Mai come oggi abbiamo bisogno di marce per la pace

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«La spesa per gli armamenti sta aumentando ma le guerre non sono diminuite» spiega l’avv. Laila Simoncelli, autrice del libro “Ministero della pace”. Se le armi non funzionano, è giunto il momento di valutare strade alternative, che conducano alla costruzione di una pace positiva, a livello mondiale, nazionale ed individuale. Ecco perché è importante la 57^ edizione della Marcia della Pace nazionale di Pesaro.

La guerra continua, anche se non la vediamo. Ucraina, Palestina, Libano, Congo, Yemen, sono solo alcuni degli stati che oggi sono afflitti dalla violenza dei conflitti, che attualmente sono 56 in tutto il mondo. In realtà gli stati coinvolti sono molti di più: secondo il Global Peace Index, sono 92 gli stati impegnati in una guerra oltre i propri confini (tra cui anche l’Italia), in un mondo dove in media il 74% delle risorse economiche sono destinate a spese militari e di sicurezza interna. Al contrario, le spese per la costruzione della pace rappresentano meno dello 0,6% delle spese militari. Secondo lo studio, tale risultato è il peggiore dall’inizio delle misurazioni nel 2008 e il numero di conflitti non era mai stato così elevato dalla seconda guerra mondiale. Il contrasto tra le spese per gli armamenti e quelle per la costruzione della pace dimostra che gli attuali governi non devolvono abbastanza risorse alla pace. Senza un progetto concreto, la pace non può essere realizzata, soprattutto se i Paesi leader non si impegnano per estirpare e prevenire la guerra.


Un progetto di pace

«Gli uomini hanno sempre organizzato la guerra. È arrivata l’ora di organizzare la pace.» diceva don Oreste Benzi. Quindi, con lo scopo di invertire l’andamento bellicista e dare concretezza al bisogno di pace, nasce il progetto politico del Ministero della Pace, ovvero la proposta di un organo di governo che si dedichi alla creazione e mantenimento della pace positiva. Già alla fine degli anni ’70 si iniziava a parlare del bisogno di un dipartimento per la pace e il disarmo, sia per evitare i conflitti armati sia per situazioni di violenza strutturale o culturale. Infatti, non è un caso che ben 30 premi Nobel per la pace hanno espresso sostegno per tale progetto. «Dalle ceneri del secondo conflitto mondiale sono nati il Ministero della Difesa e dell’Interno, sostituendo così il Ministero della Guerra.» si legge nella lettera rivolta ai parlamentari per promuovere il Ministero della Pace, affermando che «Il Ministero della Pace sposterebbe il paradigma verso una nuova architettura di pace, sostenendo e stabilendo attività che promuovano una cultura della pace nel Paese».

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Cosa può fare ognuno di noi?

Il cambiamento politico va però accompagnato ad un impegno individuale, una continua richiesta da parte del popolo di scegliere la pace al posto delle armi. La difesa non armata della patria ne è un esempio concreto e prende vita nei progetti di Servizio Civile Universale e in quello dei Corpi Civili di Pace. Fortunatamente, la società civile italiana e internazionale non hanno mancato l’impegno di operare la pace e gli ultimi mesi del 2024 hanno dato inizio a diverse iniziative a sostegno della pace. Una di questi è la 57^ edizione della Marcia della Pace nazionale, che si terrà a Pesaro il 31 dicembre. Una marcia che coprirà circa 5,4 km, organizzata da diverse associazioni come la Cei (Commissione per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace), Pax Christi Italia, Agesci, Azione Cattolica, Caritas Italiana, Movimento dei Focolari Italia. Per comprendere al meglio di cosa si tratta e affrontare il tema di conflitto e pace, abbiamo intervistato l’avv. Laila Simoncelli, autrice del libro “Ministero della Pace. Una scelta di Futuro” e relatrice del convegno La Pace Prima del Debito che precede la Marcia della Pace di Pesaro.


L’Europa è diventata un emblema di pace e cooperazione, ma non siamo in grado di trasmettere questi valori. Cosa stiamo sbagliando?

«Le politiche di pace europee in realtà sono state non propriamente delle politiche di pace positiva e di mantenimento della pace. Al contrario, sono state delle politiche che si sono fondate sulla deterrenza militare e su un concetto di pura difesa di natura militare. L’Europa si è dimenticata di creare delle infrastrutture dedicate alla pace e in particolare si è dimenticata di individuare una figura che si occupasse nello specifico di quei valori che hanno portato alla più grande forma di riconciliazione post-conflitto in Europa. Si sono cioè scordati di perseguire gli obiettivi fondamentali del progetto europeo.»


