Nel 2024 la temperatura media globale ha superato la soglia di +1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, secondo le rilevazioni del Copernicus Climate Change Service. Dalle temperature record degli oceani alle alluvioni che hanno colpito la Spagna a fine ottobre, il Pianeta mostra segni inequivocabili di un’estremizzazione climatica che non può più essere smentita
C’è chi definisce il 2024 “l’anno degli estremi”, e non senza ragioni.
D’altra parte, è proprio questo l’anno in cui la temperatura media globale ha sfondato il tetto di +1,5 °C sopra i livelli preindustriali, soglia termica da non superare prima della fine del secolo. A confermarlo, tra gli altri, i dati del servizio europeo di monitoraggio climatico, Copernicus Climate Change Service (C3S), che già a inizio anno rivelavano una tendenza in rialzo rispetto al 2023. Le previsioni hanno poi preso forma nei fatti: tra gennaio e ottobre 2024, l’anomalia termica è risultata la più alta di sempre, consegnandoci la certezza che l’impatto della crisi climatica è andato ben oltre quanto immaginato solo pochi anni fa.
Le temperature bollenti e le loro conseguenze
È sempre questo l’anno in cui le acque degli oceani hanno raggiunto livelli record di calore, amplificando eventi meteo fuori scala in più aree del globo. Nel Mediterraneo, in particolare, la temperatura superficiale media giornaliera ha toccato ad agosto i 28,9 °C, con punte locali fino a 31,96 °C. Questa anomalia termica, oltre a mettere in pericolo gli ecosistemi marini, contribuisce a innescare o intensificare precipitazioni torrenziali e tempeste.
L’aumento anomalo delle temperature marine ha infatti favorito la formazione di cicloni tropicali più potenti nei mari caldi, mentre in altre zone ha esacerbato la siccità. Le ondate di calore, peraltro, hanno trovato conferma nei continui picchi di colonnine di mercurio registrati in Africa e in Asia, così come in Europa centrale.
L’alluvione in Spagna (e non solo)
La lista delle emergenze del 2024 include fenomeni alluvionali che hanno messo in ginocchio intere regioni. A fine ottobre, la Spagna ha vissuto una delle peggiori inondazioni della sua storia recente: in Comunità Valenciana, Castiglia-La Mancia e Andalusia, la combinazione di una “goccia fredda” con mari anormalmente caldi ha portato a piogge torrenziali, causando lo straripamento di fiumi e torrenti. Il bilancio è stato di 229 vittime e migliaia di sfollati, con danni materiali ingentissimi e una rete infrastrutturale che in alcune aree ha ceduto in poche ore.
Lo scenario non è stato diverso altrove: in Afghanistan, la siccità persistente si è alternata a piogge torrenziali che, per la conformazione fragile del territorio, hanno originato frane e smottamenti mortali. In Brasile e Uruguay, violenti nubifragi hanno colpito zone rurali e aree urbane, costringendo le autorità a emanare lo stato di emergenza. Tra gennaio e fine settembre, si conta globalmente un numero superiore alle 2.000 calamità meteo registrate, fra inondazioni, tempeste tropicali e ondate di calore.
La fragilità dell’Italia e i fenomeni estremi in Europa
Nel contesto europeo, l’Italia si è trovata nuovamente esposta a diversi eventi meteo estremi. Le alluvioni di ottobre che hanno sconvolto l’Emilia-Romagna, con fiumi e torrenti che hanno superato abbondantemente i livelli di guardia, hanno riportato alla luce la precarietà del nostro sistema idrogeologico. Il territorio, storicamente fragile, si è visto spazzare via infrastrutture e abitazioni, soprattutto nei pressi degli argini dei fiumi. In Veneto, il monitoraggio continuo del Po e dei suoi affluenti ha tenuto la popolazione con il fiato sospeso per settimane, mentre in Campania e sulle isole come Ischia ci si è trovati a fronteggiare le conseguenze di precipitazioni fuori scala con gravi danni in zone già segnate da recenti tragedie. A novembre, piogge torrenziali hanno causato allagamenti e disagi soprattutto in Sicilia orientale. A Giarre, si sono registrati oltre 400mm di pioggia in 6 ore.
