra i 1.400 e i 2.800 dollari). Si va dalle clip audio e video a chatbot interattivi, personalizzati al dettaglio.
Pioniera, in questo senso, l’esperienza di Eugenia Kuyda, startupper russa che, già nel 2016, ha fatto rivivere virtualmente l’amico morto grazie a una app, Replika AI. Si tratta di un bot in grado di “assorbire” la personalità del suo interlocutore: lei gli diede in pasto tutte le conversazioni che aveva avuto con il ragazzo, ottenendone un clone virtuale.
Nel 2020 diventò poi virale I met you, il video di una madre che incontrava nuovamente la sua bimba di 7 anni, morta tre anni prima. Con la motion capture vennero registrati i movimenti di un attore bambino poi utilizzati per animare la “Nayeon virtuale”.
Dall’intelligenza artificiale un conforto per affrontare la morte e la perdita
L’intelligenza artificiale sembra essere in grado di dare, superato un certo straniamento, una buona dose di conforto, almeno momentaneo. Ma tante sono le perplessità che suscita – su fronti etici, filosofici e legali, come spiega questo articolo su Conversation.
La principale delle implicazioni filosofiche della resurrezione digitale è che mette in discussione cosa significhi veramente “essere”. Ricreando la voce o le sembianze di qualcuno che è morto, potremmo credere che stiamo prolungando in qualche modo la sua esistenza. Mentre, naturalmente, l’essenza di un essere umano è più di un insieme di risposte programmate o di un’immagine su uno schermo. E sembra almeno al momento improbabile che una simulazione digitale possa catturare la profondità e l’unicità del vissuto, delle emozioni e dei pensieri di una persona.
L’avatar della persona morta altera i ricordi
La resurrezione digitale è un tentativo di preservare la memoria, di mantenere la presenza di coloro che abbiamo perso. Ma la memoria umana non è statica: seleziona, cambia, si sposta e si adatta. Ricreando digitalmente una persona, corriamo il rischio di alterare i nostri ricordi autentici di lei o lui. È etico conservare una rappresentazione artificiale di qualcuno, invece di lasciare che il suo ricordo evolva e si trasformi nel tempo?
L’identità di una persona è una complessa rete di esperienze e relazioni. Quando proviamo a ricreare qualcuno, potremmo pensare che stiamo cercando di catturarne l’identità. Tuttavia, è più probabile che ne creiamo una versione idealizzata, conforme alle nostre aspettative e ai nostri desideri.
Il processo del lutto è fondamentale per superare la perdita
Questi progressi tecnologici sollevano anche interrogativi sul senso del processo del lutto, essenziale per affrontare la perdita. Cercando di mantenere una connessione con il defunto attraverso la resurrezione digitale, interferiamo con questo processo vitale, e questo potrebbe impedirci di andare avanti e di trovare pace nell’accettazione della morte.
In definitiva, la resurrezione digitale apre anche un serio dibattito sul tema del consenso e della proprietà. Chi ha il diritto di decidere se una persona debba essere ricreata digitalmente? E come si può gestire il consenso di chi, per ovvi motivi, non può più esprimere la propria volontà?
Anche la morte diventa business
Dobbiamo ricordare che la tecnologia è un business e la prospettiva che le aziende traggano profitto intromettendosi in qualcosa di così profondamente umano e intimo come la perdita di una persona cara solleva ulteriori questioni filosofiche, etiche e morali.
Da un punto di vista etico, questo tipo di attività sembra trasgredire i principi fondamentali di rispetto e dignità che dovrebbero guidare le nostre interazioni umane. Il lutto è un processo intimo e sacro, un percorso verso l’accettazione e la pace interiore dopo una perdita significativa. L’intrusione commerciale in questo processo potrebbe quindi essere vista come una forma di sfruttamento emotivo, che approfitta delle persone in uno dei momenti in cui sono più vulnerabili.
Le persone particolarmente fragili potrebbero – ma forse il rischio vale per tutti – confondere quello che è reale e quello che non lo è: il pericolo è l’alienazione.
iO Donna ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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