Nel libro che hai scritto “Ministero della Pace” c’è una bella citazione di Papa Francesco a riguardo, che dice «Se non vuoi la guerra, prepara la pace». Come possiamo quindi preparare la pace, anche nel nostro singolo?  

«Il livello individuale, quello delle comunità in cui siamo inseriti e quello internazionale sono profondamente interconnessi. Quindi come individui, nella vita di tutti i giorni dobbiamo portare avanti scelte concrete di pace. Aumentando la scorta di bene che c’è su questa terra a livello individuale e nelle nostre comunità si rifletterà anche a livello internazionale. Per questo occorre che il popolo pratichi scelte di tipo nonviolente, contribuendo a creare una consapevolezza di popolo.»


In questo contesto, qual è l’importanza della Marcia della Pace di Pesaro?

«La Marcia della Pace nazionale della CEI è uno di quei momenti importantissimi dove ciascuno di noi può rendersi partecipe di scelte concrete di pace.
Si può manifestare la propria volontà di pace e gridare al mondo, e ai decisori politici, che la pace va curata, mantenuta, pianificata. Soprattutto, vogliamo ricordare che la pace è fonte di benessere e di sviluppo, l’unica vera linea di sviluppo umano. La marcia è un’espressione dell’impegno comunitario e individuale, un momento in cui ognuno può rivendicare il diritto alla pace dei popoli e delle Nazioni, un momento che costruisce quella resilienza attraverso la quale le comunità e gli individui possono chiedere un cambiamento strutturale, a favore di istituzioni giuste e responsabili.»


La marcia è divisa in tre tappe: perdono, debito e disarmo, qual è il loro significato?


«Riflettono i tre passi che Papa Francesco ci ha indicato nel 58esimo messaggio per la pace (Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la tua pace), ma sono anche quei tre passi che il movimento pacifista rivendica. Il perdono perché non esiste, e non può esistere, società pacifica se non c’è la riconciliazione. Non si può eliminare il conflitto dalla vita, ma dobbiamo imparare a trasformare il conflitto in opportunità. Il perdono è anche per gli individui che hanno sbagliato, perché l’uomo non è il suo errore e la dignità umana va oltre ogni cosa. Poi, la remissione del debito ai paesi da noi impoveriti come espressione del diritto alla solidarietà universale, perché il debito sta incatenando i Paesi poveri. Infine il disarmo, che è fondamentale perché le armi non hanno mai costruito pace. La prova storica è dettata dal fatto che la spesa per gli armamenti sta aumentando ma le guerre non sono diminuite, anzi, stanno aumentando in maniera esponenziale: il commercio delle armi è una concausa delle guerre.»


Il tema del disarmo oggi è importante perché le spese militari stanno aumentando in tutto il mondo, il progetto del Ministero della Pace affronterebbe questo problema?

«Il Ministero della Pace dovrebbe avere un dipartimento specifico che si occupi di disarmo, tuttavia nel nostro paese non esiste tale Ministero e ciò è terribile. Il nostro Paese è in realtà un progetto di pace, l’Europa è un progetto di pace. La nostra Costituzione è una delle più belle del mondo e nell’articolo 11 è esplicito il ripudio alla guerra. Un buon dipartimento si dovrebbe occupare di queste questioni, ma al momento soltanto la società civile vi si dedica.»


Cosa mi dice invece di un’educazione alla pace?

«Servirebbe anche un dipartimento che si occupi di istruzione ed educazione, perché nei curricula scolastici italiani non abbiamo l’educazione civica nella forma della trasformazione positiva dei conflitti, della comunicazione non violenta, o della giustizia riparativa. Tutti questi paradigmi sono estranei alla nostra scuola. Non siamo stati capaci di trasmettere ai nostri studenti la storia di coloro che in questo secolo sanguinosissimo hanno saputo fare scelte diverse, scelte di bene, cioè hanno saputo mantenere intatta la dignità dell’essere facendo scelte di costruzione di bene.
In questo momento dobbiamo insistere: quando si manifestano le condizioni nefaste di una cultura di guerra è il momento di resilienza e sensibilizzazione



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