Incendi e deforestazione: la ferita aperta delle foreste tropicali
Se nel 2023 si erano già toccati record preoccupanti per incendi e distruzione forestale, il 2024 ha consolidato una tendenza ancora più negativa. In Amazzonia si è registrato, secondo l’Istituto nazionale per la ricerca spaziale (Inpe), il più alto numero di roghi dal 2007 a oggi, in particolare sul versante boliviano, alimentato dalla combinazione di siccità estrema, deforestazione per far spazio a coltivazioni e attività di allevamento intensivo, e politiche di gestione forestale ritenute inadeguate da molte organizzazioni ambientaliste.
Contemporaneamente, l’Europa ha deciso di far slittare di un anno l’applicazione effettiva del proprio Regolamento sulla deforestazione (EUDR), con l’obiettivo di ridurre l’impatto delle importazioni di prodotti legati alla distruzione forestale. Un colpo d’arresto che molti temono possa diluire la portata di una norma fondamentale per ridurre la pressione internazionale sulle aree forestali del Pianeta.
La biodiversità sotto attacco e il rischio di nuove estinzioni
Oltre ai fenomeni climatici, il 2024 ha evidenziato il persistere di una grave crisi di biodiversità, confermata da diversi rapporti pubblicati nel corso dell’anno: le popolazioni di vertebrati hanno subito un drastico calo negli ultimi 50 anni, con una riduzione media che si aggira intorno al 70-75%. I fattori in gioco sono sempre quelli: deforestazione, agricoltura intensiva, inquinamento, caccia illegale e cambiamenti climatici, che alterano gli habitat.
Emblematico è il caso europeo del chiurlo dal becco sottile (Numenius tenuirostris), conosciuto anche come “chiurlottello”, un uccello un tempo diffuso anche in Italia, di cui si sono perse le tracce già dagli anni ’90 e la cui estinzione è stata ora ufficialmente certificata. Molte altre specie a rischio soffrono la distruzione degli ecosistemi naturali, il bracconaggio e la crescente urbanizzazione. A complicare il quadro, diversi governi hanno iniziato a rivedere al ribasso la protezione di specie un tempo considerate intoccabili, come il lupo, declassandolo da “specie rigorosamente protetta” a “specie protetta”.
I ritardi dei vertici internazionali
Di fronte a una situazione così critica, i principali summit globali del 2024 hanno deluso le aspettative. La COP29 di Baku, dedicata al clima e conclusasi a metà novembre, doveva essere il luogo in cui incrementare i fondi per aiutare i Paesi meno sviluppati a sostenere i costi della transizione energetica e dell’adattamento. Invece, i finanziamenti fissati sono ben più risultati modesti rispetto a quanto gli stessi Stati avevano annunciato in precedenza.
Poco incoraggianti anche gli esiti della COP16 sulla biodiversità, tenutasi in Colombia, dove non è stato raggiunto alcun accordo sugli strumenti economici necessari a invertire la tendenza di declino di habitat e specie. E neanche l’atteso trattato globale per frenare l’inquinamento da plastica, uno dei nodi più urgenti per la salute degli ecosistemi marini, ha visto la luce: tutto rimandato al 2025. Questo panorama di continui rinvii e scarsi risultati mette in luce la difficoltà di trovare una vera volontà politica condivisa a livello internazionale.
Un anno critico, ma la speranza resta nei cambiamenti concreti
Possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che il 2024 si avvia a concludersi con un bilancio sostanzialmente negativo sul fronte delle emergenze ambientali. Mentre i dati scientifici indicano che il Pianeta si trova su una china pericolosa, le risposte istituzionali e i vertici internazionali si sono rivelati insufficienti a invertire la rotta.
La comunità scientifica ribadisce che agire adesso è più che mai urgente: dalla transizione rapida verso le energie rinnovabili, alla protezione delle foreste tropicali e della biodiversità, fino al contenimento del consumo di suolo e all’adozione di sistemi agricoli e produttivi a ridotto impatto ambientale.
Se c’è una lezione che emerge con forza dai drammatici eventi del 2024, è che le soluzioni tecniche ed economiche per fronteggiare la crisi esistono, ma è la volontà politica – e la consapevolezza collettiva – a dover compiere il passo decisivo.
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